Il Premio MARIO SOLDATI conferito alla  Poetessa Mariella Cerutti Marocco

In presenza di un folto gruppetto di “soliti noti” è avvenuta la consegna del premio Mario Soldati a Mariella Cerutti Marocco, figlia di… sorella di… moglie di… come apprendiamo dal curriculum mandato on line.
Il premio, asseriscono, è destinato a grandi personalità.

Esordio critico destinato a Mirella Serri che con incredibile inossidabilità paragona la scrittura della Poetessa (con la p maiuscola) a quella di Virgina Wolf, James Joyce e Marcel Proust. I tre autori si sono rivoltati nella tomba.

Giuseppe Conte, dopo la lettura di qualche riga, cerca di convincerci che Mario Soldati avrebbe gridato ascoltando i versi testé citati. Ne siamo convinti.

Le parole di Maurizio Cucchi non fanno testo: è abituato a farneticare sulla genialità di presunti poeti… appunto, presuntuosi, ma assai generosi nei suoi confronti.

La consegna del premio è avvenuta dalle mani di Pierfranco Quaglieni il quale, avendo sorriso a lungo all’ex-notaio Marocco (ora consigliere di vari istituti bancari tra i quali lo IOR… che caso!) suo presidente come Cavaliere di Gran Croce, ha confessato di non essere cultore di poesia. Lo avevamo intuito e gli consigliamo di approfondire l’argomento prima di conferire il prossimo premio a Belen Rodriguez, altrettanto grande personaggio, ma di una poesia particolare.

I presenti, sempre più allibiti, si sono chiesti se davvero tale farsa non fosse andata oltre il buongusto quando, con voce commossa e orgogliosa, la Poetessa ha confessato che il titolo della terza raccolta era riferito al cancro al cervello, causa della morte del proprio padre, un astrocitoma a forma di “farfalla”.

Non ci resta che citare un estratto dal Satyricon di Petronio (arbiter elegantiarum)

“La poesia ha illuso molti giovani. Infatti non appena uno ha costruito un verso con la giusta metrica e ha intessuto un concetto con un giro di parole alquanto delicato, pensa di essere subito giunto sull’Elicona.

Ma né uno spirito superiore ama la superficialità, né la mente può concepire o partorire se non inondata dal grande flusso e della cultura. Bisogna rifuggire da ogni bassezza delle parole e prendere le espressioni lontane dal parlare comune, affinché si possa dire “Odio il volgo profano e sto alla larga”.
Inoltre bisogna fare attenzione che le sentenze non si stacchino troppo dall’insieme della composizione letteraria, ma riflettano il colore come parte integrante della trama. Omero, i lirici greci, Virgilio e la felice minuziosità di Orazio ne sono testimoni. Gli altri infatti o non videro il sentiero per giungere alla poesia o pur avendolo visto non osarono percorrerlo.
Ecco, chiunque si accingerà all’enorme fatica di cantare la guerra civile, a meno che non sia pieno di letteratura, resterà schiacciato sotto il peso. Infatti non si devono esprimere in versi le imprese, cosa che fanno di gran lunga meglio gli storici, ma la libera ispirazione deve librarsi attraverso tortuosità, interventi di Dei e il fantasioso tormento delle espressioni, tanto da apparire piuttosto il vaticinio di un animo invasato che una narrazione scrupolosamente fedele fondata su testimonianze…”.

Ci sentiamo in dovere di aggiungere che tanto meno sono reputate poesie scenette di vita quotidiana raccontate attraverso un vocabolario di non più di 100 lemmi.

Ai giovani si può concedere il desiderio di apparire, ma quando sono trascorsi più di sessanta anni di vita e si presume siano stati letti i classici, l’arroganza di imporre frasette degne della terza elementare come opere letterarie risulta offensiva per chiunque abbia anche solo frequentato le scuole medie.

Excalibur

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