D. Per scrivere da professionisti, basta il talento innato?
R. È un buon inizio, ma poi è necessario formarsi gli strumenti di un buon artigianato della scrittura. A volte mi capita di leggere pagine di grande talento, ma che mancano di lavoro artigianale e suonano pertanto arruffate. Peggio è comunque leggere pagine di buon artigianato che però mancano, appunto, di talentuosità.

D. Su per giù quanti libri hai letto per ogni opera che hai scritto?
R. Per scrivere un lungo saggio mi capita di dover leggere una decina di libri; ma ne vanno comunque consultati di più. Per scrivere un buon aforisma è sufficiente a volte un buon caffè.

D. Poesia, narrativa, saggistica, giornalismo: se un genere ti ha catturato più degli altri, sai il perché?
R. Io personalmente sono maritato con la saggistica. Adoro la formula di “saggismo narrativo” di cui sono stati maestri un Cecchi, un Macchia, un Praz e via dicendo. Ne conosco le ragioni: mi piace la lettura di “fatti e cose vere”, come il saggismo mi concede, ma allo stesso tempo non voglio rinunciare al piacere della lettura. Dunque il genere del “saggismo narrativo” è quello che più si accosta alla mia forma mentale.

D. La scrittura di oggi esige una differente preparazione culturale rispetto a quella necessaria ieri?
R. Porrei diversamente la questione: è cambiata l’atmosfera culturale in cui viviamo e dunque è cambiata la scrittura. Perché la scrittura dipende dalla realtà in cui si vive, perfino dalla casa in cui si vive. La scrittura esige quasi sempre preparazione culturale, soltanto che questa cambia di aspetto nelle diverse epoche.

D. Di chi è la maggiore responsabilità se in Italia si legge così poco?
R. È facile rispondere: di chi ci governa (piove, governo ladro). Ma secondo me va messa in conto la grande trasformazione che i mezzi di comunicazione visiva hanno provocato. Se non avessimo la televisione sono certo che leggeremmo tutti di più. Insomma: è tutta una questione di storia della tecnica.

D. Come lo vivresti un eventuale insuccesso di critica e successo di pubblico?
R. Tutto quel che io ho scritto è stato baciato da mediocre successo di critica e da insuccesso pubblico. Se ora mi capitasse il contrario lo vivrei come un’esperienza festosa, come una vacanza ai Caraibi.

D. Il tuo rapporto con l’editore è generalmente più d’amore o di odio?
R. Difficile rispondere: non amo molto gli editori che mi hanno pubblicato, e adoro invece quelli che non mi hanno mai pubblicato. Diciamo che vivo una situazione schizofrenica.

D. Vincere oggi un importante premio letterario, appaga l’Ego dell’Autore tanto quanto soddisfa la sua borsa?
R. Anche qui si tratta di esperienza per me mai realizzata: non ho mai ricevuto molto danaro per i libri che ho pubblicato, soltanto spiccioli. Ne deriva che ho provato più piacere a ricevere qualche riconoscimento in forma di premio. Una menzione al “Torino in Sintesi” di anni addietro fu per me esperienza assai piacevole. Così come piacevole è stata la vittoria del “Guidarello per il Giornalismo d’Autore” nel 2011, premio questo a cui non si partecipa: un giorno ti chiamano e ti dicono che l’hai vinto, semmai per un articolo della cui esistenza ti eri anche dimenticato.

D. Incide, nel successo di uno scrittore, l’appartenenza ad una corrente politica o ideologica?
R. No comment. Se rispondessi diventerei inevitabilmente volgare. Il fatto è che io sono un “cane sciolto” che non ha mai avuto in tasca nessuna tessera di partito, né gode di prebende. Disprezzo, dal profondo del mio cuore, gli scrittori “patentati”, e qui mi fermo, ché in Italia esistono varie mafiette letterarie su cui è meglio stendere un velo pietoso.

D. E’ possibile, oggi, che un grande scrittore non venga mai scoperto e resti per sempre nell’ombra?
R. Sì (vicenda Morselli insegna). Anche perché la “massa” della scrittura che circola non aiuta nessuno alla meditazione critica, a fermarsi un attimo per dividere il grano dalla pula.

D. Può durare oltre la sua generazione la fama di un mediocre scrittore asceso agli allori per ragioni “promozionali”?
R. No: vedasi i vari casi di campielli e streghe immeritate, defunti dopo il secondo libro.

D. Quando metti la parola fine a una tua opera, hai la consapevolezza di quanto sei riuscito a dare o a non dare?
R. Direi di sì: ho la consapevolezza di aver dato sempre meno di quel che volevo… Ma questo funziona se la persona è dotata della migliore qualità dello scrittore: l’umiltà. Sapesse quanti scrittori ho incontrato nella mia vita – semmai alla presentazione di un loro libro – che credevano di aver scritto una cosa “eccelsa”… Ecco, in quei casi credo sia difficile ritenere che uno abbia la consapevolezza di quel che non ha dato.

D. Hai mai provato il desiderio di rinnegare qualcosa che hai scritto?
R. Molto spesso. Anzi, l’ho anche fatto. È l’eterna questione degli scritti prodotti da giovani: se uno potesse li brucerebbe.

D. Leggere un’opera altrui che giudichi eccellente ti stimola o ti scoraggia?
R. Una volta mi stimolava, ora mi scoraggia. Sento che ormai non riuscirò mai più neanche a sognare di toccare quel confine. Poi c’è un problema che forse è molto soggettivo: io non reggo la grande bellezza, che mi dà una sorta di stretta toracica, anche dolorosa, e me ne devo distogliere per tornare alla banale quotidianità (ne deduco che forse l’uomo non è “tarato” per la bellezza). Dunque accade che quando leggo qualcosa di molto bello, non solo mi scoraggia, ma devo anche staccarmene se voglio evitare l’angina pectoris.

D. Hai già scritto l’opera che hai sempre voluto scrivere?
R. No. Nella scrittura questo limite non si tocca mai.

D. Cosa ami del mondo e del tempo in cui in vivi? Cosa detesti?
R. Amo la bella editoria. Detesto la pessima editoria.

D. Quale luogo comune, imperante nel nostro tempo, vorresti sfatare?
R. Che leggere sia una cosa positiva per tutti, indistintamente da ogni cosa. Io credo invece che deve leggere chi ha voglia di leggere. Ciò implica anche un diverso concetto di cultura: fa vera cultura chi ha voglia di farla; chi attende finanziamenti per muovere le chiappe non fa cultura.

D. Qual è il valore più importate che ritieni vada difeso o recuperato?
R. Quello descritto nella riposta di prima: che si difenda chi ha fame di cultura.

D. Dando un voto da 1 a 10, quanto sono della persona e quanto del “personaggio” le tue risposte in questa interSvista?
R. 9 alla persona, 1 al personaggio.

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