“Per segni accesi” di Annamaria Ferramosca
(Giuliano Ladolfi Editore, 2021, pp.92)

Riscoprire una terra innocente

…..Già il titolo è misterioso: “Per segni accesi”. Cosa saranno questi segni? E’ la parola che il poeta accende per poter trovare lui una via da seguire o sono le tracce che la stessa vita rivela e che il poeta cerca di decifrare? Annamaria Ferramosca ci propone un viaggio che cerca di unire il microcosmo delle nostre esperienze e passioni al macrocosmo della vita, della storia universale. Un compito arduo e ambizioso, ma che attribuisce alla poesia la sua originaria forza e finalità: quella di cogliere l’invisibile, di indicare nell’altrove il senso del qui ed ora. E di rappresentare uno strumento per orientarsi nel groviglio degli eventi.
Così Annamaria Ferramosca ci guida, con parole ora aspre, ora più suadenti e cordiali, attraverso un percorso che ha quasi un valore iniziatico: il lettore deve lasciarsi andare al flusso della poesia, accettando salti e connessioni, passaggi e intrecci.

…..Il titolo della prima Sezione è ‘le origini l’andare che ci riporta al mistero della maternità e della nascita, “un tendere misterioso del seme” “Quasi un silenzio / permette all’utero l’ultima spinta / dev’essere pace intorno per il primo grido” che poi collega abilmente la nascita individuale con quella terra: “pianeta d’aria e luce e fango / dalla notte arcaica risvegliate / memorie d’oceano alghe azzurre” indicando così l’orizzonte primordiale del pianeta descritto come “una rete di valichi e sentieri”.
Questa commistione di piani è sostanziale della struttura del libro così come fa parte della umana condizione: “ibridi siamo e solo per a ore / ibridi camminiamo accanto per millenni /“ e così come lo è il conflitto, lo scontro che purtroppo segna il cammino dell’uomo: “lasciando a terra ibridi uccisi”. Sono queste riflessioni che rinviano ad una domanda fondamentale di comprensione dinnanzi all’inspiegabilità apparente di quanto accade (il senso è oscuro o uno scuro / disegno governa), che ci riportano al conflitto tra vita desiderata e distruzione, contraddizione feroce di cui, noi “umani” siamo terribilmente capaci.

…..Ma c’è una possibilità di uscirne: forse sta nella domanda infantile che sgomenta, ma che sostiene una sorta di ricomposizione del nostro rapporto col mondo e infatti Ferramosca scrive “… piccole storie senza finale /…. Sulle ginocchia rimarginano / veloci le ferite dei giochi / e si fa festa abbracciando gli alberi” con rimembranze alla Bertolucci. Perché l’infanzia è il tempo della grandi domande è “un tempo bianco dove / il sogno semplicemente s’avvera/ dove con le parole solo con le parole// la ricomposizione/ dove accadono cose piccole e buone/…”.
Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di una via d’uscita prevedibile, che mitizza il già mitico tempo infantile. Certo, ma lo sguardo di Ferramosca è attento agli scarti, alle fratture, persino alle nostre necessarie “finzioni” direbbe Borges: presto dobbiamo ammettere che molti comportamenti e molte apparenti serenità non sono altro che un desiderio, magari infantile: “piccoli trucchi / del mondo per illuderci / di essere vivi  darci a intendere / che lontanissima sia ancora quella riva,” quella di un equilibrio felice. Il “dolce rumore della vita” si scontra col fatto che “umani e pietre per muri / continuavano a confondersi a confondere”. Ferramosca evita di farsi risucchiare nel prevedibile gioco “infanzia / età felice – storia umana – età della distruzione: lei tenta di metterci a confronto con le nostre contraddizioni e cerca “segnali”.

…..E lo dimostra il fatto che qui la poesia di Ferramosca si fa necessariamente “civile”: in un transfert sul presente (che in verità, ci lascia intende l’autrice, è parte della Storia di sempre) i versi ci portano ad ascoltare con realismo, le grida dolorose che provengono ‘dalla fossa dei migranti’. E’ questo un racconto straziante senza vera possibilità di risposta; essi lanciano disperati ‘segnali dal mare dal bosco’ e ci fanno sentire “noi veri migranti / verso l’abisso / la nostra barca è al porto / al sicuro ma / il rimosso serra la gola / già tocchiamo il fondo”. Condizione attuale è l’indifferenza, lo sguardo che si volge altrove non volendo vedere il male: è questo un altro “trucco” per inseguire felicità sospese e illusorie, senza forme di legami umanitari e umanistici. Da cui si salva appunto la poesia “arretro nell’invisibile / finalmente/ ho tregua dal disumano”. Perché non ci si può e ci si deve mai lasciar andare, mai rinunciare.

…..Così il poeta si fa carico di dare forma e forza a quel grido – a voce bassa ti parlo / nell’orecchio / perché solo tu possa sentire / salvare un grido / perché lo porti con te / pure nel sonno / conservarlo marchiato in gola“ – per restituire dignità e senso a quelle vite in pericolo, a “quelle grida dal mare”, per risvegliare le coscienze e la ragione: “il rimosso serra la gola / già tocchiamo il fondo”.
E da qui si torna la tema della “nascitamistero / origine del suono del senso / quel valoroso strappo dal disordine / l’urto primitivo degli atomi” come se la presa di coscienza del dovere civile e della parola fossero un altro di quei “segnali” che Ferramosca sta cercando.
La prima parte della raccolta si chiude con versi significativi in cui noi molecole delusetristi restiamo attoniti davanti al maremistero e ai luoghi che non abbiamo scelto per nascervi e per vivere, figli del caso e dell’imprevedibile sorte, eppure ancora speranzosi di “sorridere / della illusione della nulla luce”. Si noti la ricercatezza sonoro-linguistica di unire due parole per rafforzare l’impatto emotivo del senso poetico.

…..La seconda Sezione – ‘i lumi i cerchi’ – si riapre con una nuova meditazione introduttiva che prosegue questo percorso dialettico tra consapevolezza del dolore e ricerca del positivo: qui sono le parole di Claudia Ruggeri sulla capacità di attrazione degli occhi dell’ultimo nato, sul miracolo rinnovato della vita a dare un abbrivio. Ora la poesia si assume la responsabilità del coraggio e della fiducia – verrà l’oceano / verranno le sue vele / saremo nuovi / per nuovi continenti. Non ci si può piangere addosso, non si può giocare, come direbbe Charles Simic, a “chi grida più forte il suo dolore”.
Annamaria Ferramosca ci dice: “prima che faccia notte / prima che la bambina impari a sillabare / dobbiamo / ricomporre l’asse spezzato / liberare il volo aprire / nuove misure all’orizzonte”. E l’apertura viene dall’idea che “non siamo nel mondo ma in un presentimento / navighiamo l’ignoto mare di odisseo” : ovvero è l’incertezza che si trasforma in possibilità di darci una traccia possibile (che sempre rinvia anche al compito della letteratura e della poesia) per “riconoscere la madre in ogni terra”. La poesia, pare dirci Ferramosca, non sa e non può dare soluzioni, ma offre una spinta etica, una direzione, quasi una sorta di kantiano imperativo categorico privo di prescrizioni funzionali o di facili soluzione preconfezionate.

…..La poesia ripropone così, come già nella prima sezione (c’è come una sorta di simmetria narrativa che riprende passaggi simili nella varie sezioni), il tema della ricomposizione delle parti frammentate, delle fratture dolenti, cosa che talvolta riesce appunto nell’infanzia, e si fissa poi come ricordo utopico che resta dentro l’anima e che spinge al bene da compiere. C’è un forte afflato etico in questa poesia che esprime il “dover essere” dello stare la mondo con la consapevolezza, tutta da costruire certamente, del ruolo che ha l’umanità. E la poesia cerca “un filo invisibile” quello che “lega i viventi a terra e cielo / appartiene allo spirito delle acque / tutto ciò che scorre sacro è il flusso / del fiume così di linfa e sangue” nella speranza di “urti gentili e stupori ininterrotti”.

…..Non teme l’autrice di essere esplicita nei suoi intenti e si confronta con la complessità della realtà: le nostre città virtuali, gli oggetti capaci di parlare, la musica e soprattutto la natura, le acque, la flora. Così riallacciandosi alla cultura classica del “divano occidentale-orientale” scrive, rovesciando le tentazioni di un ripiegamento nichilista: “culle intrecciate con erbe di savana/ lasciate andare alla deriva / – verrà salvezza dalle acque – / a navigare verso un luccichio di nevi. Anche Eros s’affaccia, sempre imprevedibile e inafferrabile – poi arriva a me amore / col suo segreto e s’allontana /… / t’amo ti perdo t’amo ti perdo”. E il testo poetico si fa canto abbandonando i versi duri e spigolosi di parti precedenti: “imparare dal ghiaccio / a splendere da vivi / e a morire rinascendo in cascata limpida /  perché mai muore / chi nel gelo del mondo / mantiene accesa una lanterna / mai muore / chi in ascolto resta sulla soglia” di nuovo indicando così un segnale per chi fa poesia e per chi vuole, nella vita, riprendere una rotta più umana..

…..“Riscoprire una terra innocente” è lo scopo perché come insegnava Shakespeare “siamo fatti della materia dei sogni”. Ferramosca ha fiducia nella parola, nel dialogo: “cerco armi nella voce” ed è “così salda la mia fede nella musica” / quel suo immateriale nascere svelarsi” indicando come tutto ciò che apra vero il nuovo, verso appunto una nuova utopica nascita sia il vero segnale cercato dal poeta. “L’arte del camminare accanto” per poter “da poeti abitare la terra” e “salvare il suo silenzio / l’invisibile sua lingua inarresa”. Salvare la lingua, diceva Elias Canetti.

…..La terza Sezione – ‘per segni accesi’ – è introdotta dai versi di Amelia Rosselli: visione di uno strazio con uno strazio / tutto si rifà, / e da capo e di nuovo. Ancora una volta Ferramosca non getta la spugna e coglie in questi versi la forza del ricominciare, del non lasciarsi andare (e lo fa usando i versi di una poetessa tragica). E’ un segno dei tempi: viviamo momenti difficili, in cui la speranza si infrange sugli scogli dei dubbio e dell’incertezza del futuro.
La poesia di Ferramosca cerca di essere una forma di resilienza. La sezione si apre con una bella poesia dedicata (a Nicole) ed un nuovo omaggio all’amore, al mito di Adone (sempre lo inseguo lo raggiungo lo blocco / sempre lo trovo senza passaporto); incontriamo quindi ‘una vita da riscrivere’ dopo l’esperienza dell’errore, della violenza. Come detto, il mondo intimo, personale, si fonde e s’intreccia con quello della storia e del presente. Infatti arriviamo all’oggi, al ‘2020 di buio e password’: attesa ormai / soltanto amara attesa / dare un nome al prossimo tornado / al prossimo virus / rinchiudersi in casa ad ascoltare / dati norme statistiche. Certo, la nostalgia del tempo passato felice è sempre in agguato: “ritornare là nello spazio bianco / dove il primo flauto era nato / e cantava/  già prima di nascere”, ma sa bene che “la vita è da riscrivere” pur nella elegiaca nota di ritornare “bambini a scuola/  con visi leonardeschi / la penna in mano a imparare” appunto a riscrivere la vita. E’ come se Ferramosca si augurasse che sia possibile un “nuovo inizio”, un azzeramento delle vita stessa per aprirsi a nuove promesse. Forza della desiderio, infinito e innocente, della poesia?

…..La fiducia quindi non manca, ma neppure il senso critico nel poeta, che si chiede – “chissà se anche gli animali avvertono/ questo scompiglio entropico del mondo/ lo spazio esatto delle cose/ divenuto caos/ l’assenza di ogni valico per l’arca”. E ancora “ sono le lingue mute/ a germogliare ancora spine/ mentre braccia disperate tentano/ l’ultima traversa a nuoto”. E sa bene che “non basta più il semplice/ meccanismo del ricordo” dei racconti dell’infanzia a lenire il dolore “per abitare il mondo”. In questo scenario, la speranza sembra venire dalla bellezza imperitura della musica: so che una scia di note come fiaccole / ci verrà incontro nel buio dell’altrove. E torna la fiducia nella letteratura “poesia viene dai minimi / dai folli e dai vaganti / di certo non dai savi o dai seduti”. C’è un limite anche per la poesia che tuttavia ritrova forza proprio nella sua fragilità: l’autoreferenzialità come spazio protetto.

…..Il finale propone un congedo più leggero, nuovamente elegiaco, che ci riporta ad una dimensione personale, affettiva, intima: il mio allenarmi per il grande volo / è sostare su vecchie foto in bianconero /…/ salgo mi metto comoda sui cirri / sotto il capo un cuscino / di foglie di limone all’uso greco. Le piccole cose richiedono cura e attenzione e le ultime parole sono per i libri: “fieri ben stretti / ricordate vorrebbero di tanto in tanto respirare / esigono come tutti / di avere incontri essere aperti / (non solo spolverati).” E’ un tornare alle piccole cose, ci dice l’autrice con la sua poetica, che può salvarci senza però perdere di vista, come detto, la capacità dell’indignazione civile. Non si tratta di vagheggiare restaurazioni mitico-bucoliche, ma di impegnarsi. “Penso che siamo di passaggio, un tempuscolo minimo abbiamo, ma bastevole a vedere le tracce umane della bellezza e dell’etica, l’utopia di un mondo salvo”. (A.F.)

…..Temi antichi e attuali: Ferramosca sa che la poesia, l’arte, il racconto, non hanno mai cambiato il mondo, ma sa che il mondo non può cambiare senza l’arte, la poesia, la bellezza; sa che la letteratura non ha mai risolto i conflitti, ma sa che abbiamo bisogno d’imparare a lasciarci educare da essa. In questa dimensione “letteraria” che ci ricongiunge coi temi del mito, dei cicli vitali dell’esperienza umana e della storia, si ritrova un senso possibile del nostro andare e del senso del nostro restare.

…..Sono dunque questi i ‘segni accesi’ dentro le nostre vite che Ferramosca ci voleva indicare e mostrare?

…..Stefano Vitale

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…..Note sull’Atrice
…..Annamaria Ferramosca è pugliese e vive a Roma, dove ha lavorato come biologa docente e ricercatrice, ricoprendo al contempo l’incarico di cultrice di Letteratura Italiana per alcuni anni presso l’Università RomaTre.  Ha all’attivo collaborazioni e contributi creativi e critici con varie riviste nazionali e internazionali e in rete con noti siti italiani di poesia.  É stata ideatrice e per molti anni curatrice della rubrica Poesia Condivisa nel portale poesia2punto0.  É ambasciatrice di Sound Poetry Library (mappa mondiale delle voci poetiche) per Italia e Puglia.
…..Ha pubblicato in poesia: Andare per salti, Arcipelago Itaca (Premio Arcipelago Itaca, nella rosa del Premio Elio Pagliarani, finalista al Premio Guido Gozzano e al Premio Europa in Versi, Premio Una vita in poesia al Lorenzo Montano 2020); Other Signs, Other Circles – Selected Poems 1990-2008, volume antologico di percorso edito da Chelsea Editions, N.Y per la collana Poeti Italiani Contemporanei Tradotti, a cura di Anamaría Crowe Serrano e Riccardo Duranti (Premio Città di Cattolica); Curve di livello, Marsilio (Premio Astrolabio, finalista ai Premi: Camaiore, LericiPea, Giovanni Pascoli, Lorenzo Montano); Trittici – Il segno e la parola, DotcomPress; Ciclica, La Vita Felice; Paso Doble, coautrice la poetessa irlandese Anamaria Crowe Serrano, Empiria; Canti della prossimità, in La poesia Anima Mundi, a cura di Gianmario Lucini, Puntoacapo; Porte/Doors, Edizioni del Leone (Premio Internazionale Forum-Den Haag); Il versante vero, Fermenti (Premio Opera Prima Aldo Contini Bonacossi).
…..Sue poesie appaiono in numerose antologie e volumi collettanei e sono state tradotte, oltre che in inglese, in rumeno, greco, francese, tedesco, spagnolo, albanese, arabo. Un’ampia rassegna bibliografica con recensioni critiche, testi e materiale video-audio è nel sito personale www.annamariaferramosca.it

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