“Tutta la terra che ci resta”, di Silvia Rosa
(Vydia Edizione d’Arte, Montecassiano, 2021)

…..La raccolta “Tutta la terra che ci resta” è presentata da Elio Grasso e scrive: “poesia cruda, figlia di una tempra capace di attraversare l’atmosfera schiumosa che noi stessi abbiamo generato, qualcosa che riconosciamo inevitabile pur attraversando i deludenti tsunami editoriali in voga. Ecco, si dovrebbe reagire alla perdita sensoriale per acchiappare al volo chi, ancora accordato al corpo, contrasta la profusione di cose e aggiunge parole diverse a quante ancora attendono d’essere usate”.

…..In pochi tratti, sia pure complessi per forma e contenuti come nello stile del prefatore, ecco il senso di questo denso libro di Silvia Rosa. Fedele al suo stile poetico fatto di versi fitti dalla voce incalzante, in linea col suo sempre più evidente impegno etico, Silvia Rosa con la poesia di questo libro lancia un grido alto e chiaro di avvertimento per la deriva del nostro tempo.

…..Ancora Elio Grasso scrive: “Abbiamo rivolto lo sguardo, pertanto, all’attuarsi dell’ibridazione digitale con le sinapsi cerebrali, dando il via alla più o rassegnata possibilità che mente umana abbia mai co-nosciuto. Comunque si, alcuni poeti e poetesse ammettono la smisurata testardaggine della poesia a saggiare quanto la lingua ancora può. Umano è il personale ricominciare daccapo, con modi e sistemi ritenuti “glaciali” nel confronto con esperienze novecentesche ampiamente storicizzate”.

…..E così Silvia Rosa nel prologo già incalza:

Abbiamo fatto una magia – guarda –
rimestato ogni angolo affinché rilucesse
come una moneta di platino
e poi abbiamo preso il cielo
con la punta delle nostre lingue
l’abbiamo lavorato in una scala di grigi
senza più toni caldi e orientamento
così adesso luccicano i nostri passi falsi
sotto il plumbeo che ci schianta,
privi di olfatto per non imbattere nell’odore
di sterco e di tana, bidimensionali e nitidi
ci duplichiamo a latere dell’immagine,
in un’asettica anestesia cromatica, dentro
una cuspide d’ombra, nuova di zecca.
(pag. 15)

…..Ancora una volta la poesia volge il suo sguardo verso la nostra condizione umana, al presente. Davvero una “poesia del nostro tempo” che vuole fare i conti con quel che siamo diventati fidandoci di una tecnologia che ora ci sfugge, raschiando il barile della nostra povera terra e del nostro povero “animo”. Che vuole fare i conti con le nostre illusioni di onnipotenza, con le nostre illusioni tout court. La poesia di Silvia Rosa è tesa, a volte persino rabbiosa, tanto più quanto si trattiene e resta lucida, senza mai cadere nella facile invettiva. Silvia Rosa è poetessa impegnata, e come tale sa che la sua visione critica non va sprecata.

…..Il libro ha un suo percorso, traccia un viaggio. La prima sezione è “Prima della pioggia” ed è indicativo il testo “Dove siamo, mentre la notte/ entra sicura sulla destra e vira/ al chiaro che svanisce? Dove vanno/ le cose che si illuminano, / quando lasciamo un punto piccolo/ di fuga per/ non dimenticare/ di fiorire lungo la strada/ del ritorno?”.

…..Ci si domanda dunque “dove siamo” e “dove vanno le cose”: grandi domande che s’infrangono nella constatazione che “Manca profondità a questo andare, / uno sguardo d’insieme, il talento/ di sopravvivere alle lesioni del buio” (pag. 20). E ancora a pag. 22: “Sopravvivono residui bellici/ – caducità contro estasi d’asfalto –/ sebbene i giorni scorrano in sequenze/ come disposti su un rapido nastro di montaggio/ …”.

…..Le nostre città sono il nostro spazio che si crede “vitale”. Non c’è nostalgia di un altro mondo ideale: c’è la ferma volontà della poesia di affrontare la realtà. Ci stiamo dentro, non ci possiamo sottrarre. Così nella seconda sezione “Città” troviamo:

Persino i leoni, qui, hanno denti umani
e sfoggiano criniere di galena, intagliate
con scrupolo. I loro occhi sono tracce
cuneiformi di palinsesti e programmi
seriali, costellati di insuccessi e di bachi.
Le loro fauci grondano scansioni criptate
intanto che le periferiche dei nostri volti sono
allineate per dimensione di globuli bianchi
e anticorpi. Sembra che attendano di sfigurarsi
in apparizioni, sostituirsi ai neuroni,
alle braccia, alle mani, convogliare
le nostre visioni in dispositivi di protezione,
integrarsi nelle rientranze molli dei nostri corpi,
superare ogni scissione con cognizione di causa,
liberarci dall’agonia della crepa, dalla frattura
dei bordi, dai limiti della memoria.
(pag. 31)

…..Piovono le parole come una pioggia fitta, acida, una hard rain, e ci si bagna senza scampo. Ma c’è spazio per la compresenza di toni: ironia e disincanto; aspra critica e tenero sguardo sulle nostre ossessioni, le nostre distrazioni, il nostro necessario spirito di sopravvivenza: “Vittorio sgomberi e traslochi / vieni a prendere in blocco/ il nostro futuro, il cassonetto/ ha il soffitto sfondato e fuoriescono/ in fila i rigurgiti delle nostre esistenze…”/ Vittorio sgomberi e traslochi/ manda un Whatsapp di conferma, rispondi. (pag. 33)

…..Si noti il linguaggio della poesia di Silvia Rosa capace di integrare una cultura più “tradizionale” con l’uso di lemmi tratti dalla nostra “modernità” quotidiana ormai entrati nel lessico della nostra lingua-mente, nella nostra pelle. Ma la forma e la lingua poetica non ne risentono: non c’è banale uso strumentale di certi modernismi. E’ come stare dentro al fango, alla polvere respirando l’aria che tutti respiriamo, senza eccezioni.

…..Nella sezione “Un tono più vivo” entriamo decisamente nel nostro presente elettronico e virtuale: ”Certe mattine la città lancia un missile/ di megapixel, i display allora si popolano/ di istantanee in vari formati, per celebrare/ l’epica della calca: quel rituale per cui andiamo/ in collisione, convulsi, nel fermo immagine (pag. 37).
E ancora: “Viviamo in gabbie stile hi-tech,/ con soffitti pseudo interstellari e un dedalo/ di ferro e acciaio, in cui lacerti di discorsi/ viaggiano tra filari di cavi (pag. 39).

…..Siamo inchiodati ai nostri schermi e abbiamo perso il contatto con la realtà: “Nell’alba rancida siamo pronti/ a piccole processioni, compriamo a metà prezzo/ un giorno in più, una nuova uniforme, una passione/ di poco conto, che butteremo via a fine stagione,/ un’occasione per sentirci oltre lo stallo, un sorriso/ di circostanza e una voce cava.. (pag.40).

…..Sembra impossibile uscirne fuori, ma è in questa sezione che scorgiamo la domanda: “Ma dove conducono le deviazioni/ improvvise? Quale meta irrisolta ci attende oltre/ il moto circolare e l’inesorabilità del presente? (pag. 43). Annotava nella prefazione Elio Grasso: “Dunque, è possibile evadere (arduo, sì) da sequenze digitali e vagheggiamenti di potere transumano, rompendo il vetro, come certi cartelli invitano in caso di pericolo. La scorza reale di una poesia cerca interlocutori, e spiega come il corpo può ruotare la spina dorsale e cogliere in pieno la natura stessa della creazione”.

…..Nella sezione “In caso di necessità rompere il vetro” c’è però una prima apertura: “In caso di necessità rompere il vetro:/ uscire dal campo recettivo, seguire/ le coordinate che conducono alla curva/ dello stupore …./ alleggerire le pupille vedette dal vizio/ delle proiezioni, trafugare la frenesia degli amanti/ e riprodurne gli aromi, dilatare il quotidiano/ …. accettare l’imprinting di un animo bifido./ Soprattutto, individuare subito, per prima,/ fra tutte le altre evenienze, l’uscita d’emergenza (pag. 48).

…..La scrittura, come detto, è fitta: obbliga il lettore ad un corpo a corpo con se stesso e con la parola. Così nella sezione “Dove finisce la terra” c’è un invito significativo: “Cerchiamo di restare interi dopo la caduta, / anche se gli occhi ci tradiscono accogliendo/ il buio come fosse un’altra pelle, la peluria/ di una bestia, impalpabile. Il fiore carnivoro/ di una nebulosa ci risucchia fino alla radice:/ che cosa viene dopo? Dove finisce la terra/ e inizia la galassia rovesciata del mai più? (pag. 62)

…..Qui c’è dunque il grido che sorge dalla poesia e dall’umano: allerta inderogabile. La poesia non ha soluzioni: può però avvertire che ci si deve fermare, in qualche modo occorre prendersi cura di noi, degli altri e della terra che ci resta, fuori e dentro di noi: “Forse il corpo residuale sa ancora/ nella sua saggezza ormai inceppata/ come schivare i chiodi delle tenebre,/ … sentire scorrere nelle vene il soffio analgesico del dopo, una specie/ di speranza sospesa nella controra/ del giorno”. ( pag. 66)

…..Dare vita ad un altro mondo: chissà se davvero sarà possibile. Silvia Rosa ci da l’idea che sia possibile a condizione di cambiare prospettiva:

Forse ci risveglieremo da un sonno
di confine, un fuoco nero arderà
allo zenit delle tenebre, respireremo
il fumo denso che ascende fino
al firmamento in volute e profezie,
chiederemo a un algoritmo la ragione
d’essere in avaria ostinata, così fragili,
e tutte le istruzioni per sfuggire al caso,
sopravvivremo anche alla banalità
dei giorni, all’addio volubile di pin
e password, arenati in qualche rada
della mente, cambieremo il filtro
delle lenti ma mai la prospettiva
aurea, staremo nell’assenza di peso
e gravità, estatici, una visione doppia
di noi stessi: da un lato vivi, dall’altro.
(pag. 68)

…..Se vi riusciremo non è dato saperlo. Intanto la poesia ci indica col dito qualcosa da seguire.

…..Stefano Vitale

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…..Note sull’Autrice
…..Silvia Rosa nasce a Torino, dove vive e insegna. Suoi testi poetici e in prosa sono presenti in diversi volumi antologici, sono apparsi in riviste, siti e blog letterari e sono stati tradotti in spagnolo, serbo, romeno e turco.
…..Tra le sue pubblicazioni: l’antologia fotopoetica Maternità marina (Terra d’ulivi 2020), di cui è curatrice e autrice delle foto; le raccolte poetiche Tempo di riserva (Giuliano Ladolfi Editore 2018), Genealogia imperfetta (La Vita Felice 2014), SoloMinuscolaScrittura (La vita Felice 2012), Di sole voci (LietoColle Editore 2010 ‒ II ediz. 2012); il saggio di storia contemporanea Italiane d’Argentina. Storia e memorie di un secolo d’emigrazione al femminile (1860-1960) (Ananke Edizioni 2013); il libro di racconti Del suo essere un corpo (Montedit Edizioni 2010).
…..È vicedirettrice del lit-blog “Poesia del nostro tempo”, redattrice della testata online “NiedernGasse”, collabora con il blog di letteratura “Margutte”, con la rivista «Argo» e con il quotidiano «il manifesto».
…..È tra le ideatrici di “Medicamenta – lingua di donna e altre scritture”, progetto di Poetry Therapy che propone una serie di letture, eventi e laboratori rivolti a donne italiane e straniere, lavorando in una prospettiva psicopedagogica e di genere con le loro narrazioni e le loro storie di vita.
…..Ha intervistato e tradotto alcuni autori argentini in Italia Argentina ida y vuelta: incontri poetici (edizioni Versante Ripido e La Recherche 2017).

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