Una nota d’uso sulle scritture italiche in margine salone del libro di Torino

Venerdì scorso 5 maggio ci avevo provato: entrare negli spazi espositivi del salone del libro di Torino al Lingotto fiere. Fortuna che ero andato con il tram, perché il parcheggio, una vera piazza d’armi dove una volta, ai dì che la città andava, si stoccavano alcune migliaia di auto, era esaurito.
File di cento metri alle biglietterie, e idem all’accredito stampa. Ho dismesso ogni idea di infilarmi nell’epico carnaio, e posposto il mio passaggio alle ultime ore della manifestazione, lunedì 9 c.m., nell’intanto chiedendomi: in un paese che ha il primato europeo della non lettura, che cosa attira una tal massa a pagare un biglietto di sette euro per accedere a una manifestazione che è poi soltanto un insieme di bancarelle in uno spazio chiuso?

La ragione forse è in nuce in un’affermazione di Franco Fortini, dalla quale sono ormai lontano quasi quarant’anni: “Questo è un paese senza più una vita culturale.” Fortini si riferiva alla Milano degli anni della contestazione, dove la politica aveva fagocitato tutto, e alla fine sé stessa, per poi lasciare il posto a quella identità postculturale anni Novecetoottanta che dura e ben si esprime con l’egemonia degli stilisti di moda che, provincia dopo provincia dello spirito, si sono annessi anche i sanitari, dal WC alle piastrelle. In questa incultura organizzata dallo stile, inevitabilmente la copertina surroga il libro, la quarta o l’ala diventa la sua lettura, prima di collocare il volume nel luogo deputato: la libreria, anch’essa un elemento dell’arredo domestico.
E infatti il principio che ha governato la costruzione, anno dopo anno sempre più precisandosi, del salone del libro di Torino è l’idea di arredamento. Per cinque giorni all’anno il capolavoro di architettura industriale della fabbrica dismessa si trasforma in arredo urbano librario. Una passerella di libri, dove primeggiano i libri alla moda, mezzo incidentale per essere autori alla moda.

Il salone del Lingotto è, per le grandi masse giovanili che vi accorrono, il luogo di una sfilata, una variante della classica passerella. Soltanto gli editori e gli autori, o aspiranti tali, e gli organizzatori va da sé, non se ne sono accorti. Non si sono accorti che il libro sopravvive nella post modernità come puro oggetto d’arredo, e dello spazio fisico e dello spazio psichico interiore, in entrambi ormai elemento subalterno, tratto arcaicizzante di un sapere che si muove nella falsa oralità televisiva; che ha divorato quella cinematografica per essere divorata dall’internettizzazione. I giovani che percorrono il salone sono tutti usciti dal loro spazio virtuale dove si inseguono, per vivere il piacere estetizzante di un’esperienza arcaica: guardare il mondo com’era prima della rete cibernetica, visitare un museo interattivo, come appunto il teatro di Ronconi, o le tavole rotonde televisive dei politici.

Nel salone del libro del Lingotto il passato e il futuro si intersecano, con effetti di schietta comicità, ma non ancora formalizzata dai Grillo e Litizzetto, che nell’intanto non riescono neanche a scorgere la comicità surreale involontaria di un personaggio televisivo come il Fazio meteorologo. E della caricatura intervistavisiva di Marzullo aveva i tratti, infine anch’io approdato alla passerella lingottica il tardo lunedì scorso, l’editore che, d’un tono serioso da promotore finanziario mi offriva la sua raccolta di favole da tutto il mondo, trecento euro a volume, quattro volumi, vero investimento, la carta dell’edizione garantita settecento anni, e l’opera nel tempi si rivaluterà ecc ecc. Una pessima raccolta, mal illustrata, della qual cosa l’editore facendosene un vanto: lui ha scelto tra i migliori allievi di alcune scuole d’arte. Cioè ha scelto la via per non pagare l’illustratore, magari facendosi pagare.

E attraverso l’editore di favole-investimento siamo trapassati al mondo di una volta, quello che aveva il libro come strumento di conoscenza al centro. E che non lo sia più nulla lo dice quanto il rigurgitare di editori a pagamento: che si fanno pagare dalla Regione, da qualche banca o da qualche altra trovata di astrologia finanziaria, senza ovviamente rinunciare a spremere l’autore. D’altra parte sono anche loro al Lingotto spremuti dall’organizzazione del salone, che taglieggia gli spazi, ma ovviamente qualcosa al cambio deve dare, magari di cervellotico, di inventato. Ecco perché, in perfetta sintonia con le vanterie dei politici sull’economia che hanno gestito, gestiscono o gestiranno sempre in progresso, anche i padroni della fiera del libro, prigionieri del mantra dello sviluppo, millantano nelle dichiarazioni finali: ‘Vendite in crescita del 30%.’, salvo poi, per l’autorevole voce del presidente del Salone, venuto dalla politica ovviamente, ammettere: “Dobbiamo innovare, innovare, innovare.” E per innovare che cosa ti inventa il Magno? Qual’è la megapensata della mente direttiva? Aggregare all’organizzazione quel grande genio che ha riscritto l’Iliade purgandola dalla violenza. Ovvero, sempre lui, l’Autore che il suo ultimo romanzo lo ha pubblicato con quattro copertine diverse, dichiarando che così un lettore ha delle alternative, una anche mettere in libreria le quattro varianti e dire: io Baricco ce l’ho tutto.

Sarà per la mia radicale avversione al vino bariccato, ma la versione pacifista dell’Iliade del Nostro l’ho trovata una pensata da padre Bianchi, priore delle Bose passato per una sbronza di barbera. Invece, la pensata di rifilare quattro copie identiche: stesse fesserie, stessi refusi, fascicolando l’opera con quattro copertine diverse mi è sembrata da Totò e Peppino quando vendono la fontana di Trevi. Il punto è: perché, oltre ai giovani, venuti a guardare un museo vivente, e come parte di quello agli occhi dei giovani, l’altra metà dei visitatori del salone, là dentro, negli spazi del Lingotto Fiere erano gente di mezza età, che nel suo piccolo stava comprando a go go tante fontanelle di Trevicino, lo scrivente compreso?

Valentino vola con una moto che lo fa disperare, Sciumi con la Rossa di Maranello fa miracoli: questi sono i fatti di cronaca sportelevisiva italiana rilevanti, eppure anche al salone del libro, quasi a ogni stand di cos’ho sentito parlare? Delle partite del campionato di calcio moggificate dall’Omero del mercato predatorio, che la ragiona con il calcio, come Baricco con l’Iliade. Baricco baricca la violenza, Moggi il risultato, poi la gente se la prende: perché?
Il mistero delle intercettazioni telefoniche sugli arbitri della Juventus muove dallo stesso principio del Codice da Vinci: spiegare il mistero. Il Codice spiega il cristianesimo una volta per tutte, ed ecco la ragione dei suoi duecento milioni di copie. E infatti il Nostro presidente del Salone del libro; quello che propone di potenziare il suo regno prendendo a ciambellano la ciambella Baricco, intanto cosa dichiara alla stampa? Che se: “… c’era gente che assumeva posizioni tantriche pur di poter ascoltare quello che lui leggeva, quello che lui declamava, quello che lui proponeva …” – va da sé che lui è issoBaricco, – ma però, lamentava intanto il Presidente del Salone, il vero Lui non è venuto, l’uomo che ha venduto oltre duecento milioni di copie mentre il nostrano lui, che fa fare posizioni tantriche al pubblico del Lingotto per arrivare a ventimila copie della sua Trevicino ha dovuto farsi quattro copertine.

Che cosa regge questa manicomialità?
Sapere le cose segrete e dare loro una forma manifesta è tutto? Ma questo ‘tutto’ non è solo la logica che governa ‘Il codice da Vinci’; è da sempre la logica della scrittura; contro la cui logica, da sempre, resiste chi sulle cose segrete ci lucra e spesso su segreti che non ci sono affatto, e appunto per questo il loro niente va difeso.
Sono, questi libri, come i vestiti dell’imperatore della favola, che è davanti agli occhi di tutti che non ci sono, ma tutti li vedono, per convenienza. Da qui la forza irresistibile dei vari ‘Codice da Vinci’, cattivi libri che servono, con il loro niente, a nascondere il perverso tutto che si occulta nel potere quando diventa logica del dominio.

Non solo l’incriminato e vaticanamente perseguitato Codice, ma purtroppo la più parte dei libri in vendita sulle bancherelle della fiera del Lingotto spaccia questo “niente”, lo propaganda come un “tutto”, ben compendiato in titoli altisonanti ed esemplari quarte di copertina.
Uno di questi ‘tutto’ esemplari, stando ai si dice addirittura il codice da Vinci, per vendite, del Salone, è l’opera di una personalità religiosa che ha fondato uno dei luoghi più descritti e frequentati della cattolicità contemporanea: il monastero delle Bose sulla Serra di Biella. Almeno stando all’articolista della Stampa Giovanna Favro, in fiera la casa editrice Einuadi ha esaurito a più riprese l’opera del priore delle Bose Enzo Bianchi ‘La diversità cristiana’; un Trevicino che se non ha quattro copertine, ma almeno nel titolo ad originalità non batte quattro a zero il libro di Roberto Vecchioni ‘Diario di un gatto con gli stivali’. Anzi, in questo titolo acquistatissimo in fiera dell’aedo dell’Altissimo consuona come una rivisitazione di quella realtà trista e aggressiva che furono i libri degli anni settanta, quando appunto circolavano, sotto titoli altisonanti, rifritture del solito vecchio buon marxismo, riproposto come l’insuperabile strumento per capire le nefandezze del mondo capitalista, e nel contempo spiegare come invece la strada del paradiso fosse lì vicino, per mutuare dal romantico anarchicheggiare di DeAndré.
E dall’edizione “Stampa Alternativa” ho ritrovato la riedizione di uno dei testi sacri di quella realtà, attraverso il cui rovesciamento surrealista il Priore delle Bose ha costruito il suo immaginifico titolo. Infine, reclamizzato come ‘Edizione integrale’, ho ritrovato, ormai diventato volumone, il memorabile scritto di Pio Baldelli ‘Informazione e controinformazione’.

Insomma, al salone del libro imperversa, da destra a sinistra, la solita vecchia teologia, ma presentata come Novissima, e guai a dire che la logica che governa queste scritture di occultamento è quella che il Tommasi di Lampedusa descritta come: “tutto deve cambiare perché nulla cambi. Ma se qualcuno invece volesse davvero sapere come va inevitabilmente a finire a trafficare, dare spazio nella propria mente alle voci di quelli che parlano delle cose di cui invece si deve tacere in quanto non se ne sa nulla, consiglio di leggere con un po’ d’attenzione il bel libretto della BUR ‘Le maschere dell’intolleranza’, che ripropone le lettere 17 e 18 di Ambrogio e la ‘Terza relazione’ di Simmaco. Tre scritti del quarto secolo, dove vengono a confronto, intorno a un fatto concreto: l’allora altare della patria di Roma, – il pacifista cristiano Agostino, che lo voleva fatto a pezzi, e il guerafondaio pagano Simmaco contrario alla vandalizzazione del monumento.
In quella disputa c’è anche la spiegazione di che cos’è l’integralismo islamico, come origina dalla scelta religiosa monoteista, e per quale via il cristianesimo, contro Gesù, si connetta al conguerrasantismo musulmano. Un Gesù il cui insegnamento antiterrorista, ergo antistatalista, si recupera in un libro che di recente “Il Melangolo ha riproposto, ed esaurito, come la Einaudi aveva il tomo del Priore delle Bose. Anche ‘Il Melangolo’ ha esaurito tutte le copie portate in salone della versione dei Vangeli di Piero Martinetti. Mi dice l’editore; “Abbiamo, nei giorni del salone esaurito del filosofo anche le copie portate l’antologia schopenhaueriana e del suo ‘Pietà per gli animali’, lo scritto filoanimalista più alto della nostra cultura. Un’opera che i giovani dovrebbero assolutamente leggere.”

E così sono trapassato nella vera ragione che muove per gli spazi del Salone me e quegli altri che hanno esaurito il Martinetti; errare per i tavoli degli editori minori, quelli che difficilmente arrivano in libreria e alle recensioni, per trovare titoli come l’Emilio Lussu de ‘Il cinghiale del Diavolo’, ed. Il Maestrale, che altrimenti difficilmente scoprirebbero. E con il Lussu, il vero guizzante luccio della mia pesca al salone è stato il Carlo Michelstaedter ‘Sfugge la vita, tacquini e appunti’ Ed. Aragno euro 14′. Questo libro ci porta dentro il percorso formativo, l’ambiente culturale, le emozioni mentre diventano idee, di uno dei più grandi protagonisti della cultura italiana di inizi XX secolo, purtroppo suicidatosi a ventitrè anni, sopraffatto anche da uno sforzo intellettuale epico. Non si può non dire che grazie all’Editore che ci permette di poter ritrovare gli abbozzi delle poesie, i disegni, i frammenti di questo ingegno straordinario, stroncato, come Icaro, egli dal volo intellettuale verso il Sole della Conoscenza.

Accanto ai libri unici e singolari, e come alternativa, non ci sono però soltanto le Iliade bariccate. A spulciare un po’ anche in editori d’area cattolica, scorrendo i vari titoli, si scovano scrittori come il teologo Umberto Casale ‘Dio è uno ma non è solo’ Ed. Mario Astegiano (pp 288 euro 10). L’ho trascelto dicendomi: infine una sua bella copertina anonima, niente disegnata, ma dentro le pagine si disegna una volontà onesta di capire come si sono determinate anche le ‘altre’ idee di Dio, fino alla singolare svolta buddista, per la quale: “Non essendoci nulla di sostanziale e di permanente non vi è neppure Dio: né come essere personale, né come essere sostanziale.” (Op. cit. pg 60). L’autore, un collega del Priore delle Bose, ma preferisce tenersi dalla parte delle cose che si sanno, con la coscienza che qualcosa sanno forse anche gli altri. Insomma, con un po’ di fortuna si possono ancora pescare libri decenti, non pervasi da operazioni di pura propaganda del nulla.

La Ragione è un universale fondamento nella persona, anche se la sua articolazione contro l’irrazionale del proprio tempo è sempre una conquista individuale, mediata da strutture culturali. Però la possibilità di scegliere la parte di Simmaco e non quella di Agostino, di Martinetti e non del Priore delle Bose è sempre decisa individualmente; il compito dei libri, quando erano uno strumento, favorire lo sviluppo, l’individuazione delle singole coscienze, ma la propria via bisogna anche avere il coraggio di cercarsela, come appunto i Lussu, i Martinetti e a loro modo anche i Baricco, i Priore delle Bose. È quella via alla salute inscindibile dal rischio estremo, come insegnano le pagine e il destino di Carlo Michelstaedter, forse appunto per questo non troppo noto, non troppo presente nel paesaggio intellettuale non solo del salone di Torino.

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