AAVV
“Quarto repertorio di poesia contemporanea”
(Arcipelago Itaca Edizioni, Osimo, 2020)

…..Questa pubblicazione è il frutto del Premio Nazionale Editoriale di Poesia “Arcipelago Itaca” (www.arcipelagoitaca.it ) ed è per noi egualmente un premio poter gustare i testi che lo compongono. Infatti la pubblicazione è una selezione di sei autori su trenta proposte di brevi sillogi inedite.
L’interesse, oltre che nella qualità dei testi, risiede quindi anche nel percorso critico che porta alla pubblicazione. Ovviamente vi sono, come sempre, ampi margini di soggettività. Ma l’impressione è che il Comitato Editoriale abbia voluto, con questa scelta, proporre una panoramica stilistica diversificata. Tra l’altro, come spiegano nella presentazione, anche tenendo conto delle diversità regionali. Ciò potrebbe lasciar pensare che altri autori ugualmente meritevoli e interessanti siano stati lasciati fuori. Ma è così in tutte le antologie, quindi niente di male. Oggi l’offerta poetica è talmente vasta e, per certi versi “drogata” dal furore editoriale (sia dei poeti che delle case editrici) che un po’ di selezione, dandosi comunque dei criteri, è sempre utile. La grafica è calda, accogliente, professionale e austera al tempo stesso: elementi di serietà non da sottovalutare.
Così, dicevamo, possiamo gustare un breve viaggio, grazie a questo “gruppo dei Sei”, attraverso uno spaccato della poesia contemporanea. Che, come ovvio, lo ripetiamo è parziale, ma utilmente significativa.

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…..Il primo autore è Daniele Beghè, poeta di Parma che “per brevi e compiuti quadri disegna sintesi di tempi e luoghi, tra oggetti, sentimenti, figure umane che per un istante tengono in equilibrio illusione e disillusione, attesa vibratile e disincanto” (Renata Morresi).
Nella silloge “Boomerang”, la poesia di Beghè, utilizzando un linguaggio di registri quotidiani, vuole coniugare sguardo narrativo con folgorazione poetica cercando di porre attenzione ai fatti, ai quadri appunto della vita di tutti i giorni visti però dall’angolazione del poeta che sa raccogliere sofferenze, salti, scarti, frammentazioni, speranze. La silloge è connotata da un solido sfondo culturale (Parma è la città di Bertolucci) che tuttavia la rende originale e imprevedibile, avendo il poeta una sua “voce” sicura e ben segnata. Beghè propone così una forma di poesia “civile” meditata e antiretorica, poesia ancorata alla realtà, ma non ad essa appiattiva, poesia dell’esistenza ma capace di sollevarsi da ripiegamenti esistenzialisticheggianti, anche grazie all’ironia, triste e feroce.

Ad ognuno le sue perdite

Le sedie sono pronte nell’androne,
ad accogliere i millesimi, la vetrata
zigrinata separa dalla vita esterna.
All’ordine del giorno comunicazioni
importanti dell’amministratore.
Col catetere, che urina nella borsa
della spesa, è sceso il condomino
del terzo piano. Le gronde vetuste
pisciano senza ritegno. Si oppone
al restauro il millesimo santiando:
“delle perdite comuni me ne fotto”.

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…..“Spezzare il pane” di Monica Guerra, poetessa impegnata ella stessa nella “promozione” della poesia (è presidente dell’associazione IndipendentPOETRY) è un percorso d’amore: “il destinatario di tutto l’amore di cui l’autrice è capace, quell’amore il cui senso è sintetizzato, in forma semplice e alta al tempo stesso, nei tre versi che aprono la sequenza delle liriche: “Il gesto quotidiano/ di spezzare il pane/amarsi è dalle briciole” (Danilo Mandorlini).
La silloge è dunque un gesto d’amore rivolto ad un “tu” che pare essere il compagno di una vita. L’amore non sta, per Monica Guerra, nei grandi gesti enfatici ed eclatanti, ma nelle minime azioni quotidiane condivise. Una poesia quindi che pare soffermarsi sulle piccole cose apparentemente insignificanti, capaci di generare emozioni, sentimenti; capaci di stordire, affannare, liberare. Le poesie della silloge oscillano quindi tra ricordi e prospettive, tra grumi d’esperienza vissuta e bisogno di trovare in esse un senso per crescere ancora. Lo stile, anche qui, è sostenuto da strutture dirette, di accesso lirico immediato, senza sbavature o autocompiacimenti enfatici. Poesia asciutta, essenziale, ma non certo arida o semplicistica.

non so quanti metri quadri
il numero esatto delle stanze
non so dove come reinventarmi
vorrei, se posso, ancora un ultimo piano,
le tegole rosse sui tetti degli alberi
ma se chiudo gli occhi ti rivedo
tra trent’anni un supermercato
la tua mano che mi sfila piano
una borsa della spesa.

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…..Dimitri Milleri è giovane (1995), ma ha già una certa esperienza, inoltre è musicista e ha persino collaborato come librettista con i compositori Andrea Gerratana e Riccardo Perugini.
“Camminamenti” è la sua silloge. Milleri, scrive ancora Danilo Mandorlini usa: ”una modalità compositiva agile, che si concretizza per o più nel frammento; una scrittura che appare soprattutto piana perché, anche al solo ascolto, si connota di “tonalità espressive” tipiche del parlare comune; combinazioni di versi di chiusura… che, in prima battuta possono risultare finanche troppo lineari ma che se contestualizzate nell’ambito delle liriche che le contengono conferiscono queste la capacità di folgorare il lettore”.
Insomma siamo nel cerchio di una ricerca poetica tra si fa dialettica tra basso e alto, tra lingua comune e lampi improvvisi di senso e interpretazione. La poesia di Milleri sembra così stare appesa ad un filo, sospesa tra stupore e descrizione, tra frammento e paesaggio di più largo respiro. Ma a me colpisce anche la verve metaforica, la ricerca, talvolta costruita, ma efficace di scuotere il lettore. Colpisce il gesto anarchico del salto di senso, l’asimmetria di certe soluzioni linguistiche.

Dal modo in cui costeggiano i rialzi
di pietra o cotto ai lati dei giardini,
capisci che non può
oltrepassarsi l’alt,
…..non un passo di più dentro l’ombra
dentro l’orlo conchiuso.

Per la pressione un fluido che non dormi
è peri-mortem
è come un sasso che non fa rumore.

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…..Alessio Alessandrini a proposito di “Cronicagnolo” di Ermanno Moretti scrive: “…è una raccolta che riunisce “camminamenti su strade verticali di resti” e pertanto si muove in una direzioni spazio-temporale e ritmic franta e disseminata di voci plurali… Il lettore deve fare i conti con un mondo figlio di una luce che spariglia e ciò che sente è solo una casuale forma di origliare non voluto… si tratta di una misurazione onirica, sedimentata da una sentimento di estraneazione e di claustrofobia”.
Moretti è molto interessante proprio perché prende sul serio la situazione di scollamento, di sfasamento che la poesia, e con essa la nostra contemporaneità, sta vivendo. E lo fa anche con soluzioni lessicali efficaci, con immagini lucide e sorprendenti, con un ritmo compositivo sospeso, ma deciso, netto.
Moretti fa poesia che pensa, poesia che riflette e che spiazza: “segna calma fitta/a proposito luce se spariglia” perché “l’unità di misura cambia a seconda/ a diversamente sensibili”. E ancora: “se si passa al piano due cambia/ la misurazione onirica subita/piange il vacillo d’oro (il sangue seccato a fondo l’unghia toglie lo /smalto/ la confessione dura trentasette minuti/
Poesia quindi che richiede al lettore impegno e fiducia, che si sviluppa per figure e passaggi persino surreali (“il montaggio di chi le mani ecco, direbbe,/non mi vergogno per niente a portare questo / naso fuori”) che obbligano a non voler ad ogni costo capire. Perché su tutto regna il caso e l’improvvisazione, per la sospensione questa volta è figlia delle nostre distrazioni ed ossessioni.

Dallo schema
l’origine della disidratazione
non è l’idea di scelta che
propone piatto

parole sottovoce
poco però male
certo c’era cielo, occhi, candela (cadeva)
e il bollore che rimette a piombo

chi ha lasciato passa dalle mani di chi si è solo sentito nominare
per puro caso, nessun’intenzione d’origliare.

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…..La poesia dialettale ha sempre più un peso nel panorama della poesia contemporanea. Non può affatto essere più considerata un genere residuale. Ciò è senza dubbio frutto del lavoro di molti importanti quanto pervicaci poeti (come a esempio Franco Loi, decano della poesia dialettale), forse deriva dal regionalismo culturale che sta riprendendo piede anche a fronte delle tendenze politico sociali che stiamo attraversando, ma sicuramente ciò è dovuto al fatto che il rinnovamento della lingua italiana, sempre più caduta in basso, probabilmente passa attraverso le forme e la forza espressiva dei dialetti. Che non sono solo suono, ma anche struttura lirica ed espressiva capace di indicare contenuti e sostanza poetica.
Sandro Pecchiari, poeta triestino per nulla rinchiuso nel suo recinto territoriale, propone “Otto liriche in triestino” molto intense, certo ricche di “struggente musicalità” ma interessanti perché “Pecchiari è bravo a non cadere nell’errore di far diventare il dialetto un mero strumento per opacizzare, per invecchiare con gentilezza una voce nostalgica e lontana, fine a se stessa, come troppe volte accade… è un’operazione assai meritoria dal momento che molti dei testi nascono proprio dal ricordo e hanno una tensione proustiana del verso” (Alessio Alessandrini).
Come rileva ancora Alessandrini “ si tratta di una serie di bozzetti” che però si arricchiscono “in un intreccio linguistico” che lega “gergo popolare al contemporaneo non disdegnando anglicismi da epoca digitale”. La poesia di Pecchiari si perde “nella speleologia dell’anima”, altre volte si sofferma su dettaglio di “qualche puttana…/ quelle che indossano la lontananza”; oppure parte da un ricordo, da una vecchia stilografica, da una “copertina/ quella presa in Marocco”, da “un maglione sformato” per dirci che “in retromarcia il tempo si attorce/ attorno a facce che non ricordi”.
Così ci trascina nel mezzo di un’umanità dispersa, stanca, che fissa il vuoto ma che non smette mai di cercare una via d’uscita, di vivere comunque.

Un brav’uomo

la stazione ferroviaria
la piazza della stazione con i bus
inevitabile qualche puttana ad ogni ora
uomo o donna,
quelle che indossano la lontananza
o gente che meglio non fissare
svelti di coltello
commerci da poco, soldi di sudore.

la tua casa è appena oltre la barriera
passi come in una sfera d’aria
gonfia del tuo disagio
perché forse potresti
buttarti via o forse starci.

nessuno ti guarda, ovvio,
ma i tuoi occhi sono tentacoli
celati, sperando in una fiocina
col tremore di un bambino
invecchiato senza acqua.

non hai vissuto e non stai vivendo
e forse si anche in subaffitto
nel groppo delle cose dentro
budella, polmoni, un cuore che sta in castigo.
lascia perdere dai, va’ a casa.

*

…..Chiude l’antologia Alfredo Rienzi con la silloge “Sull’improvviso”. Rienzi è poeta nato a Venosa che vive a Torino, tra i poeti più apprezzati degli ultimi venticinque anni. Questa silloge “muove da un evento doloroso, la scomparsa di un bambino, figlio di una coppia di amici, in circostanze tragiche: un fulmine colpisce proprio l’albero su cui era salito”. Mauro Barbetti nota con acutezza che nascono da qui due percorsi paralleli: uno che si rivolge al dolore della madre del bambino e che “in toni elegiaci racconta la realtà dell’assenza” e dei segni che essa lascia. L’altro è interno alla dimensione ontologica del tema che coinvolge “ le fibre del mondo e della sua natura fisica”.
Barbetti scirive: “La riflessione verifica tutto attorno la presenza dei segni premonitori di una fine insita in tutte le cose, una fine che a noi umani risulta estranea, incomprensibile, inaccettabile, parto di un tempo che “non è mai quello giusto”, che fa sì che “le partenza hanno il suono ottuso/ della frana che coglie all’improvviso”.
Rienzi si conferma poeta di pensiero che sa però declinare la sua riflessione in forme di poesia pura, profonda e ricca di sfumature. Egli non rinuncia mai alla voce ferma e lucida della ragione, non si sottrae alla necessità di fermare la parola su “sentenze” lapidarie, ma c’è sempre una dolente forma di umanità, di compassione leopardiana nei suoi versi, un desiderio di pace e di condivisione che fa sì che la sua scrittura sia pur tagliente possa anche consolare, generando pietas. Proprio perché, con la scrittura Rienzi sa cercare sempre punti di vista diversi, magari contrastanti che però ci restituiscono la verità del nostro incerto procedere, della nostra stessa natura di umani imperfetti.

(or s’è fatto continuo l’assedio)

Ora
…..s’è fatto continuo l’assedio
tutte le taglienti diadi, i bivi
gli opposti conciliabili
rinnegano l’altra sponda, i fiumi
si sono fermati. Fango da fango.

Qualcuno sa dire quando è accaduto?
quando il cielo s’è macchiato di viola?

Ma abbiate cura delle unità
di misura. Abbiatene pietà.

*

…..Qui finisce il nostro viaggio. Ora, mi auguro, cari lettori, che possa iniziare il vostro cercando di entrare in questo mondo strano che è la nostra poesia contemporanea, quella lontana dalle ribalte ufficiali, dai giornali ad alta tiratura. Ma che, ne sono certo, vi potrà appassionare.

…..Stefano Vitale

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