“Aforismi liberi” di Paolo Bianchi
(Kimerik, 2010)

Nella sua introduzione a “Aforismi liberi“, l’Autore tiene a specificare che le 99 massime qui raccolte sono state coniate tra l’ottobre e il dicembre del 2009. Tanto di cappello, allora, perché due mesi sono davvero un nonnulla per mettere assieme una collezione di aforismi che tali sono nel senso più rigorosamente tecnico del termine, e che toccano un livello qualitativo di gran lunga superiore alla media corrente.

Ma ciascuno ha i suoi tempi, e non è questo il dato sul quale, nella fattispecie, ha senso soffermarsi più a lungo. Paolo Bianchi, infatti, con la silloge in esame esordisce sulla scena della massimazione, e lo fa con un piglio da veterano che, se sommato alla sua giovanissima età, può persino mettere addosso un felice e ottimistico sconcerto. L’aforisma, insomma, è un genere letterario che si fonda sull’estrema sintesi, è la forma più breve e fulminante d’espressione del Pensiero e, se qualcuno crede sia facile condensare efficacemente un’idea, un concetto in poche e precise parole, sbaglia davvero.

Non sbaglia affatto Bianchi, però, che in questo compendio dimostra di avere capito tutto e subito. Ha capito, ad esempio, e scrive. che “Gli aforismi sono la recensione della vita”. Lui, dunque, a ventiquattro anni già sa osservare il mondo circostante con un’attenzione critica di rara acutezza, così come è capace di scrutare in se stesso con lucida ma partecipe profondità. Doti imprescindibili, obbligate per un massimatore vero, soprattutto se accompagnate da una caratteristica fondamentale che, nella nostra società inconsistente e convulsa, si va tristemente perdendo: parlo della capacità di ‘elaborare’ il pensiero, di non fermarsi cioè all’apprendere, ma di trarre da esso gli elementi che consentono di sommare un fatto ad un altro, di sottrarre conseguenze e moltiplicarle per gli effetti, dividendo poi il luogo comune dalla ricerca di una verità sempre rinnovata e sempre più autentica.

Che tutto ciò non manchi né nel volume, né nel suo Autore, è facilmente constatabile: lo si legge a chiare lettere quando Bianchi dice: “Solo chi ha atteso lunghi mesi nell’oscurità di un grembo ha diritto ad ammirare il cielo”. E la maturità, frutto di un’accorata riflessione, si specchia ancora nell’apoftegma: “Vivere è prepararsi a un appuntamento molto importante”.

C’è poi una vena di quasi celata ironia che compare a tratti tra le 99 libere sentenze di Bianchi: quando egli dice “Sapere è una parola grossa“, o quando sostiene che “Il vero bello stride”. E’ un amaro modo di sorridere anche il dedurre che “E’ ai funerali che s’impara a vivere”, mentre si viene immersi nella pura saggezza aforistica quando s’incontrano asserzioni come queste: “Vivi una vita che valga il prezzo della morte“, “E’ l’abbraccio l’esperienza più sublime“, “L’ottimismo non è il contrario del pessimismo, è un suo stato avanzato“, “Di fatto esistono tante religioni quanti sono i religiosi“, o ancora: “Quante cose diverse portano lo stesso nome! E quante cose identiche portano nomi differenti!”.

Saggezza e filosofico discernimento, in queste massime, che vengono poi stemperati, a tratti, dalla levità rinfrancante di aforismi come “I giorni davvero importanti non sono mai segnati in agenda”, o come “I regali più belli li fa chi non ricorda mai le date”. Non sono forse verità, queste, tanto facile da sapere quanto difficili da notare e ricordare? E’ un gran bene, dunque, che qualcuno sappia inchiodarci all’autentica assennatezza. E se, come Paolo Bianchi, è capace di farlo attraverso l’aforisma, meglio ancora perché non rischia di annoiarci sbrodolando interminabili concioni o, peggio ancora, d’indottrinarci pontificando da sommi pulpiti.

E’, insomma, la profonda freschezza riflessiva di “Aforismi liberi” che subito conquista; così com’è questa silloge d’esordio a generare le più ottimistiche aspettative sul futuro ‘massimatario’ di Paolo Bianchi. Da quale, considerando il livello di partenza che attende solo (e solo in un irrisorio numero di massime) più sicurezza in se stesso, non potremo pretendere nulla che sia meno autentico ed auspicabile dell’assunto: “Il mondo sarà migliore quando il mistico e il grande scienziato si chiameranno colleghi”.

Anna Antolisei

 

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