Zbigniew Herbert

L’EPILOGO DELLA
TEMPESTA

Poesie 1990-1998 e altri versi inediti

Poesia

Adelphi

L’EPILOGO DELLA TEMPESTA
di
Zbigniew Herbert

In una intervista del 1991 il grande poeta polacco (1924-1998) si lamentava paradossalmente della nuova situazione venutasi a creare dopo la caduta del Muro di Berlino. “Un tempo scrivevo poesie serie, tragiche… ora scrivo sulla mia malattia, sul mio corpo, sulla perdita del pudore”.

Conosciamo in italiano questo poeta già dalla precedente antologia “Rapporto dalla città assediata” (Adelphi, 1993) e possiamo renderci conto di come questa sua strana affermazione sia invece profonda e vera. Herbert, come molti poeti dei paesi dell’Est ai tempi dei regimi comunisti, aveva sviluppato un linguaggio, uno stile, persino affinato dei temi che, oscillando tra il tragico e leggero, riuscivano a esprimere una pressante critica dello status quo. Forme di resistenza poetica, trincee di poesia civile di cui Herbert era senza dubbio uno dei maggiori riferimenti. L’uso anche di stilemi dell’assurdo, stravaganti, paradossali, avevano la funzione di nascondere agli occhi della censura, le critiche dei poeti.

Dopo la caduta del Muro, Herbert, come molti altri, hanno come dovuto reinventarsi un mondo e un modo poetico di esprimersi. Ovviamente Herbert non ha mai rinunciato al suo tono “una miscela di ironia, disperazione ed equilibrio”, non ha mai tradito la sua ricerca di un legame tra la tradizione, la memoria, l’azione del tempo e il tema del viaggio come fonte ispirativa. Ma ora, e in questa nuova raccolta offerta al lettore italiano lo vediamo molto bene, Herbert aggiunge la stoica accettazione della sofferenza fisica e psicologica connessa alla gratitudine per il dono delle “cianfrusaglie della vita”.

Herbert si conferma, con Milosz, Szymborska, Rosewicz uno dei massimi poeti polacchi ed internazionali. Il suo verso è limpido, secco, semplice eppure fortemente evocativo, risonante, spiazzante. Perché Herbert sa sempre cogliere un punto di vista inatteso, sghembo eppure così dentro “la cosa” reale.

La poesia “Il prugnolo” è perfetta per esprimere quella forza segreta del poeta e dell’uomo di opporsi al potere assumendosi la responsabilità di un nuovo inizio: “il prugnolo dà inizio al concerto solista/nella sala fredda e vuota/… spezza/ la congiura dei prudenti/..oh follia dei fiori bianchi innocenti” perché “…qualcuno deve avere il coraggio di iniziare”. Poesia lirica e civile di denuncia con nervature esistenziali: “Mi insegnavano a stare al mondo come pietra pensante/Paziente indifferente e sensibile al contempo” (pag. 49) e di nuovo: “stringevano un patto fermamente convinti/che la difesa della libertà è degna di ogni lode” (Mademoiselle Corday, pag. 53).

Questi temi si compenetrano con quelli del viaggio: “Se parti per un viaggio che sia un viaggio lungo/un cammino senza meta apparente errando a tentoni/per conoscere la ruvidezza della terra cl tatto e non solo/con gli occhi” perché così “la patria ti sembrerà piccola”… e “scopri la futilità della parola la potenza regale del gesto/l’inutilità dei concetti la purezza delle vocali/ con cui si può esprimere tutto gioia tristezza estasi collera/ ma non provare collera/ accetta ogni cosa”. (pag. 29, Il viaggio).

E il viaggio si lega al paesaggio: molto belle le poesie “Le nuvole di Ferrara” e “Rovigo” dove , specie in quest’ultima, il poeta rivela la bellezza dei mondo invisibili, trascurati, di passaggio dove anche i “capolavori di mediocrità” ci raccontano il nostro andare e venire per il mondo. Così viaggio e paesaggio entrano nel mondo della memoria ”Che accada/che tutta la mia vita/entri per intero/nel cofanetto dei ricordi” (pag. 23) sviluppato senza nostalgie sentimentalisti che, ma con ferma attiva melanconia.
Qui Herbert si serve spesso di un suo alter ego “Il signor Cogito”, maschera letterarie, figura ironica e tragica, altre volte comica e leggera. Una figura dell’anima che “indica uno stato di allerta” (pag. 93) nonché un artificio filosofico per aprire spazi di riflessione filosofica nella poesia. Il signor Cogito “sospende senza una risposta /le riflessioni sull’essenza della musica” (pag. 37): il signor Cogito “non brontola/non si lamenta/non incolpa nessuno/si è fatto un po’/vuoto/ma in compenso più chiaro/ (pag. 69) oppure “salpa/come su battello a vapore/verso il tempo passato perfetto” per scoprire “l’evanescente/linea discontinua/della propria esistenza” (pag. 71).

Altra sponda importante della poesia di Herbert è la relazione incantata e straniante al tempo stesso col mondo degli oggetti della quotidianità. Ma non c’è nessun indugio bozzettistico o consolatorio. La presenza delle cose ha uno spessore etico che spinge l’uomo al salto mortale del pensiero, lo spiazza, ma al tempo stesso lo ricolloca in una giusta dimensione, offrendo una misura cui riferirsi. Le cose ci sono maestre. Così si legga “I bottoni” (pag. 55) che “sono inflessibili/sono scampati alla morte testimoni del crimine … bottoni uniformi e cappotti”, oppure “Fiori” (pg. 91) che “dissipano le loro fragranze”, o ancora “Gli scacchi” (pag.98) che ci insegnano che “quando la ragione s’addormenta/ si svegliano le macchine/ bisogna ricominciare da capo/ il cammino verso immaginazione” (pag. 99).

Molto bella anche “Tessuto”: “foresta di fili dita sottili e telai di fedeltà/ flutti oscuri dell’attesa”. Herbert si sofferma sulle porte, i nodi, il gatto le parole, il tempo… in una continua ricerca di senso rispecchiato creativamente nello sguardo del poeta verso il mondo. Da questo punto di vista il pessimismo, l’attenzione per il dolore, i cambiamenti inevitabili del corpo non sono lamenti svenati, ma i passaggi di una visione negativa della storia certamente, accolta con classico distacco.

Herbert è consapevole della natura maligna del potere che s’infiltra sin nella natura (la pianta carnivora attira gli insetti come fa la polizia segreta) e l’innocenza è un sogno impossibile. L’io “abita sull’orlo del nulla”, il corpo inerte “è esposto occhi estranei”, il dolore spesso è “inspiegabile”, ma per Herbert la poesia è la dimensione del classico che “sopravvive alla peggiore barbarie”. Non è il banale “la bellezza ci salverà”, ma è la speranza che emerge dalla dialettica negativa. Il “mondo pieno di armonia” è letto con ironia, ma conserva in se una stella utopica che ci appartiene.

Nella sezione “L’epilogo della tempesta” si apre anche un laico spirito religioso con la serie di poesie “Breviario” e il poeta rende grazie per “tutta questa cianfrusaglia della vita”… “per avermi dato bottoni discreti, spilli, bretelle, occhiali, rivoli d’inchiostro, fogli di carta sempre pronti, custodie trasparenti, cartelle pazienti, in attesa” (pag. 83). E’ nella linea del respiro che entrano mondi e dove “il dialogo silenzioso di due respiri/stretti con forza in una treccia bionda” (pag. 15) ci danno una via d’uscita degna del nostro essere umani.

Lo stile di scrittura è sempre molto sicuro, a cavallo tra il verso breve ed evocativo e il verso più articolato e ragionante. Ogni poesia ha una sua architettura non solo tematica, ma anche stilistica che è bello osservare e scoprire verso dopo verso. Il controllo del testo (che noi ovviamente leggiamo nella bella traduzione di Francesca Fornari) è estremo, talvolta vi sono figure e metafore spiazzanti e improvvise, ma la lettura, che naturalmente richiede cura, è sempre tenuta viva, aggrappata al verso. Herbert è un maestro e come tale va letto e riletto, scoprendo ogni volta versi, pensieri, immagini, odori e sapori che ci accompagneranno attraverso le tempeste che dobbiamo attraversare.

Stefano Vitale

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