D. Per scrivere da professionisti, basta il talento innato?
R. Il 20% è talento, ma il restante 80% è lavoro, lavoro e ancora lavoro. Finnegans Wake non sarebbe così grande se non ci fosse stato tutto quel lavoro, e nemmeno la poesia di Giampiero Neri, per fare un esempio di tutt’altro genere, più vicino a noi. Spesso poi la consapevolezza del proprio gusto e talento può essere un handicap, può favorire la pigrizia nei confronti di una percezione aperta e verso la ricerca. Chi ci appare dotato di talento oggi, potrebbe non apparire più così domani. Ci sono autori talmente dotati che la loro opera non è di alcun interesse. Jasper Johns, scherzando, si lamentava perché ci vedeva troppo bene; il compositore americano Morton Feldman, a proposito di un espediente tecnico affermava “Lo faccio anche troppo bene; forse è per quello che non lo uso spesso”.

D. Su per giù quanti libri hai letto per ogni opera che hai scritto?
R. Penso che non sia tanto importante quanti, ma “come” i libri vengano letti. Comunque non si legge mai abbastanza. Non esistono scrittori autenticamente naif, nemmeno i poeti della Beat Generation o quelli della oral poetry americana attuale lo sono. Personalmente sono uno che scrive poco e lentamente: per completare un’opera, spesso breve e smilza, ci vogliono anni, e in essa entrano, oltre naturalmente all’esperienza umana e sociale reale, tutti i libri aperti durante quegli stessi anni. Un elefante che partorisce un topolino.

D. Poesia, narrativa, saggistica, giornalismo: se un genere ti ha catturato più degli altri, sai il perchè?
R. La narrativa e la poesia senza dubbio, e molto teatro d’oggi. Dove, al contrario dei saggi, sociologici, filosofici o d’altro genere (che conosco per formazione), le cose vengono dette “attraverso” e le verità appaiono, pur nella finzione, “in situazione”. I saggi che leggo di più riguardano comunque l’arte contemporanea (concettuale e non), che forse oggi si interroga ed è testimone dei tempi più della parola scritta. Quanto al giornalismo, è invece legato alla mia attuale professione.

D. La scrittura di oggi esige una differente preparazione culturale rispetto a quella necessaria ieri?
R. In una società complessa che richiede la selezione continua delle informazioni, società però fondata sull’intrattenimento effimero (in cui vigono l’edonismo di massa e il televisore sempre acceso), è più difficile trovare la propria voce e farsi ascoltare. Difficile anche conservare la sensibilità e la profondità di pensiero nel contesto di vite accelerate, in cui il soggetto scompare. E se ha ragione Raffaele Simone a denunciare la crisi attuale del testo a stampa e della scrittura sequenziale a favore della simultaneità dei nuovi media della visione e dell’ascolto, questo fa riflettere su quanto cambierà il concetto di preparazione (e di cultura/e) nel prossimo futuro, o forse di quanto stia già cambiando.

D. Come lo vivresti un eventuale insuccesso di critica e successo di pubblico?
R. Con preoccupata euforia.

D. Il tuo rapporto con l’editore è generalmente più d’amore o di odio?
R. Laddove possibile, di dialogo, di fiducia e di stretta collaborazione.

D. Vincere oggi un importante premio letterario, appaga l’Ego dell’Autore tanto quanto soddisfa la sua borsa?
R. L’Ego soltanto, se non altro perché valorizza il suo discorso e ne diffonde l’opera. Quale pazzo camperebbe sui premi letterari?

D. Incide, nel successo di uno scrittore, l’appartenenza ad una corrente politica o ideologica?
R. Non credo che una certa consapevolezza (da cui uno scrittore non distaccato dal reale non può prescindere) debba corrispondere necessariamente a una collocazione politica. Tanto più oggi che appartenenza politica significa appartenenza partitica, e la politica è soltanto “politica dell’economica”. L’intelligenza è altrove. E le ideologie? Brutta parola, meglio “idee”.

D. E’ possibile, oggi, che un grande scrittore non venga mai scoperto e resti per sempre nell’ombra?
R. Può capitare solo nel caso arrivi al momento sbagliato, se cioè il suo percorso non è quello dei tempi, o non li precorre. Oppure succede a chi, per quanto valido, nelle relazioni umane si fa intralciare dal proprio carattere personale. Comunque, generalmente, chi vale, prima o poi viene scoperto.

D. Qual è il tempo massimo di fama per un mediocre scrittore asceso agli allori per ragioni “promozionali”?
R. Coincide con la durata della promozione editoriale della sua opera, ed è proporzionale ai soldi per essa investiti. Passa come una moda.

D. Quando metti la parola fine a una tua opera, hai la consapevolezza di quanto sei riuscito a dare o a non dare?
R. Ho, per lo meno, la consapevolezza di quello che ho scritto e di come vi sono arrivato.

D. Hai mai provato il desiderio di rinnegare qualcosa che hai scritto?
R. Dopo che un’opera è stata pubblicata e da me promossa per un certo periodo di tempo, non ha più bisogno di essere approvata o rifiutata, se vale camminerà da sola, se no no. L’arte della scrittura deve essere distaccata, altrimenti non è arte; le emozioni te ne possono dare una visione distorta. Non so fino a che punto le mie raccolte di poesia e prosa si assomigliano e non mi interessa neanche saperlo. Mi sembrerebbe più un limite che un pregio se un mio prossimo progetto fosse immediatamente riconoscibile come mio: “Le parole si deono molto discretamente sostenere e lasciare” scriveva Dante.

D. Leggere un’opera altrui che giudichi eccellente ti stimola o ti scoraggia?
R. Gli autori che, per qualsiasi aspetto della loro opera, giudico eccellenti sono i soli che mi stimolano e mi interessano.

D. Hai già scritto l’opera che hai sempre voluto scrivere?
R. Non credo all’idealismo di un'”opera che ho sempre voluto scrivere dal principio”; ci sono invece progetti parziali – anche molto diversi tra loro – che ho realizzato e realizzo nel corso di diversi momenti di crescita umana e artistica, in un apprendistato continuo.

D. Cosa ami del mondo e del tempo in cui vivi? Cosa detesti?
R. Ne amo le possibilità che offre a chi sa vederle, e ne detesto certa superficialità
nella comunicazione.

D. Quale luogo comune, imperante nel nostro tempo, vorresti sfatare?
R. Un tipo di comunicazione accelerata come quella attuale (oggi “solo la prospettiva a brevissimo raggio è sopportabile” per citare Updike) spesso non permette l’analisi delle cose e delle situazioni nella loro specificità. Meno tempo si ha per la percezione di un nuovo oggetto, di una nuova persona o di una nuova situazione, più facilmente questi possono venire erroneamente assimilati ad altri oggetti, persone e situazioni già familiari: ricorrere all’idea di somiglianza è più semplice, rapido e consono al metabolismo dell’epoca. E non porta a conoscere. Quando poi le famiglie di oggetti, situazioni o persone simili vengono trasposte nella lingua d’uso, allora nascono i luoghi comuni, che sono perciò costitutivi del modo di comunicare imperante nel nostro tempo. Questa attitudine al luogo comune va almeno smascherata e messa a nudo, anche con l’ironia, e non sfatata (altrimenti, compito donchisciottesco, i luoghi comuni andrebbero sfatati tutti).

D. Qual è il valore più importate che ritieni vada difeso o recuperato?
R. Per lo scrittore, la dedizione, l’immaginazione (a vari livelli) e la precisione. Per l’uomo, la sincerità e la serenità, e poi razionalità e sentimento, che li comprendono tutti.

D. Dando un voto da 1 a 10, quanto sono della persona e quanto del “personaggio” le tue risposte in questa interSvista?
R. Ottima domanda. “Ognuno è libero di elaborare le proprie opinioni a riguardo” (Botho Strauss).

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