Nota in margine a una massima del cardinal Mazzarino

Mentre nella vasta area compresa tra populismo cattolico post moroteo e post comunista, via passando per i vari rifondazionismi, ecologismi, dipietrismi, margheritismi, si stavano facendo complessi calcoli circa la nuova possibile redistribuzione elettorale di pani e pesci intorno al nascituro Partito Democratico, e Veltroni si godeva la sua ascesa, il demone arcidiavolo della politica ha giocato a questa vasta area di consumati professionisti della partitocrazia lo stesso atroce scherzo che giocò loro con la discesa in campo del Cavaliere.

Questa volta però l’arcidiavolo ha suscitato il nuovo demone non dalle periferie imprenditoriali, ma dai visceri stessi della sinistra rossa storica, trasformando il cugino di Fabrizio De André, il nipote di Paolo Conte, il comico Beppe Grillo, come loro e Milva cresciuto tra festival dell’Unità e comparsate televisive al servizio di un’idea progressiva democratica nella bestia dai settantasette nomi maledetti. Una bestia Grillo che minaccia di travolgere e liquidare progetti e soprattutto carriere politiche d’area di centrosinistra in modo molto più radicale di quanto nel centrodestra Berlusconi non abbia liquidato le carriere politiche dei vari Bossi, Casini, Fini. A quelli Berlusconi ha comunque pur sempre lasciato l’apparire televisivo, anche se dopo avergli divorato l’esserci reale nel mondo della politica, rovesciando i rapporti tra Lui e Loro. Nel centrodestra prima Berlusconi era l’apparire televisivo e loro l’essere politico, ora Lui è l’Essere Politico, che stabilisce le Loro vite televisive.

Potrà Beppe Grillo ridurre l’essere di vari politici del centrosinistra a perfin meno che a fantasmi RAItelevisivi?
La sua ascesa presuppone la loro scomparsa, il loro exit politico, ma ci sarà un’ascesa del grilliamo verso quel 20% di masse elettorali che sembrerebbero disponibili a sostenerlo, e la conseguente catastrofe storica del centrosinistrismo?

Per capirlo bisogna capire innanzitutto chi è Grillo, e oppostamente, contro gli umori filogrillisti dei media borghesi: il sistema dell’informazione, come sta reagendo la classe politica del centrosinistra, detto altrimenti, se nell’oggi non stiano ripetendo l’errore dell’infelice Occhetto anche l’oggi ancora felice Veltroni e l’un po’ meno Prodi e accoliti loro. In ogni caso un errore stanno commettendo i fantasmi telvisivi del centrodestra, ragionando: Beppe Grillo è cosa di sinistra, a dirsi che il malommo non tirerà pesci dalla loro peschiera politica. Errore, signori del centrodestra: la comicità politica, dai tempi di Aristofane, è sempre stata di impronta conservatrice, in quanto la sua opposizione fondante, l’eterno suo modo di far ridere è nel confronto tra la cialtroneria dei demagoghi dell’oggi e un idealizzato buon ordine antico, la cui evocazione ha la funzione di comicizzare le panzane dei demagoghi presenti, le loro ruberie e legittimazioni ideologiche. Il futuro: il pensarlo e proporlo come progetto in progresso contro l’oggi, appartiene al pensiero utopico nei suoi due corni filosofico e religioso e negli spazi della filosofia e della religione la comicità ci sta come i cani in chiesa. Ecco perché, per quanto i nostri politici sono infestati di zecche teologiche e filosofiche, non possono che trovare Grillo detestabile, e non già perché per questo cane di comico pare esista una prospettiva incoraggiante di messi elettorali. Questo ha certificato il V-Day, dopo il quale il problema è diventato: le bande politiche non solo dell’area del centrosinistra sapranno ingabbiare, mettere il Grillo di Genova nel concerto della loro festa, farne un grillino da rificolone, altrimenti molti di loro dovranno uscire dalla festa, o ridurre, volenti o nolenti, a disperate fisiognomiche fassiniane le loro pretese festaiole, ma per quale percorso l’incubo della casta politica, il sogno del 20% circa dell’elettorato italiano potrebbe materiarsi, attraverso l’ascesa del Grillo Beppe a leader politico?

Per cercare di comprenderlo, non possedendo la magica sfera di cristallo dove appare il futuro, dobbiamo analizzare i due elementi in conflitto: la personalità di Beppe Grillo e la sfera culturale dell’area di centrosinistra.

Il conflitto tra Grillo e quest’area si gioca intorno alla capacità di dare forma politica alle istanze reali di rinnovamento che sorgono dal mondo dei produttori, e dalla società civile, le cui inquietudini nascono dal sentirsi minacciata da una regressione controriformista: caduta del sistema industriale e imbarbarimento dei costumi. E la cosiddetta società civile legge questo declino in primis come effetto di una cattiva linea politica, il cui dato macroscopico è il devastante debito pubblico, fatto si a vantaggio di tanti parassitismi, tra le dattilografe di Montecitorio i forestali calabrotti e i prepensionati padani, e non solo del parassitismo politico, ma la gente tende a dimenticare i benefici, soprattutto quand’è l’ora di pagarne i costi: come appunto accade agli italiani oggi con il loro debito pubblico.

Discendendo dal Debito Pubblico: il luogo che l’ha trasformata in fatto politico, alla parabola, fin qui artistica: ramo comicità – possibilmente in TV -, di Beppe Grillo, e comparando l’uomo ai problemi reali del paese, appare davvero d’una comicità irresistibile che Beppe Grillo debba prendere in mano e risolvere la questione del debito pubblico nazionale, perché entrare in politica in Italia oggi con pretese egemoniche questo vuol in primis dire: proporre una soluzione al problema del Debito Pubblico. E qual è sul punto Debito Pubblico il programma di Beppe Grillo? Esattamente lo stesso degli altri politici: non parlarne, non farci caso, e se proprio bisogna parlarne, sia per darne la colpa a quei cancheri del CAF, come appunto realizza chi legga i monologhi comici del Nostro (ed. Feltrinelli), che dunque ha le carte in regola per giocare duro in politica. Ma come giocherà duro il Beppe Grillo politico?

Totò aveva due tre mosse, sempre quelle, e una era lo sfottò dei politici, e Grillo ha preso quel capitolo del Totò comico e ne ha fatto la sua professione. Ma stabilito che Beppe Grillo è un comico che fonda la sua comicità sull’analisi parodistica della politica, egli non è il solo, che ha costruito la sua carriera di comico sull’attualità politica. Il paradosso Grillo è l’essere stato trascinato, condotto da questa sua passione dominante all’apoteosi attuale. Grillo è passato dall’uso strumentale della politica in funzione comica alla strumentalizzazione della sua fortuna di comico al servizio di un progetto politico, i cui tratti significano il peggior incubo per l’area del centrosinistra: un incubo perfin peggiore dell’incubo Berlusconi, perché Beppe Grillo si avvia a essere nel centrosinistra quello che Berlusconi è stato: è, per il centrodestra.

Ma perché proprio Grillo e non i più geniali Guzzanti o il più intellettuale Daniele Luttazzi?
Se si assume a pietra di paragone i Guzzanti, un dato balza, si impone: Grillo non ha mai creato delle vere maschere comiche, come il monumentale Berlusconi di Sabina Guzzanti o il non meno straordinario Rutelli del fratello, ma la comicità dei Guzzanti è di ascendenze latine classiche. Essi sono dei costruttori di maschere, di personaggi, rispetto ai quali la parola ha ben poco significato, e infatti tanto il Berlusconi che il Rutelli guzzantiani seducono, sono irresistibili non per quel che dicono, ma per la parodizzazione delle persone reali, la loro riduzione a maschere. I Guzzanti sono dei costruttori di una comicità centrata sull’immagine e quindi sull’esistente vissuto. Nulla di tutto questo in Beppe Grillo: la sua comicità è del tutto centrata sulla parola, ed egli è la maschera comica, nella quale cerca di far identificare i suoi spettatori. Grillo partecipa alle disgrazie qualunque dell’uomo comune, avvelenato dall’inquinamento, oppresso dalla trivella fiscale, torturato dai disastri della tecnica fino all’apoteosi della nemesi medica. Un uomo comune che per sopravvivere in questi tempi da alboini, deve scafarsi da umile e furbo Bertoldo. Questo insegna sostanzialmente Beppe Grillo con i suoi monologhi comici: io, voi, siamo altrettanti bertoldi che alla fine batteranno Alboino e la sua corte. Ma questa identificazione dei suoi spettatori in lui, si fonda sul presupposto di una distanza assoluta del Grillo comico da ogni maschera, che limiterebbe, bloccherebbe questo processo di costruzione di una identità comunitaria metabertoldesca con lui come facitore e centro, motore immobile generante, ovvero la posizione di dio nella teologia tomistica. Ma a differenza di Luttazzi Daniele, altro comico della parola, Grillo sa che non può piacersi fino a far sentire agli spettatori: venitemi dietro che ora vi guido alla comprensione del mondo. Grillo sa che il suo successo dipende dal fatto di lavorare sistematicamente con un vissuto condiviso e già premasticato dall’informazione. Eccone una prova: “Tra i paesi industriali abbiamo una delle più basse percentuali di laureati, e il più alto numero di maghi pubblicitari e guaritori. … Nella quota delle esportazioni mondiali in dieci anni siamo scesi dal 5% al 3,6%. Nell’esportazione di prodotti tecnologici stiamo scomparendo, ridotti a un piccolo 2,5%, contro il 6% della Francia e l’8% della Germania.” Che cosa c’è di comico in questo passo? E soprattutto, questi dati sono arcinoti al pubblico che li ascolta, ma da una entità concreta: Beppe Grillo, che reagisce come hanno reagito loro quando hanno letto questi dati sulla stampa quotidiana: con sdegno e angoscia, e ora, nel teatro, questo sdegno e quest’angoscia si socializzano intorno al Beppe Grillo reale. Una speranza rinasce, se si può farne materiale di derisione, elementi di un’accusa precisa verso un ben preciso ceto: la casta politica.

Ecco come gli spettacoli di Grillo sono irresistibilmente diventati la forma italiana di un dissenso all’italiana. Diventata evento sociale, protesta, la recita di Grillo, pur rispondendo agli stessi canoni, trascende le note di costume dei più sensibili giornalisti: un Gramellini, per esempio. Nella recita di Grillo gli stessi fatti ripresi dall’informazione diventano una tragedia futuribile che non si limita alla costruzione di una parabola esemplare. Grillo carica le sue esemplari parabole di una kafkiana sofferenza di tutti, cui oppone la smisurata ingiuria di chi infligge queste parabole. Ma Grillo sa anche che se un diavolo è essenziale, a precisarlo troppo si rischia di innamorarsene e rimanerne sopraffatti, come appunto i Guzzanti dai loro personaggi. Ovviamente in quest’aura indefinita del male i vari estremisti rossi ci hanno visto un’adesione anticapitalista di Grillo, ma è una pura illazione loro. Luttazzi Daniele crede a queste maligne entità metafische: il mercato, la produzione …, Grillo crede soltanto alla contingente comunità di scazzati da guidare a una sana incazzatura, o catarsi comica, sotto l’incalzare della sua voce; ma catarsi dopo catarsi, Beppe Grillo è stato condotto da una maligna configurazione di pubblico e politici alla necessità della più radicale delle catarsi: quella di sé stesso da comico in politico. Lo ha scoperto, e credo con autentico terrore, dopo il successo dell’ultima sua formidabile ideazione comica della politica: il Vaffanculoday, dove il comico ha rivelato anche una grande abilità strategica, mirando all’essenziale: attaccare non la classe politica, ma la sua natura di casta, chiedendo l’allontanamento dalla politica dei condannati in secondo grado e l’eleggibilità per due sole legislature, come accade oggi per i sindaci, che possono solo avere due mandati, nonché l’elezione con indicazione della preferenza in collegi ristretti.

Abbiamo nel programma del V-Day la riconferma che Grillo lavora sul premasticato: le sue tre proposte sono quelle che avevano già elaborato i nostri più fini politologi, da Sartori a Diamanti, ma poi andate disperse nel bailamme. L’intelligenza prima estetico-comica che politica di Beppe Grillo è stata nel semplificare e a un tempo articolare il più radicale attaccio alla casta, a trasformare in democratica l’attuale politica partitocratrica demagogica con tre semplici mosse bertoldesche. Neanche quello straordinario istrione politico di Pannella, neanche il suo successore Capezzone avevano saputo semplificare con cotanta efficacia, ma il successo di questa semplificazione ha messo Grillo in un bell’impiccio: di quelli che trasformano la fibra della canapa da tela per il letto nuziale in capestro. Grillo stava per implodere nel successo del suo V-Day, da questo successo incalzato inesorabilmente a procedere sul sentiero della politica, erto e su abissi. E il formidabile personaggio ha risposto al rischio di essere inchiodato al ruolo di fondatore di un partito nuovo, ovvero al destino dei pur egregi Di Pietro, Berlusconi, Bossi, ma anche Mastella, Rutelli ecc ecc con una vera mossa del cavallo.

Beppe Grillo ha deciso di puntare sulle prossime amministrative con liste da lui certificate, ovvero ha immaginato quella strategia della democrazia diretta tipica dell’anarchismo, che da anni il micromeghioco Flores D’Arcais va cercando, e la soluzione era lì, semplice, chiara, formidabilmente movimentista: liste di cittadini, ovvero a dirla micromeghicamente: della società civile ad impadronirsi dal basso della gestione dei poteri locali, a intraprendere la marcia dalla periferia verso il centro. Poteva certificarle Micromega queste liste, e invece le certificherà Beppe Grillo.

Si arriverà a tanto?
Il sogno di Flores D’Arcais, l’incubo dei veltronisti si realizzerà?
Inevitabilmente sì. Grillo ci proverà perché la macchina si è messa in movimento: con forti probabilità di disastro, in quanto non sarà facile gestire lo scatenarsi di ambizioni che le liste locali mobiliteranno, ma basteranno pochi successi significativi e la marcia del grilliano micromeghico continuerà in un crescendo rossiniano, anche perché chi vive l’incubo di queste liste, la casta politica, non ha gli strumenti culturali per capire il processo, può solo diabolizzarlo; casta neanche memore dell’affermazione del cardinal Mazzarino: “Il politico è la contraffazione diabolica del santo.”, anzi terrorizzata da ogni comparsa diabolica. Questa massima, tra l’altro, ci mostra con limpidità guzzantica che non c’è vera degenerazione diabolica nei nostri politici perché non c’era all’inizio vera passione spirituale, sogno utopico di gioventù. Verso i politici italiani d’oggi vale la diffidenza che il Tigre insegnava verso i politici che a vent’anni non sono stati fulminati da un sogno di palingenesi universale anarchica. Una fulminazione che non ha mai toccato non solo i Casini e/o i Fini, ma neanche i Fassino i Ueltroni, e appena un pochino, ma se ne pente ancora oggi, il Rutelli Francesco di trascorsi radicali. E infatti, di quale santo possiamo immaginare la contraffazione diabolica un Prodi, un Bossi, un Bertinotti, un Fini, un Casini, il cardinalizio Veltroni?

Per capire quanto poco siano vite segnate da autentiche passioni, basta paragonarli a un politico vero nel senso mazzariniano: al cavalier Berlusconi, che una certificatissima passione ce l’ha: la passione per la ‘robba’, la machiavelliana passione dell’Avere, che solo l’imbecillità di esili pensieri alla moda può opporre all’Essere. No, l’avere da sempre crea l’essere, e il tipo di civiltà dell’avere costruisce la sua coerente forma civile metafisica di essere. E questo Berlusconi lo sa, e non perché glielo ha suggerito, attraverso la moglie, Cacciari o gliel’ha lezionato la ponzante pera del professor Pera tra una papata e l’altra.
Berlusconi sa per vera intuizione personale che la civiltà borghese si fonda sulla combinazione di proprietà privata e libero mercato, che si garantiscono reciprocamente, ponendo al centro dell’accumulazione della ricchezza una figura ben precisa: l’imprenditore. E infatti in Berlusconi vive la diabolizzazione della figura di san Martino: il cavaliere che divise in due e poi in quattro il suo mantello, e costrinse il Padreterno, per affetto verso Martino, a inventare in inverno un intermezzo estivo. Diversamente da san Martino, Berlusconi invece di dividere il mantello lo ha moltiplicato, secondo l’insegnamento post-cristiano dal quale è nata la società laica occidentale. Ma questa sapienza: moltiplicare i mantelli invece di dividerli, non ha ancora raggiunto la cultura politica italiana media. E nulla lo descrive quanto un’intervista rilasciata dal regista Carlo Lizzani al giornalista del quotidiano ‘La Stampa’ Giacomo Galeazza, lunedì ultimo scorso. Qual’è il senso e la ragione dell’intervista di Lizzani? Rivalutare il fascismo: che per Lizzani svolse una funzione centrale nella modernizzazione del paese. E per quale ragione? Perché era antiborghese e premiava la meritocrazia dei giovani. E infatti per poter continuare a lottare contro i valori borghesi, dopo l’Otto Settembre 1943, tanti giovani eroici, come l’allor giovane eroico Carlo Lizzani passarono dal fascismo al comunismo per oggi ribadire, dopo la caduta del Muro di Berlino, la necessità di riscoprire la funzione progressiva del fascismo.

Quello che colpisce nell’intervista di Lizzani, e nelle tante consimili, è la sostanziale sordità morale dell’uomo, nella cui coscienza la dimensione etica è sostituita dall’interesse di corporazione. Il fascismo per Lizzani modernizzò il paese mettendo a disposizione dei giovani i giornali e i teatri, sovvenzionando il cinema. La dimensione di crimine organizzato che connotò il fascismo, la violenza come metodo, che giunse a disgustare un picchiatore fascista della prima ora quale Ottone Rosai, nella mente dei vari Lizzani Carlo non ha mai fatto problema, come poi, per questa generazione non ha fatto problema la violenza dei gulag, nella sostanza legittimo in quanto strumenti di una eterna polpottiana lotta alla categoria diabolica ‘spirito borghese’; lotta che ha il suo antesignano storico nella chiesa cattolica, che infatti per odio antiborghese aperse la fascismo e non fu così restia a una possibile svolta comunista.

Costruita da residui culturali – in senso paretiano – fascisti marxisti e cattolici, la nostra classe politica può capire tutti i populismi, viversi in tutte le demagogie, ma non pensarsi in un modello liberaldemocratico, al quale il paese ha continuato a guardare dal Risorgimento, nella parentesi fascista rimasto inserito nella cultura occidentale attraverso la scelta dell’esilio antifascista dei Rosselli, dei Salvemini, degli Ernesto Rossi, degli Altiero Spinelli, la dissidenza interna dei Morra, dei Parafava. Dopo il fascismo la Guerra Fredda ne ha salvato la cultura, congelando il paese nel cattocomunismo, ma la cui legittimazione internazionale è finita con la caduta del muro di Berlino, dopo il quale in Italia ceti sempre più vasti hanno sentito la necessità di una vera trasformazione delle istituzioni in direzione liberaldemocratica. La stessa ascesa politica di Berlusconi è legata a queste aspirazioni, e la spinta politica intorno a Beppe Grillo risponde a questa stessa esigenza, che cerca dalla fine della Prima repubblica una sua forma a definirsi: a definire in contenuti etici e modelli partecipativi la dimensione politica. Il vecchio ceto politico: la casta può respingere i vari attacchi che dal paese le vengono mossi, uno quello che passa, si definisce per Beppe Grillo, ma ogni attacco le impone di pagare un prezzo, e alla fine, in qualche modo, il paese risulterà trasformato, ovvero il monte tasse dovrà essere funzionale allo sviluppo del paese: i suoi ceti produttivi, e non della sua casta politica e dei valori regressivi che esprime tra fascismo marxismo e cattolicesimo e i ceti parassitari che se ne nutrono, la misura del cui costo devastante è il Debito Pubblico.
E a proposito di cattolicesimo: la sua millenaria esperienza gli ha insegnato quand’è ora di abbandonare un potere che affonda. In questi giorni il papa ha ricordato le rivolte fiscali nell’impero romano: brutto segno quando un papa ragione come un Bossi, brutto segno per il paese tutto, ma soprattutto per la classe politica, quando la chiesa si accinge ad abbandonarla.

In questo quadro il grillismo è una forma di soluzione di questa crisi, contro le istanze reazionarie, dei gruppi innovatori. Che l’Italia la possa trovare in un comico la svolta progressiva democratica sarebbe davvero molto italiano, ma non sarebbe meno italiano se la dovesse trovare nel corso di un terzo governo Berlusconi capace di liberarsi dal peso dei suoi fantasmi post fascisti del suo personale post comunista e neocristiano. L’improbabile non sempre in politica coincide con l’impossibile.

Piero Flecchia

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