Giancarlo Baroni

LE ANIME DI
MARCO POLO


( Book Editor, Bologna )

LE ANIME DI MARCO POLO
Giancarlo Baroni

Una catena di quadri e frammenti uniti dallo spirito del viaggio. Dietro alla raccolta c’è un progetto, forse più di un progetto che solo il poeta conosce, e forse neppure lui. Qui sta la forza generativa della poesia. Giancarlo Baroni si muove nel mondo della storia e della geografia con lo sguardo obliquo, rivolto ai personaggi principali, quasi mitici, ma soprattutto verso coloro che in un mondo o nell’altro sono restati ai margini, sconfitti, fraintesi, persino travolti. Dalla storia, dal potere, dalla forza cieca del mare. Una forma di poesia civile nuova, perché discreta, mimetizzata per nulla strombazzata e lacrimevole.

Fin dall’inizio la confessione di Ulisse, mito assoluto del viaggio occidentale, è programmatica : lui si accinge a ripartire, ancora a divenir del mondo esperto:
«Carta…carta / bisbiglio avvistando / un continente di libri / atlanti mappe bestiari / volumi fotografici: / mi predispongo al viaggio.»
Che è il suo, vicenda di speranza, ma anche di sopraffazione. Una storia gloriosa dietro la quale si apre una striscia di sangue e di dolore.

Poteva essere diverso? La poesia assume su di sé allora il compito di trascrivere il dettaglio più intimo e anche più scabroso delle storie, delle anime dei personaggi e dei luoghi, e farsene voce narrante. C’è un desiderio riparatore, una spinta etica a raddrizzare le cose. Ma la scelta di Baroni è di restare dritto sul cassero: che si racconti piccoli fatti o di drammi, cataclismi, implosioni d’imperi l’occhio e la voce di Baroni scelgono sempre la lucidità e l’apparente distacco cronachistico. La denuncia è più forte se la voce è secca e senza lacrime.

La domanda resta: ad Amerigo il poeta fa chiedere «capire / conta quanto scoprire?» e pare in ciò di intravedere un suo motto fondativo, e cioè che lo scoprire (togliere ciò che copre: l’oblio, la lontananza, la sottovalutazione o la disvalutazione) non risolve la questione essenziale del comprendere. E’ una questione di distanza culturale, forse incolmabile ma che per questo resta viva. Non a caso «Basta poco/ per ritornare nel nulla che ci aspetta», sentenzia la voce che l’inventiva poetica assegna alla città di Bruges (p. 61).

Baroni osserva le vicende di navigatori ed esploratori famosi (Colombo, Vespucci, Magellano, Darwin, Livingstone e Stanley, ecc…) eppure riesce a dare dei ritratti privi di enfasi. E lo fa perché ironicamente si appropria dei luoghi comuni che li tratteggiano senza timori . Allo stesso modo attraversa città custodi delle storie dei loro Santi e lo fa con versi di una sconcertante normalità di fronte al miracolo: «Ho così tanto / da fare che mi sdoppio», confessa come un’ovvietà Sant’Ambrogio (p. 95). Baroni sceglie dunque uno stile essenziale e piano, l’uso rigoroso del tempo presente da parte della voce narrante, che sia un personaggio, un animale, una città, un santo. A volte ci mette di fronte a descrizioni elencatorie, alla pura cronaca (apparentemente) che però è una tessera di una storia più ampia in via di ricomposizione. Sembra che un “calcolato sottotono si scontri con la drammaticità dell’evento, colpisca il lettore proprio in virtù di un giudizio intrinseco (rinforzato talora da nulla più che un aggettivo chiarificatore), esercitato nella scelta e nella descrizione del fatto in sé” (Rienzi). Il giudizio appare quindi preciso, lapidario, certo: «Quanto orrore commesso falsamente / nel nome del Signore / delle violenze racconto la più atroce / separano i bambini dalle madri/ e li massacrano», (Bartolomé – e i misfatti dei conquistatori);
«L’assedio rende deboli resistono / le mura più della nostra pancia. / Ci promettono salva / l’esistenza. Apriamo / le porte e gli spagnoli / cominciano a sterminarci», «La foglia recisa dal ramo mi penetra nella carne/ un lampo incendia questo giardino/ e incenerisce il mio corpo», (Hiroshima 1945).

Siamo dinnanzi ad una raccolta che ha quindi un intento etico significativo magari sacrificando possibili aperture liriche, sottacendo istinti costruttivi più elaborati, rinunciando a sonorità poetiche di sostegno, evitando di forzare gli effetti emotivi. Baroni cerca una lingua diretta, piana, che parli a tutti. Le sorprese delle scoperte assumono così anche un valore metaforico, non solo storico, e ci riguardano come umani impegnati nelle nostre fatiche quotidiane: animali magici, orme improvvise, miraggi, isole felici, paesaggi di neve sono aspetti anche della nostra vita di sempre, tappe di un viaggio senza fine.

Ma sono anche i passaggi di una storia che ha le sue vittime, i suoi esclusi: non siamo dentro ad un cieco fluire glorioso, ma su bordo di un cratere da dove vediamo ribollire i nostri errori, le nostre debolezze, la nostra violenza. Le anime di Marco Polo, che diventa la maschera primordiale di questo desiderio di altrove, non sono candide come si potrebbe credere a prima vista. Esse hanno anche un lato oscuro e chi “muove i primi passi” lo deve sapere sin dal principio. C’è un crepa nel muro: è da lì che sgorga la poesia.

Per questo c’è un’altra pista che mi colpisce: è quella che nasce del riflesso del paesaggio marino. Il mare è protagonista del viaggio, ma è anche uno spazio che si muove e si trasforma, che trasforma il paesaggio stesso. Esso vive così nel ricordo di sé. Colpisce allora il testo che qui riprendo:

Ofioliti del Monte Prinzera
(rocce di colore verde – bruno che affiorano dalle argille dell’Appennino, le ofioliti provengono dal fondo di antichi oceani)

Cosa ci fanno qui queste rocce
simili a un drago enorme
con le scaglie verdastre
che luccicano sotto il sole?
Spuntano, dalla terra argillosa che le regge,
come corpi estranei.
L’argilla ritorna alla pianura
loro invece resistono. Dall’alto
ci sembrano roccaforti
fortilizi ferrosi i massi
del Monte Prinzera che si affaccia
sui colli di Fornovo.
Da dove viene
questa pietra che brucia
le cose intorno a sé
riducendo i fiori a bottoni
minuscoli e l’erba a steli secchi?
Salgono dal profondo
di chissà quale oceano,
sono rocce magmatiche
uscite dalla crosta
e quindi emerse. Poi portate fin qua
come marziani.

Mi sembra questa una strada interessante. Andare oltre le vicende umane e cogliere il senso del viaggio sin dentro alle cose apparentemente inerti, abbandonando gli eroi e cercando tracce di storia e di verità sin dentro le rocce. Si tratta di spostare il focus, di ridare fiato ad una visione che vada oltre la cronaca e si metta in marcia verso nuove forme del senso.

Stefano Vitale

 

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