Una nota sulle primarie dell’Unione

Dalle primarie dell’Unione buone notizie per Prodi, ma ancor di più per la democrazia italiana, ed è su questo secondo aspetto del voto che intendiamo riflettere.

La piena comprensione della natura e del senso della forma politica democrazia, l’individuazione della sua complessa originalità, la si è raggiunta soltanto dopo che Gaetano Mosca, tra fine Ottocento e primi Novecento, dimostrò la naturale tendenza di ogni classe dirigente a separarsi e gestire il potere politico, articolandosi come oligarchia, attraverso gli apparati dello Stato, dopo averli occupati, a riprodursi e riprodurre attraverso questi apparati il proprio potere.

Fino a prima della scoperta di Gaetano Mosca la classificazione delle tre forme di organizzazione statale: monarchia, aristocrazia e democrazia, come le loro degenerazioni in tirannide, oligarchia, demagogia, avevano nella scienza politica carattere sostanziale, come la teoria della natura mista dei vari Stati, sempre combinazione delle tre forme, dove prevale ora l’una ora l’altra vuoi virtuosa vuoi degenerata.

Dopo la scoperta di Gaetano Mosca, che va per il mondo nella formalizzazione garbata della dottrina delle élit di Pareto, le forme di statualità aristoteliche diventano strumenti utili alla comprensione dei processi storici, ma non più della logica politica, che dopo Mosca risulta governata da due tensioni opposte di segno: la tendenza del ceto politico a chiudersi castalmente, e quella dei gruppi di popolazione subalterni a resistervi nei modi più diversi, tra la rivolta, lo sciopero fiscale, e la costruzione di poteri alternativi; dove sempre si formalizza una nuova concezione dei rapporti tra classe politica dirigente e cittadini, attraverso una forma di stato nuova, come ben esemplifica nel XX secolo la lotta, da una prospettiva socialista, dei ceti operai per la costruzione di un nuovo Stato; e nel XIX la resistenza borghese parlamentare, fondata sulle dottrine liberali, culminate nella teoria della separazione dei tre poteri dello Stato. Una separazione il cui senso pieno si chiarirà soltanto nella lezione di Gaetano Mosca, che ci insegna come la democrazia rappresentativa, senza l’antidoto della separazione dei poteri separati e indipendenti degenera rapidamente in oligarchia chiusa. E la dottrina di Mosca spiega anche quanto giusta l’intuizione anarchica circa lo Stato, ma anche imperfetta, perché la deriva autoritaria non è, contrariamente alle convinzioni anarchiche, nell’istituzione Stato, che è soltanto uno strumento, ma nella degenerazione castale dei gruppi dirigenti, che istituiscono un sistema di garanzie repressive fondato su leggi create ad hoc, impedire le quali è la ragion d’essere della democrazia.

La forza della classe politica si misura dalla sua capacità di emanare leggi, attraverso le quali, come ben vide Rousseau, trasforma il proprio potere in diritto e legittima gli abusi, che non sono mai tali per la classe politica, ma soltanto per i ceti subalterni.

Un illuminante esempio nel nostro oggi sono le scalate parallele BPI – Antonveneta e Unipol-BNL, parse perfettamente legittime entro la classe dirigente italiana. Per coglierne la natura aberrante criminogena bisogna passare dalla parte del sistema delle regole e dei contrappesi a regolamentare l’ingegneria finanziaria, impedirle di diventare quella cosa che ha portato all’arricchimento stratosferico dei concertitisti delle due scalate, che con il loro truffaldino concerto finanziario non hanno arricchito soltanto sé stessi, ma hanno potuto arricchirsi solo arricchendo ampi settori della classe dirigente in tutto il suo arco, come ebbe a dichiarare Arturo Parisi, poi per questa sua dichiarazione coperto di contumelie da parte di chi non voleva si avesse chiara la percezione che, nel generale impoverimento del paese, i gruppi politici stavano concentrando nelle loro mani enormi ricchezze attraverso un uso strumentale corruttivo del loro potere.

Parallelamente al saccheggio finanziario, la classe politica procedeva a un riassetto dei suoi strumenti politici, attraverso una legge elettorale che ha suscitato in Parlamento, all’apparenza, una reazione forte dell’opposizione, ma per pure ragioni tattiche. E infatti, Piero Fassino, dopo che la legge elettorale della maggioranza era passata alla Camera, avanzava la proposta di riaprire trattative per migliorarla, a suo dire, in Senato, ma ricevendo un netto rifiuto da una maggioranza ben decisa a non dare spazi di propaganda all’opposizione. Un ragionamento ineccepibile negli universi kafkiani del kastello della politika italiana, dove la nuova proposta di legge elettorale della maggioranza dal punto di vista degli oligarchi politici attuali è quanto di meglio, perché permette un controllo ferreo sulla costruzione del nuovo Parlamento, riducendo le consultazioni elettorali a un plebiscito, legge amputata dei due elementi che legittimano democratica una legge elettorale proporzionalista: il gioco delle preferenze entro i collegi elettorali e il primato del parlamento in quanto luogo che riflette la geografia politica del Paese, legge che soprattutto realizza una relazione incestuosa tra legislativo ed esecutivo, violando il primo postulato della democrazia liberale: la separazione dei poteri.
Un futuro parlamento costruito con l’attuale proposta di legge elettorale approvata dalla Camera rappresenterà soltanto la geografia del potere oligarchico, rispetto al quale il voto dei cittadini sarà del tutto disarmato, in quanto i suoi rappresentanti saranno soltanto per finzione eletti dal popolo, ma di fatto trascelti dagli oligarchi dei partiti.
Legge costruita ignorando un referendum e molte altre indicazioni popolari nella direzione, a dirla in politichese, maggioritario, ma che di fatto perseguivano tutte una e una ben precisa tendenza da parte del corpo elettorale: tenere sotto controllo e ridurre il potere delle oligarchie politiche, romperne la castalizzazione.

Questo il quadro politico italiano, votare alle primarie dell’Unione era in primis un voto contro la nuova legge elettorale in fabbricazione, che le rendeva superflue, ergo esprimere una opposizione all’oligarchia politica dominante; ribadita anche attraverso la scelta di un leader che le vicende contingenti – mancanza di un partito alle spalle, scontro perdente, nella trascorsa estate, con Rutelli, dopo averne perduto già uno con gli oligarchi DS nel crepuscolo del secolo scorso – vedevano Romano Prodi, fino alle primarie, sostanziale isolamento nella casta politica. Votare alle primarie per Prodi è stato soprattutto, per il più del suo elettorato, mandare un segnale alla propria oligarchia politica. E lo confermano, a voto espresso, alcune indicazioni di demografia elettorale.

Il primo e il più evidente è che i militanti complessivi dei partiti dell’area delle primarie non superano il milioneduecentomila, contro gli oltre quattro milioni di votanti.
Il secondo e ancor più significativo è quello (fonte “La Stampa”) stando al quale soltanto un 30% del militanti diessini ha votato, per cui la forza delle primarie deriva da una mobilitazione popolare nella direzione democratica, ovvero di adesione a una pratica di controllo attraverso il voto della classe politica, La natura pragmatica, non ideologica, del voto nelle primarie si deduce anche dalla sostanziale sconfitta di Bertinotti, che puntava apertamente a una grande Puglia, proprio la paura della quale ha mobilitato non pochi cittadini a votare Prodi.
Un terzo effetto ha spinto l’elettorato di centrosinistra a mobilitarsi per Prodi: ed è lo stesso del quale ha goduto a suo tempo Berlusconi nell’elettorato di centrodestra: rappresentare una volontà politica in sintonia con le attese di rinnovamento del paese, – e aver in gran parte disatteso le quali per aver mancato di dare peso alla spinta liberale, è l’attuale ragione della debolezza politica del Primo Ministro. Nelle prossime consultazioni il settore dell’elettorato di centrodestra portatore della visione liberale voterà in stato di frustrazione, tentato dall’astensione, mentre il settore dell’elettorato laburista, che alle ultime consultazioni politiche in parte si rifiutò di seguire Rutelli, sarà galvanizzato e da queste primarie e dalla convinzione di seguire un leader espresso dalla società, dando forza al quale si darà forza a quella che è da sempre la vera istanza della democrazia: impedire la deriva della classe politica del Paese verso una chiusura oligarchica.

Questa è la ragione del successo delle primarie dell’Unione, il cui risultato speriamo non sia del tutto disatteso dalla sua classe politica dirigente, come il voto politico del 1996. Se anche questa volta Prodi dovesse vincere e fosse estromesso, come nel 1998: vincesse l’oligarchia politica, come la legge elettorale in approvazione persegue, in crisi entrerebbe quasi inevitabilmente il rapporto della Nazione con la sostanza della propria istituzionalizzazione politica: la democrazia, perché, parafrasando il Principe di Salina, neanche il più alto ideale può indefinitamente sopravvivere a gestioni politiche inette, o meglio, legittime dal punto di vista degli oligarchi, del loro diritto; oligarchi che dai tempi di Atene e Roma usano le strutture della democrazia come le contrade di Siena al palio i cavalli: per vincere la corsa, qui al dominio politico.

Piero Flecchia

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