NOI DEE

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Mi sono sempre chiesta come sia possibile essere circondati da messaggi così potenti provenienti dal passato o dal futuro ed esserne refrattari alla decodifica… E’ questo che mi inquieta maggiormente ogni volta che vengo a contatto con persone dall’apparente apertura mentale che rifiutano a priori qualsiasi forma di comunicazione profonda che può giungere dagli Dei. È come se si intestardissero a dichiarare di non avere passato e di non credere nel futuro, ma è soprattutto come se preferissero credere di essere nati chissà come e chissà da dove.
È negare le proprie radici e vivere in quello spazio così angusto dove il così detto “minimalismo” li rende davvero minimi davanti a loro stessi.

È chiaro che la mia predisposizione a percepire nel vuoto simboli e segnali luminosi mi rende poco propensa a credere che tutto si possa manifestare e nella mia dinamica verso il futuro ogni azione è volta a cercare conferme di quello che non può apparire agli occhi di tutti. Ho i miei credo – radicati profondamente nel cuore – da cui traggo equilibrio e serenità: mi piace condividerli ed è per questo che la mia produzione letteraria è in continuo aumento.
Credo che le Muse siano fra di noi, ci circondino di tanta e tale armonia da colmare cuore e mente di chiunque accolga i loro canti: non è difficile riconoscere l’autenticità di certi scritti, di musiche particolari, di immagini riportate su tele da cui traspare tutta la potenza iniziatica del loro intervento.

Da troppo tempo la storicizzazione della fede ha fatto sì che si sia perso il contatto più autentico col divino, l’ascolto di quella “voce” che da sempre ha “parlato” nella mente di chi si è fermato ad ascoltarsi.
Nello stesso modo molti di noi hanno dovuto tenere nascosta la propria “visione”, le proprie certezze nelle divinità tutelari per non essere ricoverati in ospedali psichiatrici o subire il dileggio di quanti, figli dei Lumi, sono sempre stati depositari dell’unica Verità derivata dalla Scienza.

Da quando ho deciso di limitare dentro di me la paura del giudizio degli altri e mi sono concessa di scrivere quello che udivo appena mi sedevo alla scrivania, il mio mondo è cambiato: un diversa percezione della realtà mi tiene legata all’equilibrio anche quando la mia indole non proprio remissiva mi fa scendere un velo rosso sugli occhi. Credo sia dovuto al fatto che quando le Muse appaiono e scompaiono mi possono lasciare a volte senza forze, a volte sovraeccitata, ma sempre con la sensazione di aver raggiunto attimi di completezza.
Riconosco la loro volontà di comunicare dalla malinconia che sopravviene, da un senso di irritazione verso quello che dovrei fare nel quotidiano, dalla irrequietezza ovunque io mi trovi: non sono più in grado di ascoltare altro che quella voce.

Forse qualcuno può immaginare le Muse come eleganti donzelle dai lunghi pepli che si affannano con strumenti musicali o che danzano scatenate… Ehm… no, posso assicurare che non è così che si presentano.
Per quanto possa sembrare incredibile tutto può iniziare da una frase, un fatto, un contatto con la persona meno “magica” di questa terra, che viene usata per stimolare un qualche ricordo: il cervello recepisce e il cuore risponde.

Il percorso non è semplice perché le crisi di inadeguatezza possono affacciarsi improvvisamente e altrettanto velocemente sparire, uno sguardo pieno di collera può far tremare “dentro” mentre “fuori” si resta impassibili.
Il legame con l’oltre, però, rende molto più libero chiunque percorra l’impervio e solitario sentiero dell’autoriconoscimento: se si vuole riconoscere il proprio volto nel sorriso degli Dei il cammino è costellato da alti e bassi, cadute e risalite, gioie e dolori, successi e sconfitte.

Il percorso diventa di gran lunga facilitato nel momento in cui si capisce di non essere proprietari di nulla – tanto meno della scrittura – e che obbedendo ai segnali, ascoltandosi profondamente si semplifica la propria vita.

Il mondo degli Dei appare inesistente ai più, mentre risulta vivissimo nel cuore di chiunque non abbia perso la facoltà di ri-cord-are, di attivare cioè la funzione principale del “cor-cordis”.

Le dee formano un cerchio di cui amo immaginare il risveglio intorno a noi. Liberate dalla soggiacenza all’età dei Lumi e in piena espansione attraverso la rinascita dentro di noi di quella dignità femminile di cui abbiamo bisogno, mi auguro possano far riscoprire le nostre vere radici.

NOI, LE DEE

copert_morone_6Rendere ridicola o negare ogni forma di religiosità diversa dalla propria è stata una errata interpretazione del termine “spiritualità” che ha contraddistinto anni bui del nostro passato, allontanando molti credenti dal proprio nucleo profondo e indirizzandoli verso la ricerca di un comune modo di esprimere la propria devozione all’Inconoscibile.
Il sentimento di appartenenza ad un credo collettivo ha fatto deviare il rapporto intimo del singolo individuo nella relazione privilegiata con la divinità: questa infatti non può essere figlia di rituali esteriori o di preghiere biascicate senza capirne il significato, ma reclama a gran voce, dentro ognuno di noi, la vicinanza con Dio e il Suo abbraccio rassicurante.

Andate perse, nel 391 dopo Cristo, le tradizioni del sacerdozio femminile con la chiusura del tempio di Vesta a Roma, è andato perduto anche il potere legato al fuoco che questo ordine sacerdotale rappresentava; la donna poco alla volta veniva sempre di più relegata a ruoli secondari e assolutamente inesistenti nell’urbe.
Non per questo però le divinità hanno cessato di esistere; si sono semplicemente allontanate, trovando nei pianeti il loro domicilio, in attesa di risvegliarsi dentro ognuna di noi per donarci l’antica saggezza di un femminile sacro.
Artemide, Giunone ed Estia si sono presentate nella mia mente quasi in contemporanea, ognuna ben connotata nel suo aspetto regale, desiderosa di rivivere antichi splendori tra le pagine di questo poemetto.
Ciascuna di loro ha ricordato le proprie particolarità e i tre diversi aspetti di una stessa persona, mentre attraversa i vari periodi della vita, affrontando vere e proprie iniziazioni.

Artemide, dal sacro furore di giovane dea priva di legami e non disposta a cedere la sua libertà congiungendosi ad un dio.
Giunone, moglie tradita e rosa dal fuoco dell’ira nei confronti delle conquiste – quasi sempre ignare – del proprio coniuge.
Estia, dea saggia che mantiene acceso il fuoco interiore e non sente il bisogno di essere ammirata o considerata – nella sua potenza sacerdotale di anima, nucleo, cuore della famiglia – dal mondo esteriore; così autosufficiente da allontanarsi dall’Olimpo per vivere unicamente di se stessa.

Tre immagini di femminile, tre fasi della luna, tre età della donna: tre stati in cui possiamo identificarci traendone i pregi e prendendo le distanze dai loro difetti per poterci riconoscere in una divinità più alta in cui l’universo femminile non sia diviso in partizioni.

La nostra completezza infatti è legata al riconoscimento di ogni parte di noi, anche nei riflessi che appartengono all’ombra, perché solo attraverso questo processo saremo in grado di accoglierci, accettarci, perdonarci e viverci per quello che siamo, facendo di ogni nostra esperienza, positiva o negativa che sia, una tappa del nostro percorso verso la meta, lontano da un giudizio immanente. Questo presume la disponibilità a vedere, nei nostri incontri, amici e nemici senza porre barriere e preclusioni, perché solo procedendo con un sereno distacco interiore potremo non essere turbate oltre la misura dagli avvenimenti che immancabilmente arriveranno per metterci alla prova.

Il giudizio di ciò che è giusto o sbagliato risiede nella nostra interiorità più profonda ed è sempre riferito a noi stesse, non alle azioni degli altri: vivendo del nostro fuoco interiore non saremo più in balia della realtà esteriore, ma la affronteremo e le daremo la giusta importanza in rapporto a ciò che saremo state capaci di approfondire nel mondo degli archetipi; cioè nel contatto sempre più simbiotico e indissolubile con il divino, nel quale risiede la Verità.
Siamo però troppo abituate a dover giustificare la nostra non appartenenza al gregge belante per poter levare una vera voce contro le insensatezze di chi ci vorrebbe relegate in stereotipi del tutto fuori tempo e fuori luogo: così se non riusciremo a riconnetterci al potere derivante da quella realtà interiore e legata a valori ancestrali, potremo solo soccombere e implodere. In tal caso non dovremo accusare altro che noi stesse per non aver voluto scandagliare i meandri di un inconscio solo apparentemente inquietante.

Questo è il significato della singolare danza divina che prosegue con lo stesso ritmo cadenzato: siamo donne e sappiamo riconoscerci nei passi ondeggianti che connotano il proseguire nel nostro cammino in ogni momento della nostra giornata; dall’alba quando la “ditirosata” ci rende ricettive alla luce del sole che sorge a quando la passionale Venere ci fa scivolare sotto le lenzuola profumate, fosse anche del sacro talamo nuziale, se siamo in grado di vedere negli impedimenti null’altro che una forma iniziatica per raggiungere il nostro pieno potenziale.

NOI E LA DEA

copert_morone_dee4Mi piace immaginare il consesso degli Dei ammutolito, in preda allo stupore di fronte alla realizzazione del nuovo ordine creato da Zeus e quest’ultimo che chiede loro cosa manchi per raggiungere la perfezione.
Mi piace credere che abbiano espresso il desiderio di una melodia divina per annunciare e celebrare tanta grandezza.
Mi piace pensare alla voce tonante di Zeus che chiama a raccolta le Muse e al mito che prende forma dal loro canto, percepito dai poeti in ascolto… un vero e proprio colloquio tra l’umanità e il divino, come raccontato in un Inno di Pindaro.

Mi piace vedere Zeus che, preoccupato per la gravidanza di Metis, sua prima moglie nonché divinità dell’Oceano, con uno stratagemma, la rimpicciolisce e la ingoia cercando di sfuggire al proprio destino: prima di lui Cronos – suo padre – e Ouranos – il padre di suo padre – erano stati detronizzati dal figlio maschio.
Metis, però, ha concepito una femmina, Athena, la quale non intende essere mummificata dentro il genitore, per questo procura a questi tanti e tali dolori da costringerlo a chiedere l’aiuto di Efesto… un colpo dell’ascia bipenne e la figlia guerriera con la lancia in pugno, l’elmo in testa, urlando un grido di battaglia, vede la luce, diventando artefice del proprio destino.

Le idee di Zeus prendono corpo in una divinità femminile!

Cosa ci si può aspettare da un simile essere? Accoglienza? Tenerezza? Dedizione? Comprensione?

No, Athena incarna l’intelligenza, la saggezza, la sagacia, la volontà di riuscita, il libero arbitrio, l’astuzia al limite dell’inganno, le arti e i mestieri.

Chi sposerebbe cotanta forza della natura? Nessuno, infatti, perché la Dea ha ottenuto dal padre di non doversi sottomettere ad alcun Dio e vive la propria essenza senza limiti, in totale libertà

Eppure dentro di noi, anche se in minima parte, Athena deve aver dignità di cittadinanza: sono talmente tante le sue espressioni da lasciare ampio spazio per l’interpretazione, per quanto l’intensità possa essere ridotta.
Non è necessario ambire alla stanza dei bottoni: in certi casi è sufficiente conquistare uno spazio della propria vita in cui la realizzazione di un maglione, il ricamo di una tovaglia, la costruzione di un giocattolo per il proprio figlio, la meticolosa cura del proprio giardino, la soluzione intelligente a un problema domestico o in ufficio possono far respirare questa parte di noi così difficile da conciliare con le altre.
Una donna contemporanea con Athena dominante esiste ed è sicuramente inserita nella fascia del comando, tra uomini che la rispettano e donne che la temono.
La temono perché è figlia del padre, con un rifiuto profondo nei riguardi del femminile e della madre; una potenziale acerrima e pericolosissima nemica qualora ci si trovi tra lei e il suo obbiettivo.
Non ha pietà, manca di quell’attributo, cosa abbastanza diffusa tra gli Dei greci: questi, infatti, per quanto sottoposti alla legge cosmica, agiscono secondo schemi che non prevedono, se non in casi rari, la debolezza e che avvallano le azioni del più forte.
Perché è la Forza che deve essere messa in atto, non la pietà.

Si tratta di un concetto espresso magistralmente nel Mahâbhârata da Krishna che indica ad Arjuna, preso dallo sconforto di fronte a un combattimento fratricida che comporterà la morte di tanti uomini, la conseguenza logica del Dharma prima della battaglia in cui sono schierati i due eserciti “Tu sei un guerriero e devi combattere – afferma il dio – non devi preoccuparti di vincere o perdere, se sei dalla parte giusta o sbagliata, e ancora meno deve importarti ciò che le tue azioni provocano, perché non spetta a te il governo del mondo. Tu devi fare al meglio delle tue capacità quello che la sorte ha deciso fosse il tuo compito. Solo agli Dei spetta il governo del mondo”.
Nello stesso tempo diversa lezione ci giunge dalle immagini di Prajna e Karuna ai lati del Buddha Amithaba – seduto sul fiore di loto – che incarnano saggezza e compassione infinite: sono due bodhisattva, esseri che hanno scelto di rimanere sulla terra in aiuto all’umanità, pur essendo illuminati e che vivono tra noi come intelligenze attive, in incognito.
Ci si potrebbe chiedere dove sia finito il fratello di Athena, quello che avrebbe potuto incarnare la misericordia divina, ma il mito sull’argomento è vago.

Una cosa è certa, però: Zeus è stato detronizzato e Colui che lo ha fatto tacere insieme agli altri Dei è proprio il “Figlio di Dio”, un essere misericordioso che si è sacrificato, salendo sulla croce, per l’umanità. Strana coincidenza!

Un’altra domanda potrebbe essere “Perché la nascita di una simile Dea, quale la necessità di una tale immagine?”
Classificata da Jean Bolen tra le dee vergini nel saggio “Le dee dentro la donna”, Athena risulta essere una virago dedita alla sopraffazione e fautrice del potere maschile, vendicativa (come altre sue colleghe) e infida: se gli Dei sono la proiezione delle nostre virtù e dei nostri vizi, perché celebrare un elemento ibrido tra maschile e femminile se non per mostrare una tipologia umana con un preciso scopo?
Noi oggi siamo orgogliose di identificarci in un simile divino?

Pensiamo ad Elisabetta I, donna dall’intelligenza superiore, ma costretta a scegliere tra testa e cuore, tra il suo Essex e l’Inghilterra; ricordiamoci la di lei sorellastra Maria Tudor, crudele al punto tale da essere chiamata “la sanguinaria”; osserviamo il comportamento di Matilde di Canossa, grandiosa politica in grado di fare inginocchiare nella neve col capo cosparso di cenere (in pieno Medioevo, quando alla donna non erano concessi grandi privilegi) un imperatore del calibro di Enrico IV; assistiamo al ferimento di Madame Blavatsky – personaggio ottocentesco unico, fondatrice della Società Teosofica – che fa scudo con il proprio corpo a Giuseppe Garibaldi nella battaglia di Mentana; poi, nel nostro secolo, vediamo scorrere un lungo film dove le protagoniste sono Margaret Thatcher e mille altre che in nome di un successo tattico razionale hanno sovvertito l’ordine precostituito, negandosi però la via della tenerezza. Quindi chiediamoci se davvero Athena non sia un archetipo che possa realizzare appieno la donna contemporanea senza eccessive lacerazioni.

Quanto ci porta lontano dalla ricerca interiore l’identificazione con una tipologia così proiettata verso l’esterno, verso la conquista di un potere conteso al maschile? Quanto ci allontaniamo da noi stesse negandoci un cammino che attraversa i luoghi della spiritualità, della conoscenza e delle piccole conquiste nel quotidiano, non valutandone appieno l’importanza?

Se le altre Dee sembrano coesistere abbastanza tranquillamente dentro di noi, questa indomita divinità ci pone di fronte a scelte sempre drastiche, non ci dà modo di frequentare i luoghi di un femminile misericordioso, là dove la saggezza dovrebbe prendere in considerazione il fatto che una violenza perpetrata nei confronti di un altro essere umano è una violenza fatta a noi stesse, perché “nessun uomo è un’isola” come recita John Donne in “Per chi suona la campana”.
Forse scendere nel profondo e incontrare quella Athena che appare vicino a Ettore sotto le mura di Troia – dove sta per avere inizio il duello con Achille – prendendo le sembianze del fratello per fargli credere di avere a sua disposizione ancora una lancia e decretando in tal modo la sua morte, non è poi così gratificante; forse essere suggerite dalla Dea per realizzare un cavallo di legno con cui entrare vigliaccamente nelle difese nemiche, non è poi così esaltante; forse dare il voto definitivo per la salvezza di un matricida come Oreste, adducendo una giustificazione più che maschilista, non è poi un così grande merito.

Forse però la figura di Athena sta a proporci l’incontro con la nostra ombra più nera, affinché siamo in grado di perdonarci là dove saremo proprio noi a doverci giudicare, ben oltre tutti moralismi e le inibizioni che ci tengono in scacco, dove la vera Libertà è sovrana.

Libertà, quella parola che tanto superficialmente pronunciamo senza essere in grado di viverla nella sua essenza: eppure una scintilla della fiamma divina esiste dentro di noi, per quanto possiamo temere di “non appartenere” a un gruppo, di non essere gradite agli altri o, peggio ancora, di non essere “abbastanza”.

La Libertà è viversi per quello che si è, non per quello che pensiamo il resto del mondo possa vedere in noi.
La Libertà è quella Forza che ci fa “creare” quando le Muse cantano avvicinandosi a noi, per quanto il nostro linguaggio possa risultare poco comprensibile a coloro i quali hanno chiuso il cuore all’ascolto del divino.

Chicca Morone

Illustrazioni: i fiori di Gianna Tuninetti

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