(e allora lasciatelo divertire)


foto_parrini
Stanco della propria esistenza solitaria trascorsa in un continuo dialogo con la morte (l’aforista invincibile: mai una parola di troppo, mai una parola), esaurito dal contendere all’abisso del nulla i lampi fuggitivi della propria ispirazione, anche lo scrittore di aforismi, ogni tanto, si diverte. Ed è allora che riesce a fare le scoperte più sorprendenti.

Per esempio, ecco come risolve l’annosa questione del numero di parole necessarie e sufficienti alla formulazione dell’aforisma perfetto. Molti autori e studiosi illustri, dopo lunga controversia, si sono accordati sulle otto parole? L’aforista si diverte ma si dissocia e rilancia: gliene bastano quattro.

Eccone la dimostrazione:
aforisma-di-una-parola; aforisma-di-due-parole; aforisma-di-tre-parole; aforisma-di-quattro-parole (questo un po’ narcisetto e autoreferenziale); aforisma-di-n-parole.

Mentre espone questa sua dimostrazione l’aforista che si diverte scandisce le parole una per una e le conta alzando le dita della mano destra. La sua dimostrazione è talmente inconfutabile da confutare la sua stessa confutazione:
aforisma-di-tante-parole; aforisma-di-troppe-parole. Sono sempre quattro.

Ma, pure, qualcuno obbietterà, chi se ne importa degli aforismi? Il numero perfetto per la nostra civiltà rimane, e rimarrà sempre, il numero tre. Si pensi alla dialettica hegeliana, oppure (che Dio perdoni l’aforista che si diverte) alla Santissima Trinità. Appunto: tesi-antitesi-e-sintesi; Padre-Figlio-Spirito-Santo: quattro parole.

Divertito dalla conquista fatta, l’aforista insiste con un’altra dimostrazione. Questa volta è un teorema fondamentale, anzi il teorema fondamentale dell’aforistica, paragonabile per la sua importanza al teorema di incompletezza semantica di Kurt Gödel. Si enuncia così:
“Ogni aforisma contiene una verità che non è esprimibile mediante un aforisma”.

Incredibile come nessuno ci abbia pensato prima. Piuttosto euforico, l’aforista che si diverte ci prende gusto e rivisita un altro straordinario paradosso che da millenni affatica la mente umana. Achille e la tartaruga, ricordate? Per quanto corra veloce, il Piè-veloce non riesce a raggiungere la lenta bestia. Ecco cosa diventa l’impari corsa nelle mani dell’aforista che si diverte:
“Alla verità di un aforisma non si arriva mai con un altro aforisma”.

Qui sarebbe interessante mettere in relazione il secondo teorema con il primo, ma essendo questa una questione seria al momento l’aforista divertito la mette da parte, e in cambio ci regala un postulato di euclidea eleganza. Che dice:
“Dato un silenzio a piacere, per esso passano infiniti e diversi aforismi”.

Da questo solenne principio, che brillerà in eterno nello spazio immenso del significato, si ricava, come curioso corollario (l’aforista in cerca di divertimento non sopporta a lungo la solennità e vira presto in cerca di cose curiose):
“Dato un punto nello spazio, mettetelo alla fine e fateci un aforisma”.
Al quale si può affiancare, come suo equivalente (ma con in più una sfumatura siracusana, ingegneristica, archimedica) quest’altro:
“Datemi un punto qualsiasi e vi scriverò un aforisma”.

Non ancora soddisfatto del formidabile contributo logico-matematico testé ricordato, l’aforista che si diverte trova il tempo di omaggiare la logica deduttiva con una limpidissima derivazione sillogistica:
“Se il primo aforisma è migliore del secondo e il secondo è migliore del terzo, lasciate perdere”.

Viene quindi al campo non meno affascinante delle leggi fisiche, e ne enuncia subito di fondamentali:
“Un aforisma persevera nel suo stato di verità finché non interviene un altro aforisma che lo falsifichi”.
che segue l’ancor più essenziale
“A ogni aforisma corrisponde un aforisma uguale e contrario”.
dai quali segue facilmente
“Il valore di un aforisma è uguale al peso del suo significato fratto la massa delle sue parole”.

Ma le scienze deduttive non sono tutto a questo mondo. Chi può negare, oggi, lo strapotere dell’economia e della finanza sulle nostre vite? Ecco allora una perla di saggezza che piacerebbe a una eminenza grigia dell’aforistica italiana:
“Gli aforismi non si contano, si pesano”.
cui si può aggiungere l’attualissimo
“Lo spread tra l’aforisma e la verità si riduce soltanto riducendo il numero delle parole che lo compongono”.

Veniamo poi alla saggezza più umile e più vera, che rimane pur sempre quella popolare. L’aforista che si diverte accetta la sfida e si avventura nel campo sconfinato della sapienza proverbiale. Inizia con un inquietante
“La strada per l’inferno è lastricata di buoni aforismi”.
per arrivare subito a una rapida rassicurazione
“Meglio un aforisma oggi che ‘Guerra e pace’ domani”.
alla quale viene naturale aggiungere
“Meglio un aforista vivo che un Camilleri morto”.
augurando lunga vita al Maestro, e ai milioni di copie vendute dei suoi libri.

Se invece lasciamo i proverbi e ci avviciniamo all’altro vivacissimo parente dell’aforisma, lo slogan politico, l’aforista che vuole divertirsi trova ulteriore pane per i suoi denti.
Limitiamolo a una raffica di slogan sessantottini:
“Siamo aforisti, chiediamo l’impossibile”
“Un aforisma vi seppellirà” (piuttosto minaccioso)
“Uccidere un aforista non è reato” (assai minaccioso)
“Parrini aforista sei il primo della lista” (minaccioso e presuntuoso)

Considerando che Torino è sede dell’Associazione Italiana per l’Aforisma si potrebbe concludere con un plumbeo
“Aforisti torinesi, ancora pochi mesi”
per uscirne poi, data la conclamata difficoltà in cui si dibatte l’editoria aforistica, con
“L’impaginazione al potere”
che la dice lunga, ma in breve, su quanto sia complicato trovare uno stampatore per i nostri libretti.

Ed eccoci alla gastronomia e alla cucina, che oggi vanno per la maggiore. Volete che l’aforista che si diverte non ci proponga la sua ricetta per un aforisma “corto e mangiato”?
Eccola qua:
“Prendete due articoli, due nomi, un verbo, un complemento, un avverbio e due aggettivi. Punteggiatura quanto basta. Togliete tutto e lasciate solo l’avverbio. Togliete anche quello. Quello che rimane tagliatelo a fettine sottili sottili, alla La Rochefoucauld, quindi scrivetelo su carta assorbente e fate asciugare ben bene. Pubblicatelo solo se necessario”.

Come vino l’aforista si diverte proponendoci abbinamenti diversi: uno Chamfort di classe, che va sempre alla grande, oppure ottimi vini italiani come un Vuoto di Montalcino, per esempio, altrimenti un Nullamaro, o un Silenzio del Friuli, ma che sia bello secco. Ad averlo, imbattibile un Flaiano d’Avellino.

Vicino ormai alla fine del suo divertimento, e volendo concludere con il botto, l’aforista che si diverte si produce quindi nel colpo di genio definitivo, quello che lo consegnerà all’immortalità (ma una immortalità di nuovo tipo: proprio quella che fa per lui, rapidissima, fulminea, una sorta di lampo eterno): l’aforisma prodigioso, anzi, di più: l’aforisma miracoloso.
Dice così (che Dio perdoni un’altra volta l’aforista che si diverte):
“Scriviti e cammina”.

Sbigottito (più che divertito) dal suo stesso miracolo, l’aforista si congeda dal suo pubblico con un ultimo omaggio al più divertente, tragico e commovente aforista di tutti i tempi, tra tutti quelli che non hanno mai scritto un aforisma nella loro vita: Ettore Petrolini. Al quale si deve, en passant, anche il solo metodo efficace per distinguere definitivamente l’aforismo dall’aforisma (chiamatelo: se viene lui è un aforismo, se viene lei è un aforisma).

Sempre avido di lodi e di complimenti, l’aforista che presto non si divertirà più decide bene di lodarsi da solo. Ed ecco, alla maniera di Petrolini, come fa.
In piedi davanti ai suoi lettori, alza il braccio destro mentre dice a gran voce: “Breve!”
Subito dopo alza il braccio sinistro gridando: “Bravo!”
Momento di pausa.
Di nuovo, davanti ai suoi lettori l’aforista alza il braccio destro, ma stavolta dice: “Brevissimo!”
Subito dopo alza il braccio sinistro e grida: “Bravissimo!”
Altro momento di pausa.
Per la terza volta, davanti ai suoi lettori, l’aforista alza il braccio destro. Ma stavolta non dice niente.
Subito dopo alza il braccio sinistro, gridando a tutta voce: “Bis!”

La felicità dell’aforista è così giunta alla conclusione. Anch’essa, come tutto quello che lo riguarda, è durata troppo a lungo. Lo attende, di nuovo, il dialogo con la morte, il solo che non riesce ad abbreviare. O più semplicemente quello è il suo destino, e non può farci niente.

Come direbbe ancora Petrolini: per l’aforista è sempre finita, è sempre irrimediabilmente finita.

(Scritto per “Aforisticamente”, di Fabrizio Caramagna: la vera patria di tutti gli aforisti. Da cui il celebre detto: Francia o Spagna, Caramagna).

Mario Parrini

CONDIVIDI