(Kurdistan meridionale, Nord Iraq)

foto_kurdistan_vitaleSui giornali del 5 novembre 2016 era molto evidente la notizia dell’arresto di numerosi leader curdi da parte della polizia di Erdogan.
La Turchia procede nel suo golpe utilizzato per mettere a tacere ogni forma di dissenso e opposizione. Su “la Repubblica” si dà conto anche del fatto che vengono imprigionati, ma non è una novità, intellettuali e scrittori anche solo critici verso il regime di Erdogan. Ma la Turchia è uno stato intoccabile, troppo importante per l’Occidente per le politiche di gestione dei profughi. Ora più che mai che l’offensiva contro l’ISIS sta dando qualche risultato anche sul campo di battagli. Purtroppo sono i civili, le popolazioni inermi, i bambini a subire le conseguenze immeditate più gravi.

Abbiamo conosciuto L’associazione “Verso il Kurdistan” Onlus di Alessandria che sostiene iniziative per lo sviluppo dei diritti umani in Turchia. Sostenere progetti di cooperazione e sviluppo locale nel Kurdistan turco è visto come strumento per interrompere la spirale di violenza, guerra e militarizzazione che coinvolge la regione e costituisce una minaccia per la pace in tutto il Medioriente. Questa associazione di volontari sostiene anche il “Progetto Berfin”, progetto di sostegno scolastico a favore di ragazze appartenenti a famiglie di detenuti politici dell’Associazione TUYAD DER della città di Van.

Questo progetto fa parte dell’iniziativa dei premi di laurea dedicati alla memoria dell’avvocata Simonetta Massaroni; le borse di studio hanno validità per un anno scolastico ed è eventualmente rinnovabile. Il contributo totale attualmente erogato ammonta ad € 2.000. Si può contribuire a far studiare queste e/o altre bambine versando una somma che ritieni opportuna. Il versamento si può effettuare sul c/c IBAN: IT61 U033 5901 6001 0000 0111 185 intestato a: Associazione verso il Kurdistan-Onlus. Se nella causale si indica “contributo volontario” l’importo è detraibile ai fini fiscali. I 19 ottobre l’associazione ha diffuso un Comunicato stampa che per molti versi anticipava quel che sarebbe accaduto di lì a poco.

Nei dodici giorni – 27 settembre/8 ottobre 2016 – trascorsi nelle terre di Mesopotamia, terre che, nei secoli scorsi, hanno visto gli albori della civiltà – dalla prima scrittura su tavolette cuneiformi alla pratica dell’agricoltura – la nostra delegazione ha prima raggiunto il campo profughi di Makhmur, in mezzo al deserto iracheno, che ospita 13 mila profughi fuggiti dai villaggi di confine del Kurdistan turco bombardati dall’esercito nel 1998. Qui, dove stiamo realizzando un piccolo ospedale, sono stati consegnati 10 mila euro di aiuti, che, contrariamente alla destinazione iniziale che prevedeva il completamento dell’ospedale, verranno impiegati per l’acquisto urgente di medicinali e di kit sanitari data la situazione di guerra in essere: Makhmur si trova a 40 chilometri da Mossul ed è stata occupata per un giorno da Daesh, poi successivamente liberata.

Siamo stati a Kirkuk – la città del petrolio, la Gerusalemme kurda – dove abbiamo incontrato i guerriglieri dell’HPG – la formazione armata del Pkk – chiamata mesi fa a difendere la città sulla linea del fronte contro Daesh.

Abbiamo poi visitato il campo profughi di Barika, zona di Arbat, vicino a Sulajmanijak, dove sono rifugiati 8 mila profughi siriani sfuggiti a bombe e distruzione in Siria, il poliambulatorio gestito da Emergency, insieme alla scuola del campo che ospita 1500 bambini.
Secondo i dati aggiornati dell’Onu, oggi nella Regione autonoma del Kurdistan Bashur che ha una popolazione di 5 milioni di abitanti, ci sono 1milione e 700 mila sfollati interni (comunque profughi) e 280 mila rifugiati, ovvero circa 2 milioni di profughi, comunque si vogliano chiamare, sparsi in diversi campi gestiti dall’UNHCR: ben il 40% del totale della popolazione!

Abbiamo incontrato partiti e movimenti della società civile kurda siriana (Pyd, Partito dell’Unità democratica e TevDem, Movimento per la Società democratica) che ci hanno parlato delle difficoltà che incontra la realtà autogestita dei tre cantoni del Rojava (Kurdistan siriano), oggi sotto embargo e sotto attacco dei turchi e dell’esercito di Assad, ma ci hanno parlato anche di come sia importante e decisiva la solidarietà tra i popoli….

A Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, abbiamo incontrato un rappresentante del KNK (Congresso Nazionale Kurdo) che ci ha parlato dell’imminente attacco a Mossul, dove sono presenti anche gli italiani per i lavori di ristrutturazione della diga e della guerra che sarà ancora lunga: “La guerra per la conquista di Mossul – ci ha detto – riguarda tutto l’Iraq. Mossul e tutta l’estesa provincia di Ninive sono come un giardino fiorito di popoli, etnie, religioni, che non ha pari in tutto il Medio Oriente. L’interventismo di Erdogan in Iraq e in Siria punta alla conquista di territori, tenta una riedizione dell’impero ottomano. Per questo mira a creare un’inimicizia tra le varie etnie, tra sciiti, sunniti e kurdi, per indebolirli. La Turchia non pensa tanto a Mossul, ma a come intervenire laddove ci sono le basi dei guerriglieri del Pkk, sui monti Qandil. Vogliono perpetrare un massacro a Qandil, com’è avvenuto nello Sri Lanka con le Tigri Tamil. Per questo, la guerra non si concluderà con la sconfitta di Daesh, ma proseguirà nei prossimi anni. Sarà una guerra lunga e sanguinosa..”

I monti Qandil sono catene montuose che attraversano i confini di Iraq, Turchia e Iran. Sono novecento chilometri di alte montagne coperte da boschi e foreste, dove si trovano i santuari dei guerriglieri del Pkk.
Qui siamo stati accolti dal sindaco e dalla co-sindaca della municipalità di Qandil, un territorio che abbraccia 61 villaggi sparsi sulle montagne, con circa 8 mila residenti dediti all’agricoltura e alla pastorizia; qui abbiamo visto gli effetti delle bombe turche sul villaggio di Zargaly dove appena pochi mesi fa i bombardieri di Ankara hanno fatto stragi di civili, qui abbiamo visitato il cimitero e il museo dei martiri, Mehmet Korasungur, ed infine abbiamo incontrato, in un lungo ed illuminante colloquio sulla situazione politica e militare in Siria ed in Iraq, un alto dirigente del Pkk.

Dodici intense giornate che ci hanno fatto capire cosa sta realmente accadendo nell’area, qual è la posta in gioco di questo conflitto che non avrà fine neppure dopo la sconfitta di Daesh, con le ovvie ricadute sull’Occidente per quanto riguarda il flusso inarrestabile di profughi verso l’Europa. Tutto questo grazie ai fabbricanti di armi occidentali e ai loschi interessi di grandi e medie potenze regionali, America e Russia, in primis, per il controllo geostrategico dell’area, Turchia ed Arabia Saudita con mire espansionistiche regionali.

Stefano Vitale

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