SE DIO LO VUOLE

Le due letture della guerranota in margine al massacro di Mumbaj
Nell’interpretazione dell’analisi politica la strage di Mumbaj tende a diventare un episodio interno alle lotte di potere in corso nello stato del Pakistan, tra il governo eletto democraticamente, guidato dal marito di quella Benazir Butto come il padre assassinata per impedirne l’ascesa al potere, e l’ampio movimento che preme per fare del Pakistan uno stato islamico, ovvero una forma di metademocrazia religiosa totalitaria fondata sul Corano.
Stando alla stampa occidentale, l’attacco suicida dei 10-12 terroristi sarebbe stato deciso da una sezione deviata dei servizi segreti pakistani per arrestare il processo di distensione tra India e Pakistan, e soprattutto impedire una complessiva concentrazione occidentale, dopo il disimpegno Usa in Iraq, sulla questione talebana.

Entro questa lettura, il massacro di Mumbaj perseguirebbe una strategia preventiva a parare un attacco mirato ai santuari del talebanismo, dislocati tra Pakistan e Afganistan. Quest’analisi non è di certo campata in aria, ma per cogliere il senso complessivo della strage di Mumbaj occorre in primis collocarla entro la dialettica storica politicoreligiosa violenta di lungo periodo che devasta il sub continente indiano da quasi mille anni, effetto del disegno di colonizzazione del sub continente intrapreso dall’islam.
Da mille anni l’islam preme, con una serie ininterrotta di campagne militari fondate sul massacro di massa e sul saccheggio, per piegare i pagani dell’Indostan, costringerli alla Vera Fede.

In parte l’azione è riuscita perché nella l’area nord occidentale dell’Indostan storico e nel golfo del Bengala, alla fine della colonizzazione inglese (1946) è sorto uno stato islamico, formalmente democratico, ma ben presto franato in dittatura militare, legittimatasi con la difesa della patria pakistana dagli attacchi dei pagani indù, rei di controllare una parte di territori indostani reclamati dalla Vera Fede, sui quali i militari pakistani esercitano da mezzo secolo una violenta azione irredentista, sostenuta da un’attiva guerriglia nei territori rivendicati, e il cui prezzo sono state tre guerre indopakistane, conclusesi per i militaristi irredentisti integralisti islamici con tre sconfitte militari e la scissione dell’area orientale del paese dall’area occidentale, ma le tre sconfitte non hanno minimamente inciso sul disegno missionario complessivo islamico: la conversione alla Vera Fede di tutto l’Indostan. E in questo disegno rientra la realizzazione della bomba atomica pakistana, che ha costretto l’India democratica a darsi a sua volta una tecnologia militare atomica.

L’islam, nella sua espansione missionaria, spesso violenta, ha aggirato a oriente l’India, convertendo l’Indonesia e raggiungendo le Filippine, mentre pativa in Occidente, sul continente europeo un arresto, effetto di due sconfitte militari: prima in Spagna e poi nella penisola danubiana, ma senza abbandonare il disegno del suo fondatore Maometto: che ha promesso la conquista e conversione finale all’islam della ‘romania’, ovvero di quell’area dell’ex impero romano egemonizzata religiosamente dal cristianesimo.

L’Occidente non vuol prendere atto che il disegno islamico è la creazione di un neotribalismo planetario: la riunificazione del genere umano in un’unica tribù intorno all’Unico Vero Dio, che soltanto può assicurare all’umanità la conquista della vera pace.
Un disegno folle, alla corrente logica politica occidentale, ma soltanto quando si leggano i fatti con la semplificazione della frettolosità cronachistica, ovvero si traducano eventi come la strage di Mumbaj, pensati, maturati e realizzati entro una logica simbolica politica totalmente altra rispetto alla nostra, nella nostra logica simbolica politica.

Per capire il senso della strage di Mumbaj, ma anche delle stragi che dall’11 settembre hanno investito l’Occidente, – del quale l’India è a pieno titolo parte, in quanto la nostra più popolosa democrazia – si deve individuare quale sia la visione islamica della guerra. E sul punto, per noi occidentali, molto più illuminante che il discorso dei teologi alcoranici è il discorso di quel teologo principe nella tradizione cristiana che è stato Agostino vescovo di Ippona e maestro di Ambrogio: il vescovo di Milano che imparzialmente perseguitò pagani ed ebrei, anche sostenendo l’introduzione della norma giuridica che vietava ai non cristiani di possedere proprietà agricole.

Agostino affrontò e stabilì quello che resta per i cristiani il canone interpretativo del conflitto bellico, a rintuzzare le accuse dei pagani, che accusavano della crisi politico militare dell’impero la nuova religione.
Per Agostino le sconfitte militari sono la punizione di Dio per i misfatti del popolo. Questo premesso, poi dedusse che, mentre la pace era il fine della politica, la guerra era uno dei mezzi per realizzare la pace. Un mezzo che poteva essere legittimo come difesa, e diventava colpa quando era guerra di preda e di conquista.
Agostino derivava le sue posizioni sulla guerra dalla bibbia; testo dal quale poi anche Maometto avrebbe derivato non solo la legittimazione ma la pratica della guerra: che diventa sempre lecita, come sostennero poi i vescovi di Carlo Magno, e oggi nei loro parlare i teologi alcoranici, quando guerra di conversione mossa agli infedeli, ovvero Guerra Santa.
Nella Bibbia tutta la conquista ebraica della Palestina, fatta di innumerevoli massacri, si regge sulla logica etnocidaria voluta da Dio, spesso spinta fino al genocidio, sempre per volere dell’Unico, logica che conserva ancora tutta la sua forza suggestiva presso i campioni della Vera Fede, in quanto ne modella l’immaginario con gli effetti che abbiamo visto affiorare in questi giorni sulla stampa, dove riferisce i disegni dei nei due ipotetici terroristi lombardi arrestati, e sui quali torneremo, ma dopo aver chiarito la sostanzialmente diversa visione della guerra elaborata dalla cultura occidentale nel luogo delle sue origini: la Grecia arcaica.

Il poema nazionale ellenico, e paradigmatico dell’Occidente, è un racconto di guerra: l’Iliade, ma ecco per le parole di Zeus a suo figlio Ares, il giudizio sul conflitto bellico: “Per me sei il più odioso degli dèi che abita l’Olimpo; perché sempre il litigio ti è caro e la guerra e le pugne … se da un altro degli dèi tu fossi nato così nefasto, da un pezzo saresti più giù dei figli di Urano. – Iliade, V 888-98.”
Esiodo distingue tra due tipi di conflitto: quello caro a Zeus, che oppone il contadino alla terra, il fabbro al fabbro, il vasaio al vasaio, la nobile gara per migliorare, e quello che offende Zeus: il conflitto bellico. La guerra non è mai un valore positivo, come raccontano le sventure che colpiscono i re greci al ritorno da Troia, la loro colpa la mancanza di misura. Da questa premessa teologica evolve la visione laica che percorre le pagine del più grande storico greco. Tucidide, dopo aver evocato la grande flotta ateniese che salpa per Siracusa nella certezza della vittoria, e aver descritto le innovazioni tecniche: la superiorità di questa flotta rispetto a quella che ha sconfitto i persiani e per tecniche nuove e per numero di navi, poi considera che tutto questo investimento è ricchezza che lascia la città a inseguire un progetto di conquista e saccheggio. L’impresa terminerà nella sconfitta e allora i navarchi ateniesi fuggiaschi rifletteranno sul grave errore commesso: l’aver attaccato un popolo libero, con il quale avrebbero invece potuto, anzi, dovuto avviare proficui commerci, perché il solo modo positivo per accrescere le ricchezze sono gli scambi commerciali e i lavori produttivi.

Da questo radicale rifiuto della guerra sorge il pensiero politico dell’Occidente, al quale è profondamente estranea l’idea della guerra come mezzo di accumulo di ricchezze, anche se non di rado questa suggestione ne ha determinato le trame, fino alla grande esplosione coloniale, ma dove un furore patriottico e miti religiosi cristiani di matrice biblica si sono integrati a produrre la visione kipliana del ‘fardello dell’uomo bianco’, la cui inevitabile tragica conclusione, a confermare la profonda intuizione greca, sono state le due guerre mondiali nelle quali, come già i greci nella guerra del Peloponneso, l’occidente si è gettato nel baratro di una crisi che potrebbe rivelarsi, come quella greca, irreversibile.

Espressione di questa situazione di crisi è stato il bolscevismo: come già il cristianesimo nel tramonto dell’impero romano, tentativo abortito di porre il mondo civile su nuove basi, e come parte di questa crisi è il terzo tentativo islamico di conquistare l’Occidente.
Soltanto entro questo disegno di neotribalismo si coglie la vera prospettiva dei massacri di Mumbaj, non diversi da quelli delle ‘Torri Gemelle’ o delle metropolitane di Londra e di Madrid, ma per capire che una logica di espansionismo religioso planetario non episodica regge questo disegno aberrante, occorre leggere nelle trame dell’immaginario religioso islamico, dove appunto, come nelle trame neobibliche dell’immaginario agostiniano, la guerra giusta è il mezzo per restaurare la pace. E la sola vera pace possibile per gli islamici si realizzerà soltanto entro un mondo totalmente islamizzato, ovvero con la costruzione neotribale di una società governata dalla legge islamica.
Che questo progetto sia illusorio lo prova la stessa storia islamica. Conquistata l’unità totalitaria, le religioni monoteiste si scindono in lotte feroci di setta, come descrivono le vicende politiche tanto del cristianesimo europeo che dell’islamismo, scisso in sunniti e sciiti, che si combattono da secoli con tumultuante ferocia.

E che questa sia la prospettiva monoteista intorno al principio agostiniano della guerra giusta come mezzo per la pace nulla lo dice quanto l’ordine, in questi giorni, della classe politica ebraica alle proprie forze aeree di preparare un’azione preventiva contro le centrali nucleari iraniane, a impedire a quel paese di realizzare la bomba atomica.
Comune la base religiosa monoteista, ebrei e sciiti islamici persiani sanno che la difesa della fede passa per la guerra come costruzione della pace giusta, che per gli sciiti persiani è la cancellazione dello stato di Israele, se necessario anche con un bombardamento atomico.
L’Occidente non può decifrare questa logica rabbiosa e delirante in quanto non vive più entro l’immaginario simbolico biblico, al quale non ha mai completamente aderito, in ragione delle tenaci sopravvivenze culturali simboliche pagane per la mediazione dei grandi testi filosofici e letterari a discendere dall’Iliade.

Per comprendere il senso di questa differenza, fatto centro sulla divaricante visione della guerra nella bibbia (Dio lo vuole) e in Omero (Zeus non ama la guerra), dobbiamo tornare ai due operai mussulmani arrestati con l’accusa di progettare attentati terroristici al duomo di Milano, alla questura, a una caserma, a un supermercato. Tali e tanti progetti di massacri ad opera di due sciamannati dice che quei due che si dicevano: “Voglio morire da martire facendo una strage.” Erano in tutto e per tutto preda di forme si esaltazione fantastica, come tra noi se ne coltivano discorrendo di sport o di donne. Entro la prigione mentale islamica si discorre invece di conquista del mondo alla ‘Vera Fede’, e se porta, con le armi, con gli inevitabili effetti eccitanti fantastici devastanti.
L’immaginario islamico, fondato com’è e sulla conquista ebraica della Palestina sul versante arcaico, e sulle campagne militari del Profeta contro gli infedeli, non può che incubare violenza: e inevitabilmente, se perfin il messaggio cristiano, in ragione del suo fondamento biblico, fece emergere dai suoi viscere il furore crociato, nonché quel colonialismo missionario del quale un prodotto ibrido sono gli USA. Ibrido in quanto lo stato USA è stato fondato sul teismo illuminista, espressione di una rimeditazione del monoteismo biblico entro la tradizione classica, soprattutto stoica: che governò la stesura della Costituzione Americana, intorno al diritto alla felicità e la libertà di pensiero.

Oggi il rischio è che questa visione laica democratica si interponga tra l’Occidente e l’islam, impedendo all’Occidente di vedere la minaccia in atto nel progetto islamico di neotribalizzazione del mondo intorno alla rivelazione coranica, anche per i messaggi disturbanti degli immaginari simbolici ebraico e cristiano, gestiti dai rispettivi cleri; cleri sostanzialmente cointeressati a una rinascita islamica, a legittimare le loro assurde posizioni: e un bell’esempio ne sono, nell’ultima settimana, quelle del vaticano contro l’ONU su omosessuali e diritto dei disabili, dai quali il Vaticano ha dedotto la necessità di impedire la condanna delle discriminazioni degli omosessuali e dell’aborto terapeutico.
Le posizioni di quanti sostengono un’origine eterna trascendente divina delle leggi morali si tengono, e confermano intorno al concetto agostiniano-islamico di ‘guerra giusta’ che dice, a chi vuol intendere: c’è un’insanabile opposizione tra democrazia lib-laburista e religioni rivelate monoteiste.

Il massacro di Mumbaj non è che un episodio, e perfin minore, entro la tenace lotta dell’immaginario politico religioso monoteista che cerca la pace attraverso la guerra giusta al mondo empio dei miscredenti pagani. È una guerra che dura dall’ingresso del popolo di Dio in Palestina, e che si concluderà aut con la distruzione del genere umano in una grande guerra di religione, aut nella scomparsa, per damnatio memoriae, di ogni credo monoteista.

Piero Flecchia

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