D. Per scrivere da professionisti, basta il talento innato?
R. Il talento è il punto di partenza ed il requisito indispensabile. Occorre, tuttavia, coltivarlo con la lettura e l’esercizio che, soprattutto quando si scrive poesia, deve essere anche interiore.

D. Su per giù quanti libri hai letto per ogni opera che hai scritto?
R. Con esattezza non saprei dirlo. Ho sempre letto moltissima poesia (di ogni epoca), ma anche libri di filosofia e di religione. Attualmente, per la preparazione dei miei nuovi lavori poetici, sto leggendo anche numerosi saggi di bioetica, di fisica e di astronomia, oltre che molte biografie.

D. Poesia, narrativa, saggistica, giornalismo: se un genere ti ha catturato più degli altri, sai il perchè?
R. Sicuramente la poesia, per la sua capacità di condensare in pochi versi fittissime trame di emozioni, di aprire finestre su spazi smisurati.

D. La scrittura di oggi esige una differente preparazione culturale rispetto a quella necessaria ieri?
R. Penso che per la saggistica sia effettivamente necessaria una preparazione culturale più ampia, che sia al passo con i tempi in cui viviamo. Per la poesia, invece, non credo che possa dirsi lo stesso, in quanto essa trae alimento dalla vita, dalle emozioni, dalle sensazioni, dai sogni del poeta, dalla sua capacità di mettere a nudo la sua anima di fronte a se stesso e di fronte al mondo che lo circonda.

D. Di chi èla maggiore responsabilità se in Italia si legge così poco?
R. La responsabilità è solo di chi non legge. Questa situazione, del resto, credo che sia lo specchio della nostra società nella quale è ormai assente qualsivoglia spinta culturale, in cui si assiste (personalmente, con grande sofferenza) ad un appiattimento delle idee e ad un totale disinteresse per i valori etici.
Penso, tuttavia, che a tale mancanza di interesse per la lettura contribuiscano non poco gli attuali meccanismi editoriali, tutti incentrati sulla pubblicazione e sulla promozione di libri di facile consumo ma totalmente privi di contenuti, da acquistare al supermarket e da leggere sulla spiaggia.
La poesia (la lingua batte dove il dente duole), invece, è pressoché ignorata dagli editori (per fortuna, non da tutti), che la considerano un genere letterario difficilmente “vendibile” e, come tale, non rispondente alla logica oggi imperante, quella del profitto. La speranza (che, si sa, è sempre l’ultima a morire) è che questa tendenza possa in futuro modificarsi.

D. Come lo vivresti un eventuale insuccesso di critica e successo di pubblico?
R. Sono un modesto autore che, almeno per il momento, vive (a volte anche con serenità) nell’insuccesso, di critica e di pubblico. Non è, quindi, facile per me immaginare cosa proverei in caso di successo. Scrivo, tuttavia, anche per comunicare, agli altri oltre che a me stesso, e, pertanto, credo che il consenso dei (soli) lettori mi darebbe comunque grande soddisfazione in quanto mi farebbe pensare che, forse, qualcosa di me sono riuscito a trasmettere.

D. Il tuo rapporto con l’editore è generalmente più d’amore o di odio?
R. Né amore, né odio. Per chi ha scelto di pubblicarmi non posso che provare rispetto (anche per il coraggio dimostrato) e gratitudine. Certo, gradirei maggiore partecipazione dell’editore nella promozione dei miei lavori e, quindi, questo elemento lo valuterei (valuterò) attentamente al momento della pubblicazione dei miei prossimi libri, senza tuttavia dimenticare la gratitudine ed il rispetto dovuti a chi, per primo, ha creduto in me.

D. Vincere oggi un importante premio letterario, appaga l’Ego dell’Autore tanto quanto soddisfa la sua borsa?
R. Non ho vinto alcun premio letterario. Credo, comunque, che in caso di vittoria l’appagamento dell’ego supererebbe di gran lunga la “soddisfazione” della borsa.

D. Incide, nel successo di uno scrittore, l’appartenenza ad una corrente politica o ideologica?
R. Appartengo solo a me stesso e, quindi, con esattezza non so valutare l’importanza di questo elemento. Penso, però, che “l’appartenenza” sia molto importante, sia ai fini del riconoscimento di un autore sia per il suo successo, quantomeno in considerazione della visibilità di cui gode “l’appartenente” (sarebbe meglio dire “appartenuto”? O forse il termine “posseduto” rende ancor meglio l’idea?).

D. E’ possibile, oggi, che un grande scrittore non venga mai scoperto e resti per sempre nell’ombra?
R. Ritengo sia ancora possibile, in quanto spesso la “scoperta” è legata a quell’appartenenza di cui si è detto sopra. Per i poeti, poi, è tutto molto più difficile, considerata la generale mancanza di interesse per la poesia alla quale quotidianamente assistiamo, anzi, che quotidianamente viviamo.

D. Può durare oltre la sua generazione la fama di un mediocre scrittore asceso agli allori per ragioni “promozionali”?
R. No. “Il tempo è galantuomo”, anche per gli scrittori. Accade, invece, spesso il contrario: un grande scrittore che viene riconosciuto come tale solo dopo la sua scomparsa.

D. Quando metti la parola fine a una tua opera, hai la consapevolezza di quanto sei riuscito a dare o a non dare?
R. No, la consapevolezza è solo successiva. Al momento della conclusione ho solo la certezza di aver dato quello che ero in grado di dare in quel momento.

D. Hai mai provato il desiderio di rinnegare qualcosa che hai scritto?
R. Rinnegare? E perché mai? Se lo facessi, rinnegherei me stesso, dal momento che tutto quello che scrivo è parte di me. Mi accade, invece, di non condividere il modo in cui ho espresso determinate mie emozioni e sensazioni, ma questo fa parte di un naturale diritto di critica che esercito nei miei confronti sempre in modo molto rigoroso. Rinnegare, però, mai.

D. Leggere un’opera altrui che giudichi eccellente ti stimola o ti scoraggia?
R. Mi scoraggia sempre, perché sono portato a confrontare quello che scrivo con i lavori degli altri e, quando l’opera altrui è eccellente, mi viene da pensare che non sarò mai in grado di scrivere qualcosa di così bello.

D. Hai già scritto l’opera che hai sempre voluto scrivere?
R. No, e non so se ci riuscirò mai.

D. Prima, durante, dopo il parto letterario: cambi umore durante queste tre fasi della scrittura?
R. Certo che sì! Passo da un “prima” fatto di esaltazione, di gioia per la scintilla creativa che ho sentito accendersi dentro di me ad un “durante” pur sempre denso di stimoli, ma nel quale si alternano continuamente momenti di soddisfazione e di frustrazione. Il “dopo” è ancora più complesso, perché la gioia per l’ultimazione dell’opera è presto sostituita da un senso doloroso di perdita (della creatura tenuta in grembo) e dall’ansia per il futuro (“e ora? riuscirò a scrivere altro?”).

D. Cosa ami del mondo e del tempo in cui in vivi? Cosa detesti?
R. Domanda, questa, alla quale è davvero difficile rispondere. Amo la vita, in tutte le sue accezioni. Ma il tempo in cui vivo mi piace molto poco, così rivolto verso l’esteriorità, verso l’apparire, così insensibile e lontano dalla mia natura profonda. Detesto, poi, la mancanza di rispetto per la vita e per gli altri, l’ipocrisia, i servi del potere, il “senso comune”, la “morale comune”, il “tutti la pensano così”, il materialismo, la politica di oggi…. Potrei, in realtà, continuare per ore. L’elenco delle cose che detesto è veramente lunghissimo.

D. Quale luogo comune, imperante nel nostro tempo, vorresti sfatare?
R. Che “la poesia non vende”; che “i poeti sono solo dei sognatori”; che “con i sogni non è possibile cambiare il mondo”.

D. Qual è il valore più importate che ritieni vada difeso o recuperato?
R. Ritengo che vadano recuperati tutti i valori etici, perché mi sembra che la società di oggi sia sprofondata in un sonno dell’etica che, come quello della ragione, è destinato a generare mostri.

D. Dando un voto da 1 a 10, quanto sono della persona e quanto del “personaggio” le tue risposte in questa interSvista?
R. Credo di aver risposto in totale sincerità a tutte le domande e che, quindi, la persona abbia prevalso interamente sul “personaggio”, che comunque non sono. In ogni caso, mi piace ricordare che, come diceva Pessoa, “il poeta è un fingitore”.

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