foto_chailly_vitaleRiccardo Chailly

IL SEGRETO E’
NELLE PAUSE

Conversazione sulla musica

Saggistica

Rizzoli Editore

 


Il segreto è nelle pause

Di solito questi libri di famosi interpreti musicali, che si tratti di Zubin Metha, Daniel Baremboim o persino del divino Claudio Abbado, sono pieni di narcisismo, spesso pienamente giustificato, e di aneddotica un po’ fine a se stessa. Soprattutto hanno un piglio agiografico e celebrativo che talvolta, a meno di non essere patologicamente innamorati di quel musicista, davvero attacca alle dita. Ebbene, con questo libro di Riccardo Chailly non corriamo tali rischi.

Sarà per il suo carattere schivo, timido e insicuro, ma lo spazio dedicato all’autoincensamento è davvero scarso. E comunque sempre collegato ad una riflessione sulla musica. D’altra parte a Lipsia ed Amsterdam, dove Chailly si è affermato come direttore stabile, non sono certo degli imbecilli. Già il titolo è affascinante: ma Chailly si contiene e dedica all’argomento del silenzio (forse un po’ abusato oggi) le prime battute del libro che è strutturato come una intelligente intervista.

Il maestro milanese ci racconta dei suoi primi passi, di come si è avvicinato alla musica e all’idea fissa di diventare direttore d’orchestra, malgrado non fosse al liceo, anzi forse proprio per questo, uno studente modello. Il padre, compositore, non aveva grande fiducia in lui. Forse da qui nasce la fragilità di Riccardo, da sempre ossessionato dagli esami, dalle prove. Ma sarà anche la sua grande dote: quella di sapere stare nei limiti, di non essere uno “spaccone” e di accettare lo studio e la fatica come una necessità.

Non so dire se così egli abbia sopperito al talento, ma senza dubbio è ammirevole il percorso di una personalità tenace, umile e pertanto anche originale. Non si diventa assistente di Abbado per caso. Poi occorre giocarsela. E Chailly lo ha fatto. Gli anni di Lipsia e di Amsterdam sono descritti con ritegno, dando grande spazio alle esperienze musicali e al rapporto con delle orchestre sublimi. Così il libro diventa un’interessante miniera di informazioni e scoperte sulla storia delle diverse composizioni, sui compositori stessi, sull’interpretazione dei grandi capolavori.

Come detto, senza retorica né inutile aneddotica Chailly ci fa capire come il mondo della musica classica sfugga ad ogni luogo comune: le partiture non sono delle gabbie rigide, gli autori spesso hanno tralasciato le dovute indicazioni esecutive, molti interpreti fanno di testa loro eseguendo cose che non sono mai esistite (talvolta il tutto va a buon fine, altre volte meno). Insomma la musica è il terreno del confronto, dell’approssimazione infinita che rinnova il piacere della scoperta e dell’ascolto senza pregiudizi. La musica come spazio privilegiato di un’idea di cultura che apre al dialogo a distanza tra autori e interpreti, musicisti e pubblico.

Chailly non si nasconde: ci racconta delle sue difficoltà ad affermarsi, a capire grandi autori come Brahms, Bruckner, Mahler; ci apre ad alcune interessanti scoperte su Mendelssohn, Bach; ci permette di conoscere meglio l’approccio di grandi interpreti con lui ha lavorato (Marta Argerich, Maria Joan Pires, Herbert von Karajan, Claudio Arrau, ad esempio); ci introduce alle sue scelte interpretative di Beethoven (la sua recente incisione delle nove sinfonie per la Decca ha suscitato interesse e polemiche perché egli si è molto discostato dalle classiche letture); ci spiega la sua posizione sul conflitto tra registi tradizionalisti e innovatori (più o meno presunti tali) dell’opera lirica, cosa tanto più significativa se pensiamo a quanto è accaduto di recente alla Scala proprio per la sua “Giovanna d’Arco” di Verdi e ai contrasti con i due registi dell’edizione scalgeri; ci anticipa circa le sue scelte sulle partiture pucciniane (in questi giorni sta diregendo a Milano “La Fanciulla del West” nella versione non annotata da Toscanini divenuta quella ufficiale); ci spiega le sue passioni in materia di musica contemporanea e le strategie da seguire per aprire il pubblico a nuovi ascolti.

Insomma una conversazione per molti versi controcorrente, condotta con garbo ed eleganza, che lascia emergere una figura forse un po’ sottostimata in Italia, ma della quale sentiremo parlare a lungo ora che è rientrata alla Scala di Milano. Insomma un libro consigliabile agli amanti della musica anche perché alla fine della sua lettura si sono apprese molte cose nuove e ci è liberati da molti luoghi comuni. Grazie, Maestro Chailly!

Stefano Vitale
 

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