LAMPI DI GENIO gli aforismi di Paolo Bianchi 
di
STEFANO ELEFANTI

 

Ho avuto l’onore di ricevere una copia di Lampi direttamente dall’autore e ve ne parlo volentieri. Il libretto è piacevole già all’esterno e le dimensioni ristrette lo rendono perfetto per essere letto praticamente ovunque. Credo che l’opera sia uno di quei fortunati casi in cui il titolo rispecchia alla perfezione il contenuto, i brevi componimenti aforistici di Paolo Bianchi, infatti, sono davvero in grado di illuminare, all’improvviso e in poche parole, ciò che prima era al buio. La lettura scorre veloce e piacevole; non c’è mai un calo o una pagina “lenta” e il lettore “corre” fino alla fine quasi senza accorgersene, sospeso tra sorriso e stupore. Su questo aspetto ha ragione Anna Antolisei quando rimarca, nella postfazione, l’intensità qualitativa della silloge; sono davvero molti gli aforismi che colpiscono o che, comunque, sono in grado di lasciare una traccia nella memoria già dopo una sola lettura.

Una peculiarità dell’autore è certamente l’abilità nel sapere trattare con ironia (e una buona dose di sano cinismo) qualsiasi tematica, riuscendo a rendere leggere anche, e soprattutto, quelle più delicate.

In questo Bianchi si dimostra, a dispetto della giovane età (che è spesso vista come un limite all’interno di questo genere letterario), un aforista abile e consolidato, certamente già in grado di osservare il mondo con il giusto distacco. E il suo sguardo è rivolto spesso alla società in cui viviamo e ai suoi problemi; l’autore non teme di affrontare temi importanti e difficili dei nostri giorni, come lo scontro generazionale tra due mondi e modi di vivere ormai all’estremo (“Genitori che insegnano a campare a figli che desiderano vivere”), la costante e vana negazione della morte (“È ai funerali che si impara a vivere”), la solitudine imperante anche laddove si è immersi nella folla (“In mezzo agli altri, davanti a un buffet – lì si è davvero soli!”), la frenetica e talvolta insensata velocità (“Tutto oggi corre più veloce del proprio perché”) e altro ancora.

Anche per questo aspetto ritengo che la silloge sia estremamente interessante e meritevole di ampia diffusione, perché sono aforismi “freschi” che sanno di presente, di problemi reali della gente e di quotidianità (“Tendo a non fidarmi di chi non ha inflessioni dialettali”).

Un altro argomento che ritorna frequentemente è la religione e, in particolar modo, il rapporto dell’uomo con la divinità. Proprio in questo ambito Bianchi sembra esprimersi con maggiore verve, mostrando spesso un taglio ancora più cinico e amaro. Su questo valgono per tutti due frammenti che (a prescindere da come la si possa pensare a riguardo) potrebbero essere il motto degli atei: “La magnificenza delle chiese è grande quanto la paura di morire”, “Una lapide in marmo: ecco il sogno d’eternità”.

Non mancano poi componimenti incentrati sull’io o che, quantomeno, sembrano costruiti sulla base di esperienze personali e riflessive (“La solitudine a volte fa domande inopportune”, “Nessuno mi conosce bene come la mia vergogna”); anche questa caratteristica inquadra l’autore perfettamente all’interno dell’aforistica contemporanea, genere che è sempre più spesso lo specchio di ciò che avviene all’interno della mente dello scrittore. Ma il lucido ragionamento viene ben presto spazzato via, nelle pagine successive, dall’ironia; perché in fin dei conti, come ricorda un componimento della silloge, “Non bisogna riflettere, bisogna risplendere”.

Concludendo, l’opera è realmente piacevole oltre che di facile lettura. Con Lampi Paolo Bianchi si afferma con merito come uno degli autori emergenti di questo genere letterario che, rispetto agli altri, è spesso sottovalutato ma si rivela ancora in grado di stupire; e ciò perché, d’altronde, “Un bicchiere disseta di più, ma una goccia si assapora meglio”.

Stefano Elefanti

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