MA DOVE SONO LE PAROLE?
A cura di Chandra Livia Candiani e Andrea Cirolla Effigie Edizioni, Milano, 2015

Questo non è un libro da liquidare troppo facilmente. Si tratta di poesie scritte dai bambini delle periferie multietiche di Milano nei seminari di una maestra speciale, come trovate scritto sulla copertina. E l’etichetta non tradisce il contenuto. Anzi vi darà molto di più. Vi darà il senso profondo del fare poesia rivelando alcuni meccanismi e processi propri del poetare sincero; vi darà la sorpresa di confrontarvi con alcuni temi fondamentali della grande poesia di sempre, capace di fare domande apparentemente semplici, ma estremamente scomode. E vi darà il piacere di leggere dei testi, scritti appunto da bambini di tante culture e provenienze diverse accomunati sotto il cielo comune della poesia e della parola.

Livia Chandra Candiani è una brava poetessa di origini russe (1952) già nota per altri bei libri suoi: cito le raccolte di poesia “Io con vestito leggero” (Campanotto 2005), “La nave di nebbia” (La biblioteca di VIvarium 2005), “La porta”(La biblioteca di VIvarium 2006), “Bevendo il tè con i morti” (Viennepierre 2007, Interlinea 2015) e “La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore” (Einuadi 2014) con la quale ha vinto la XXVI edizione del premio letterario Camaiore. È presente nell’antologia “Nuovi poeti italiani 6” curata da Giovanna Rosadini (Einaudi 2012).
Su Wikipedia trovo scritto: La poesia di Chandra Livia Candiani coglie il rischio della contemporaneità, che oggi è quello estremo: l’entrata in crisi del rapporto dell’uomo con il mondo e con l’altro (“Vedi, tutto può crollare / qui. Le facce come le case, / sono cinema, sono cenere.”; “l’universo non ha un centro”). E non solo: è in questione l’estinzione della specie e del pianeta che l’accoglie, il mondo come l’insieme delle vite e delle relazioni. In seguito alla riduzione dello spirito a tecnica e del valore a profitto, l’uomo è entrato in guerra con la terra che lo porta e l’aria che respira. Ha paura della tristezza e del dolore, dell’impermanenza e della morte, pago di produrre “polvere d’informazione”.

La poesia di Livia Candiani rifiuta le soluzioni metafisiche entrate in crisi con la modernità (“Non serve schiodare il cielo / a caccia di segreti”) come pure un’antiteticità appiattita sull’esistente. Essa si pone in un punto zero sostanziato da uno sguardo critico sul presente e da apertura a ciò che salva: farsi da parte dal centro che l’uomo nel corso della sua storia ha indegnamente occupato (“Qualche volta io / non ci sono e sono / tutta l’aria, sono / pulviscolo atmosferico”; “Adesso che non so più niente /… che non sei più al centro / e quello che conta non è più / al centro”); ritrovare il senso del proprio essere nel mondo (“E mi lascio / a quel non so / di cui faccio frammento”); riconoscere “che ogni acqua è santa / e ogni luogo sacro / se assente di noi”; accogliere il dolore e la gioia del mondo, abbracciarli e cantarli (“si svanisce / insieme, / nello spazio di carità / tra te / e l’altro”), testimoniarli nel linguaggio e così offrirli agli uomini (“Ti copro il mondo di parole”).
La parola poetica così si conferma modalità privilegiata del nostro familiarizzare con il mondo. Così la poesia supera una dimensione solo estetica per fare tutt’uno con la vita e diventare etica e forma di resistenza. Perché “Poesia è conoscenza e passione”.

Bene questa passione e desiderio di conoscenza, qui passano attraverso la “scrittura bambina” ed una selezione di testi dei 1400 studenti che hanno seguito i suoi seminari, bambini tra gli otto e i dieci anni per lo più migranti. Il suo metodo cerca di non emarginare chi parla altre lingue e allora si parte dal corpo, dagli stimoli sensoriali che mette tutti sullo stesso piano. E’ fondamentale non bloccare l’intelligenza poetica entro limiti troppo predeterminati e cerca forme di espressione più fluida, inaspettata richiamando l’attenzione sull’inatteso, appunto, che spesso si nasconde nel quotidiano e, come detto, nelle grandi domande metafisiche dei bambini.

Il primo tema è “il silenzio” perché c’è un silenzio che deprime, ma c’è anche un silenzio che allarga, che apre al mondo. Il secondo passo sono “le parole”. Un poeta “sente” e le parole nascondo da questo ascolto di sé e delle proprie sensazioni. Provare a dire con le parole come e che cosa sono le parole aiuta a sentire meglio ciò che risuona dentro e fuori. semplicemente.
Il terzo passaggio è “l’autoritratto”. Il poeta, anche bambino, non deve annegare nell’io, ma deve potersi guardare con nuovi occhi: ironici, sinceri, allegri, realistici, anche tristi. Il quarto passo è il mondo, un “traffico unico… un ritratto d’amore”, è “l’asfalto grigio come la svogliatezza”, “è il sole che scioglie la neve”, in un rapporto tanto diretto quanto zen, i bambini colgono il loro essere-al-mondo senza sovrastrutture passando per la porta stretta della poesia.
Il quinto tema è “l’addio” che “spezza il cuore” ma che è anche “il fuoco che ti riscalda il cuore” in un gioco continuo di metafore, di significati ritrovati, spostati, ricollocati. Perché la metafora è la chiave della poesia perché aiuta a farsi delle domande, tante domande che scendono anche nella dimensione familiare, talvolta dolorosa per dei bambini migranti.
Il sesto tema sono “i grandi” che muoiono, che sono come finestre chiuse o uccelli che volano via oppure potenza del calore, in un caleidoscopio di esperienze che la poesia raccoglie perché “la poesia è una tela da tessere”. Il settimo passaggio è “Quello che conta” che “è la formica… è sacro”; “avere una casa”, “parlare con il mio cugino”; “è libero, senza regola”.
E per finire “Che cosa è la poesia” che è “gioia di elettricità come un fulmine”. In questo modo i bambini diventano maestri e la poetessa allieva che apprende e riscopre la forza della parola. Di parole ritrovate per sé e per i bambini nella segretezza della poesia specchio di anime salve.

Quindi c’è qualcosa di più che un semplice percorso didattico, sia pure insolito: c’è il senso della poesia che dà un senso alla vita che incontriamo e che scopriamo dentro di noi. E questo vale per i bambini che hanno, in realtà, scritto questo libro e per noi che lo leggiamo.

S. V.

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