“Efemere” – Aforismi apocrifi

Somiglia ad una piccola libellula, l’efemera: una creatura il cui ciclo vitale, nello stadio adulto, si compie in poche ore. Da lei prende nome, appunto, tutto ciò che è effimero, che dura il tempo d’un sospiro, che giunge in un trasparente, aereo silenzio e poi subito scompare senza quasi lasciare traccia di sé. Senza “quasi” lasciare segno, perché sappiamo bene quanto proprio l’effimero possa diventar foriero del rimpianto, della melanconica nostalgia capace di fare del caduco, in cuor nostro, persino una leggenda.

Ed è all’efemera che Marco Sartorelli dedica i suoi aforismi perché è forte, in questa sua opera, il senso di caducità che accompagna tutto ciò che si presenta con una firma: quasi che ogni gesto siglato, che ogni parola attribuita non possa lasciare altro, dietro di sé, che un baluginare inafferrabile di storia mai esattamente ripetibile e, al tempo stesso, mai del tutto nuova; a conferma che il prodotto d’una singola mente, per quanto arguta sia, può solo inchinarsi al cospetto dell’intero cammino del Pensiero umano.

Se esprimersi attraverso l’aforisma significa spiccare un volo ardito verso l’illuminazione, se significa raggiungere la propria verità e possederla per un solo istante, completa nella sua purezza e nuda d’ogni eccedente orpello, allora proprio questi aforismi apocrifi rappresentano la quintessenza del lampo che tocca, folgora e scompare perché ogni oggettività afferrata possa poi andare, libera, verso un’ulteriore metamorfosi, verso la sua ennesima, prossima interpretazione.

Si deve precisare che l’aforisma seguito da una specifica attribuzione non è nato con Sartorelli, ma gode di una storia tanto antica da risalire a Teocrito, forse il primo massimatore a voler rafforzare l’impatto delle sue sentenze immettendo, al loro interno, una inattesa paternità. Verso la metà del 1500 l’attribuzione ricompare, ma in chiave sarcastica o dissacratoria, negli epigrammi di Jhon Heywood e, in Italia, nella raccolta di massime di Francesco Sandonati. Seppure con modalità e intenti ancora diversi, la stessa tendenza si ripresenta più tardi, nell’Inghilterra vittoriana: questa volta per opera di Charles Dickens, il cui personaggio di Sam Weller (The Pickwik Papers) diventa così noto, assieme alla sua caratteristica di raccontare aneddoti resi assurdi o paradossali dalla perenne presenza della conclusione “disse Tizio – disse Caio”, che ne nacque una moda chiamata ‘wellerismo”.

L’ultimo fenomeno analogo a noi conosciuto si verifica ancora nella letteratura statunitense degli anni ’20, quando spopola il “Tom Swifty”, indirizzo popolar-letterario ispirato da una serie di racconti per ragazzi dello scrittore Victor Appleton, il cui protagonista Tom Swift fa seguire, ad ogni suo enunciato, lo stesso “disse Tom” accompagnato, però, da un avverbio che ne ridicolizza il senso.

La grande forza di un compendio come “Efemere” sta, comunque, nell’audace intonazione di sfida con cui Marco Sartorelli affronta gli estimatori più esigenti dell’aforisma, e non è tutto. L’Autore, oltre a portare alla ribalta uno stile massimatorio quasi dimenticato i cui precedenti illustri, però, potrebbero renderlo di rischiosa emulazione, fa di più e riesce non solo ad azzerare qualunque sospetto d’imitazione, ma mette alle corde gli antesignani sia in termini di spessore concettuale, sia d’innovazione e di rigore stilistico. Infatti, la sua opera porta il segno di una straordinaria attualità, e le attribuzioni sempre dissimili, fantasiose, a volte ironiche e a volte di un’amarezza struggente sono, al medesimo tempo, causa ed effetto dell’aforisma stesso. Aforisma già di per sé completo, eppure acuito in modo imperdibile dal conferimento di un creatore immaginario che, più ad hoc di così, non lo si potrebbe inventare.

Non è difficile dar prova di queste convinzioni; basta estrapolare dalla raccolta alcune massime, ed a qualsiasi cultore del genere salta all’occhio quanto, ne “La mia vita è un deserto. Datemi almeno un miraggio. – Giorgio, disoccupato palermitano, al Maurizio Costanzo Show” il rabbioso disincanto dell’enunciato sia tanto eloquente, quanto complementare alla triste impotenza del fittizio autore. Ed esiste forse modo più conciso, al tempo stesso esaustivo, di quello qui riportato per spiegare un gesto definitivo e mai del tutto intelligibile come il suicidio? “Perché no? – Carlo F., 21 anni – Biglietto di addio, Palermo.”

Ma assieme a tali prove di tormento, convivono nella raccolta di Sartorelli momenti di limpida serenità, come quando il “monaco buddista giapponese Doko Ubaru, 1645 – 1701” (e chi altri, sennò?) afferma che “Nulla sa il pesce della foresta, eppure nuota felice”. E poi di risoluta gentilezza nell’aforisma che recita “Sopportare l’agonia di un fiore raccolto è cosa per caratteri forti.- da “Fleurs”, di Madame De Chambery – Paris, 1880.”

Non certo tralasciata, inoltre, è l’ironia: ineffabile e dura da digerire come in “Negli occhi del bovino, il presentimento del macello. – Aldebrando Martino, dalla prefazione a “Meglio vegetariani” – Edizioni Roma, 1977″, quindi più provocatoria quando Sartorelli inventa un “Motto popolare sovietico” enunciante, senz’ombra d’incertezza, che “L’angelo custode di Stalin morì in tenera età.” e poi sconfinante nella comicità pura laddove ne “Le grandi scoperte geografiche – Harold Burkley: London, 1971”, si legge tout court che “Cristoforo Colombo non sapeva nuotare.”

Sul medesimo, ma più ricco tono, prosegue l’eterogeneo contenuto di “Efemere”, raccolta di “Aforismi apocrifi” che, nel pur ricco panorama della massimazione d’oggi, segna un momento di assoluta difformità, di totale e felice evasione dagli schemi. Un momento, certo, ma già si può affermare con sicurezza che quest’opera di Marco Sartorelli sarà, paradossalmente, tutto fuorché effimera.

Anna Antolisei

Edizioni Joker: via Verdi, 68 – 15067 Novi Ligure (AL) – Tel: 0143.75043 – www.edizionijoker.com – Athanor: collana a cura di Sandro Montalto

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