IL SENSO DELLA VIOLENZA

Il 14 ottobre apprendiamo che una “forte esplosione seguita da un incendio in un piccolo casolare di Ciaculli,  ha provocato il ferimento di due senzatetto, un uomo e una donna, che utilizzavano il minuscolo magazzino come ricovero”.

A essere investiti dalle fiamme sono stati Umberto Geraci, 22 anni, giovane senza fissa dimora che viveva nel casolare, e la sua fidanzata Jessica Modica, 23 anni, che era andata a trovarlo. Domate le fiamme, gli investigatori hanno accertato che a causare l’esplosione è stata una molotov o una bomba carta che qualcuno ha gettato dall’unica finestra del magazzino sulla tenda, tipo igloo, che i due avevano montato e che in quel momento stavano occupando.
Dunque un atto intimidatorio o di intolleranza nei confronti dei due senzatetto che, alle 11, ora dell’esplosione, stavano ancora dormendo. Le fiamme sprigionatesi immediatamente hanno avvolto i due che hanno riportato ustioni gravi: lui sul 30 per cento del corpo, lei in misura minore. Il giovane è tra i due il più grave.

Francesco Patanè su “Repubblica” si è occupato di questo ‘misfatto’ di cronaca. Il 15 ottobre ci racconta che la polizia ha arrestato due uomini quasi ottantenni: uno, proprietario del terreno su cui stava il casolare abbandonato e l’altro un amico che lo ha aiutato. I due avrebbero prima fatto un sopralluogo e dopo essersi accertati che i due ragazzi erano all’interno del piccolo rudere sono tornati a bordo di una Panda verde e hanno lanciato le due bombe incendiarie riempite con pallini di una cartuccia da caccia. Entrambi sono accusati di duplice tentato omicidio, lesioni aggravate e porto abusivo di arma da guerra.

Gli inquirenti sono riusciti a risalire alla coppia grazie al racconto di Umberto Geraci ricoverato al centro Grandi Ustionati dell’ospedale Civico con ustioni sul 50 per cento del corpo e molti pallini conficcati nel torace e nel collo.  “L’ho visto mentre lanciava una molotov” ha raccontato Umberto dal suo letto di ospedale quando gli hanno mostrato la foto di Fici. Le condizioni del giovane, a cui era stato indotto il coma farmacologico subito dopo il ricovero, sono migliorate dopo 24 ore, tanto da permettere ai medici di risvegliarlo. Pur sofferente, la vittima ha raccontato l’incubo vissuto, ha riconosciuto l’uomo che da mesi lo minacciava e lo vessava per costringerlo ad abbandonare il piccolo casotto dove aveva montato una tenda e trascorreva le notti.

Questi i fatti. Ma dietro c’è un disastro culturale. Questi due anziani che vivono in una zona rurale ad alta concentrazione mafiosa, cresciuti in un ambiente in cui la proprietà e la “robba” sono una ragione di vita e di onore, non potevano tollerare la presenza di estranei su un loro terreno. Anche se abbandonato e in rovina quel casolare non poteva essere profanato. In più da due giovani che magari ci andavano per amoreggiare. Insopportabile per degli anziani avvelenati da una vita gretta, intossicati da una cultura della repressione della gioia, lividi di rabbia, privi di ogni forma di tolleranza. Scopriamo anche che avevano sottoposto i ragazzi a forme di aggressione, intimidazione di stampo tipicamente mafioso. Sono prassi che si imparano da piccoli, sin da ragazzini prende piede la legge della proprietà e dell’onore che autorizza le angherie, le torture, anche l’omicidio.

Ma colpisce l’età dei due arrestati: due anziani, magari anche nonni amorevoli circondati da figli e nipoti, custodi dei valori della terra e della famiglia. Ma dentro spietati, violenti, cattivi nel senso radicale del termine, capaci di tentare di uccidere per ristabilire l’ordine, per dimostrare il proprio potere, per placare l’invidia e la rabbia verso la gioventù.

Davvero questo è un disastro culturale che però affonda le sue radici in una storia millenaria di sopraffazioni e violenze da cui non è facile affrancarsi. Il fatto è che la violenza fa parte della nostra natura e quanto più sembra “giustificabile” e autorizzata, in questo caso dalla legge della proprietà e dalla morale, tanto più si manifesta. Ogni giorno leggiamo di atti violenti per “futili motivi”. Ma proprio la “futilità” che talvolta scatena l’intolleranza, l’incapacità di trattenersi. E forse, in questo caso, pensavano pure che essendo “vecchi” potevano permetterselo: di mettere in fin di vita due giovani.

Stefano Vitale
Ottobre 2016

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