Gli aforismi di Silvana Baroni 
Il bianco, il nero, il grigio” (Edizioni Joker)
e da “ParalleleBipedi” (Ed. Città del Sole)

La prefazione di Gino Ruozzi

“Gli aforismi di Silvana Baroni hanno un che di saltellante e festoso. Sarà forse anche per la grazia lieve dei disegni che li accompagnano e conferiscono loro mobilità e varietà. Sono punte delicate, il che sembra un po’ una contraddizione, ma in realtà forse no.
Essi hanno probabilmente un intrinseco scopo curativo, rifacendosi in questo, ma senza pedanteria, alla tradizione nobile del genere aforistico, da Ippocrate a Santorio a Umberto Saba fino ai recenti esempi psicoanalitici di Davide Lopez e di Cesare Viviani. In molti di questi aforismi corre un invito ad alleggerire la sofferenza e l’inevitabile male del mondo, sia attraverso un salutare ridimensionamento delle proporzioni sia grazie al sorriso che scaturisce da uno sguardo disincantato quanto disponibile al cambiamento.
Silvana Baroni usa con perizia e scioltezza le figure retoriche che contraddistinguono il genere, ossimori chiasmi simmetrie antitesi compensazioni paradossi. Chi scrive aforismi lavora con la massima attenzione sulle possibilità offerte dalla lingua, perché sa che ogni minimo mutamento di vocale, di consonante, di punteggiatura, di posizione può provocare inattese aperture e nuove prospettive di senso. Gli aforismi di Leo Longanesi e di Ennio Flaiano, Camillo Sbarbaro, Mino Maccari, Gesualdo Bufalino, Maria Luisa Spaziani sono esempi fondamentali della nostra tradizione novecentesca con cui confrontarsi fattivamente per esplorare temi e toni dell’ampia partitura aforistica contemporanea; con pròvvide estensioni ai pungenti motti di spirito di Oscar Wilde, Jules Renard, Karl Kraus.
Tra i modelli formali preferiti da Silvana Baroni spicca quello del ritratto, di solito introdotto dal pronome «chi». L’intreccio tra scrittura aforistica e disegno, pittura e belle arti in generale è evidente e anche in questo caso richiama esempi illustri quali quelli di Ardengo Soffici, Ugo Bernasconi, Anselmo Bucci, Marino Mazzacurati, Arturo Martini (e degli stessi Longanesi, Maccari, Flaiano). Si tratta di compiere un’opera rigorosa di sintesi espressiva, attuata tramite le parole o le linee del disegno, entrambi comunque «linee», come suggerisce l’emblematica denominazione degli aforismi di Fausto Melotti. Da questi ritratti e «caratteri» scaturisce un panorama sociale di inquieta, movimentata e variegata socialità, più comica che tragica, di cui si vogliono denudare le tante maschere.
Nel libro gli aforismi si succedono l’uno dopo l’altro senza punti fermi e lettere maiuscole, come se si trattasse di un discorso continuo solo brevemente sospeso dagli intervalli degli spazi bianchi. Dispo-sizione che dà l’impressione di una successione appunto per linee, in cui l’occhio dopo una breve pausa scende a scoprire il passaggio seguente, il nuovo tratto della composizione. Il procedimento diminutivo, minimalistico, delle lettere minuscole e dell’assenza di punteggiatura forte era già stato in parte sperimentato da Silvana Baroni nel suo primo libro di aforismi, Tra l’Io e il Sé c’è di mezzo il me (Il Ventaglio, Roma 1991), nella cui premessa Vincenzo Mollica parlava propriamente di «acrobazie delle parole e dei segni». Rispetto a quella raccolta, in cui l’aforisma era spesso presentato in forma poetica e ogni pagina conteneva un disegno, la silloge odierna si caratterizza per una maggiore ed esemplare concentrazione verbale, di certo frutto anche dell’accurato lavoro svolto nel precedente volume di aforismi, laccati di cristallina neppure i fossili sono più quelli di una volta (Quasar, Roma 2007).
«Scrivere aforismi è un’arte funambolica: è pensare senza rete di protezione» sostiene Silvana Baroni in un eloquente aforisma sull’aforisma posto in epigrafe dell’opera. Chi scrive aforismi deve sbilanciarsi nei giudizi, rompere l’ovvietà del luogo comune lambendone i confini, esporsi in una confessione che si manifesta attraverso gli specchi altrui. L’aforisma parla spesso della vita in modo diretto, senza mediazioni, il che ne fa un genere ostico, perché di continuo sottoposto alla sottile oscillazione tra verità e banalità. La distinzione è a volte minima ma è lì, in quello spazio del pensiero e della parola talvolta impercettibile ma sorprendente, che se ne coglie la grandezza, la perentoria illuminazione, quella conoscenza imprevista che fa sobbalzare di stupore.
Nel percorso cromatico ed esistenziale del libro indicato dal titolo tripartito si giunge al «grigio» dopo avere attraversato, superato e me-scolato «bianco» e «nero». Un aforisma afferma che «il grigio sta lì a non farti veder nero» e conviene forse leggerlo in combinazione con questo: «chi si attarda nel regno delle fate finisce in bocca ai lupi». L’invito è certamente ad accogliere la vita con realismo, senza fuorvianti e pericolosi (perfino mortali) entusiasmi. Il grigio è abbinato in un altro aforisma all’uomo «scettico». Se il grigio è l’esito finale e sintetico che esprime una disillusione terapeutica, Silvana Baroni non sfocia però mai in uno scetticismo arido e autocontemplativo. Piuttosto mi viene da pensare al coraggio sorridente di chi non rinuncia a scavare e neppure a sperare. E il titolo, forse più che una sequenza progressiva con un unico rigido epilogo, mi sembra suggerire un percorso in cui bianco nero e grigio sono compresenti e si alternano e avanzano senza soluzione di continuità, senza barriere e punti fermi, come del resto nella vita, che questo libro-indagine per aforismi racconta e riflette.”
Gino Ruozzi

L’Autrice

Medico psicoanalista, Silvana Baroni vive e lavora a Roma. Dal ’78 ad oggi ha esposto opere pittoriche, grafica ed installazioni in Italia e all’estero sia in mostre personali che collettive.
Oltre a scritti di saggistica, ha pubblicato in poesia Stagioni (Il Ventaglio, Roma 1994), Acquerugiola-acquatinta (dell’Oleandro, Roma 1997), Nodi di rete (Fermenti, Roma 1998), Ultimamente (Fermenti, Roma 2001), Il tallone d’Achille di una donna (Fermenti, Roma 2002) Lunario (Ianua, Roma 2003), Nel circo delle stanze (Fermenti, Roma 2006); i volumi di aforismi Tra l’Io e il Sé c’è di mezzo il me (Il Ventaglio, Roma 1991), La Maglifica (Arion, Roma 2003), Neppure i fossili (Quasar, Roma 2007); i libri di racconti Alambicchi (Manni, Lecce 2000), Peccati veniali (Coniglio, Roma 2004); Pensieri di donna (Melagrana, Caserta 2008), La trama strappata (Fermenti, Roma 2011).
Ha inoltre prodotto testi per il teatro: Le infinite metà del mondo, rappresentato al Teatro “XX Secolo” di Roma nel 1998; L’amore è una scatola di biscotti (teatro “La Catapulta” di Roma nel 2000), Liti d’amore con Neruda (teatro “Agorà” di Roma nel 2003).

 

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