copert_baroni 2016LE QUINTE, LE FRASCHE, LE DUNE
di Silvana Baroni
Versi e disegni dell’autrice

Scomodamente a dorso d’inchiostro, la taumaturga-poeta spalanca le pupille con effetto straniante, mentre la voce sterza verso una dizione documentaria e tagliente.

Nella faglia temporale dell’istante la verità irrompe come un lampo, salendo dalla percezione puramente sensoriale al livello in cui il significante comporta necessariamente la significazione. La poesia diventa guadagno di spazio, margine, corpo a corpo della soggettività con se stessa.

L’autrice irrompe con l’impeto di parole asciutte e dure che all’occorrenza mostrano quella morbidezza e pastosità che è segno di grande capacità espressiva: si vede il febbricitante, il ben lavorato, il ben limato. L’eloquenza non dà mai sfoggio di sé ma si esprime in concisa nervosità e luminosa energia, in uno stile originale per argomentazioni, facondia e immagini.

…..Dialogo tra Paolo Carlucci e Silvana Baroni

P.C. Ti apprezzo da sempre per quanto ami la tua pelle di libertà, che la tua opera poetica e grafica dimostrano ampiamente. Sin dal primo incontro mi colpì il tuo modo di dire ed essere, la necessità etica con la quale ricerchi la parola che dice la vita, per quanto, anche come visionaria del quotidiano, sei capace di effigiare infernali macchine di verità esistenziale. Subito mi chiedo e ti chiedo le ragioni di un titolo così intrigante e pervaso dall’ironia, che sempre ti caratterizza.

S.B. Le quinte, le frasche, le dune, sono gli schermi oltre i quali amo guardare. Le quinte, dietro le quali è possibile svelare i più reconditi comportamenti, mettere a nudo la finzione, e dove la lettura si fa inevitabilmente corrosiva, aforistica. Le frasche, invece sono l’elemento naturale entro il quale l’uomo si palesa per quel che è, semplificato a creatura felice di appartenere alla creazione. Le dune, infine, appartengono al deserto, alla meditazione, alla ricerca filosofica; nel mio caso rassegnata a non sapere.

P.C. E’ quello che avevo intuito. Sono i tre livelli dello svelamento. In fondo ancora il tuo ricercare, con la tua tipica modalità di sguincio, sorniona, anche affettuosa. A volte mi sembri un gatto che, ghermito il topo, s’impietosisce e lascia la presa.

S.B. Certo, la mia è una ricerca che nasce dal dubbio, dalla costante incertezza di trovarmi di fronte alla verità. Quindi non mi insuperbisco a gatto sul topo.

P.C. La tua è anche una ricerca di quel ch’è nuovo e/o eterno. E qui la tua indole personale corrisponde in pieno all’espressività della tua arte letteraria. Sarà la tua formazione medica, oltreché umanistica, a darti lo smalto del forse, bisillabo pungente, spesso in fine di verso, di un’esperta in neuroscienza in praticantato poetico, sempre scevra dell’orpello retorico. So che ami la parola arte, che ti semplifica le definizioni, in quanto espressione di totale autenticità.

S.B. Esattamente. Come del resto non amo la definizione poeta, preferisco scrittrice. Scrivere è segnare, disegnare, incidere la propria weltanschauung nel vissuto del momento. Questo non vuol dire che non scriva poeticamente, vuol dire che posso scrivere poeticamente e aforisticamente all’unisono e infilarci anche un po’ d’ ironia se possibile.

P.C. A proposito d’ironia, che trabocca in ogni tuo scritto, a volte perfida contro i costumi di una società che pare evidente non piacerti, a volte smorzata da una comprensione fortemente empatica, trovo che tu la sappia distribuire in egual misura nella scrittura e nel disegno. Anche i tuoi disegni sono al contempo poetici e aforistici. Mi sbaglio?

S.B. Spero proprio tu abbia ragione. Purtroppo non mi sono così estranea da poterlo affermare, ma ne sarei felice.

P.C. Aggiungo che la tua scrittura, come i tuoi disegni, esprimono quella tensione costante alla misura, alla ricerca del linguaggio come fossero segni che non possono essere sostituiti. Quelli e nessun altro. Trovo quasi una spietatezza eroica nel tuo definire la linea borderline tra la certezza di quel che percepisci e il dubbio costante della ragione filosofica. Le tue basi sensistiche e poi neopositiviste logiche sono evidenti. Il tuo esserci veste il vestito del linguaggio che più risponde al tuo bisogno di dire e di creare, altrimenti, come diceva Wittgenstein, meglio tacere.

S.B. E’ proprio su questa linea, di orizzonte-miraggio, a cui segue di ritorno miraggio-orizzonte, che esprimo la mia autenticità. Quella che chiamo Arte. O almeno lo credo, lo spero.
P.C. Insomma, il tuo scampanare alla vita ti porta ad essere una … creazionista spinta! In ogni tuo scritto riscontro, infatti, forza gioiosa di una adesione piena alla natura e al corpo. Da ciò deriva anche un’ austerità di parola, che fa la tua cifra di scrittrice al nero di china.

La Redazione
Dicembre 2016

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