Licenziato_vitaleLuca Pagni su Repubblica.it del 29 dicembre 2016 ci dà una bella mazzata: così chiudiamo bene questo orribile anno. Il titolo è chiarissimo: “Cassazione: licenziamento legittimo se l’azienda vuole aumentare i profitti”.

La Corte di Cassazione, con una sentenza depositata il 7 dicembre scorso (segnalata dal quotidiano ItaliaOggi), “scrive una nuova pagina nel campo del diritto del lavoro. Destinata a fare giurisprudenza e quindi a essere presa come riferimento anche dai tribunali di primo e secondo grado chiamati a decidere sulle controversie tra imprenditori e dipendenti”.

Cosa è capitato? Il datore di lavoro può licenziare un dipendente non solo in caso di difficoltà economiche e in situazioni di ristrutturazioni aziendali dettate da una congiuntura negativa, ma anche per “una migliore efficienza gestionale” e per determinare “un incremento della reddittività”. In altre parole: per cercare di aumentare i profitti. Con buona pace di chi non era accorto che siamo in piena restaurazione.

La Cassazione è intervenuta sul caso di un dirigente messo alla porta dalla azienda dove lavorava, dopo due sentenze tra di loro in contrasto. Il giudice di primo grado aveva stabilito che il licenziamento era legittimo in quanto “effettivamente motivato dall’esigenza tecnica di rendere più snella la catena di comando e quindi la gestione aziendale”. Giudizio ribaltato in appello, dove il giudice ha ritenuto illegittimo il provvedimento in quanto non era stato motivato dalla necessità economica e dalla presenza di eventi sfavorevoli, ma essendo stato “motivato soltanto dalla riduzione dei costi e quindi dal mero incremento del profitto”.
Appellandosi anche all’articolo 41 della Costituzione che prevede la libera iniziativa economica dei privati, citando le direttive comunitarie sul tema, ma anche riferendosi a decisioni del passato, la Cassazione ha ritenuto che non sia necessario essere in presenza necessariamente di una crisi aziendale, una calo di fatturato o i conti in rosso per procedere a un licenziamento. Il provvedimento può essere così giustificato anche per migliorare l’efficienza di impresa o per la soppressione di una posizione o anche per adeguarsi alle nuove tecnologie.

Siamo a posto: se avevamo dei dubbi sulle tutele dei lavorarti possiamo stare tranquilli. Samo tornati all’epoca del capitalismo primitivo dove conta solo il guadagno dei padroni. Ma è mai stato davvero diversa la faccenda? Secondo la Cassazione, e la cosa è inappellabile, se l’attività dei privati è libera, deve esserlo anche la possibilità di organizzarla al meglio. Insomma liberi tutti.

Tocca comunque al giudice verificare l’effettiva ragione presentata dall’azienda per giustificare il licenziamento per riorganizzazione e il nesso di casualità tra i due eventi (così come lo è in caso di licenziamento per motivi economici). Ma possiamo immaginare dei giudici che vadano così in profondità? E, soprattutto, delle aziende non così “attrezzate” per prevede ciò che è necessario all’uopo?

Scrive il giornalista “il passaggio destinato a fare giurisprudenza – nonché a far discutere – è il seguente: “Ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo – si legge nel dispositivo – l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell’impresa, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa; ove però il licenziamento sia stato motivato richiamando l’esigenza di fare fronte a situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere straordinario ed in giudizio si accerti che la ragione indicata non sussiste, il recesso può risultare ingiustificato per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità e sulla pretestuosità della causale addotta dall’imprenditore”.

Altro che Jobs Act o articolo 18: il profitto è la regola primaria e niente lo può fermare, anche a costo di stravolgere la Costituzione.

Stefano Vitale

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