Alcune riflessioni in margine all’autobiografia di
Ayaan Hirsi Ali

Se mai, con uno scatto di coraggio, l’accademia svedese del Nobel decidesse di affiancare al premio per la Pace un non meno significativo Nobel per la Libertà, il primo andrebbe assolutissimamente assegnato ad Ayaan Hirsi Ali, che all’affermazione dei principi di libertà ha consacrato, con crescente coscienza del problema, tutta la sua vita. Una vita che, dal racconto autobiografico (A. H. Ali, Infedele, ed. Rizzoli, pp 392, € 18,50), è la più evidente, concreta conferma di come, oltre le differenze di linguaggio e di cultura, il valore libertà si ritrovi identico in ogni persona umana, proprio come i sentimenti del cuore e le forme della natura; che infatti trovano dai più distanti linguaggi una universale traducibilità, misura di quanto uomini di evi e popoli e razze diversi partecipino, nei valori fondamentali, a una comune identità civile, intorno al valore di libertà.

L’autobiografia di Ayaan H. Ali, nata nel 1970 in Somalia, è l’appassionante racconto della lotta di una straordinaria coscienza per rompere con forme culturali senza più contenuti istituzionali di libertà, ergo la cui azione nelle coscienze dei singoli va nella direzione di appoggio e potenziamento del principio naturale di gerarchizzazione.
Nel suo lungo viaggio da un mondo organizzato secondo le modalità sociali del neolitico maturo, fino alla civilissima Olanda dell’Università di Leida, dove si laureerà in scienze politiche, e poi nella sua azione dentro il nostro Occidente, prima militante del partito socialdemocratico olandese e poi deputato liberale, e oggi insegnante di scienze politiche in una università USA, la Ali è sempre stata mossa da un desiderio profondo di costruzione di una propria identità libera. Questo desiderio di libertà le è venuto dall’esempio concreto di due formidabili donne: la nonna e la madre, che hanno retto le loro famiglie, al prezzo di un lavoro duro e tenace, intorno a valori tradizionali che assicuravano loro degli spazi di garanzia, anche contro l’invadenza tirannica del maschio islamico, prima come padre e poi come fratello e sposo e perfin come figlio che si arroga il diritto di tutela sulla madre.
La tendenza repressiva del maschio sulla femmina nella società tribale somala si è affermata solo di recente, attraverso l’introduzione della visione ortodossa islamica saudita, sostenuta e resa possibile dal petrolio.

L’Islam somalo precedente non conosceva forme radicali di legittimazione religiosa dell’oppressione del maschio sulla femmina. E in questo islam è nata e si è formata Ayaan, alla lezione di libertà della nonna e della madre, profondamente legata a una sorella minore. Figlia di un maggiorente politico somalo, l’adolescenza di Ayaan è travolta prima dalla dittatura sostenuta da Mosca, di Siad Barre, che arresta il padre e costringe la madre a fuggire con le figlie e la nonna in un pellegrinare tra Arabia Saudita, Etiopia e Tanzania, dove la bambina e poi l’adolescente Ayaan osserva, riflette su costumi diversi e in Tanzania viene a contatto con modelli di tipo occidentale, soprattutto nella scuola e attraverso la lettura di romanzi in lingua inglese; nei quali scopre il diritto della donna alla libertà sentimentale e la possibilità di vivere indipendentemente del proprio lavoro. Decisa a raggiungere questa indipendenza, Ayaan perfeziona il suo inglese e studia dattilografia e computisteria, mentre intanto la dittatura di Barre crolla, suscitando grandi speranza in una Somalia libera, dove il padre della Nostra dovrebbe svolgere un grande ruolo, ma alle grandi speranze corrisponde il disastro assoluto di un paese diviso in fazioni, preda di una guerra civile spietata, che ricostringe la famiglia Ali a ritornare in Tanzania, dove ripara anche il padre. I capitoli dell’imbarbarimento, anche per effetto degli estremisti sauditi, succeduti a bolscevichi nel disegno egemonico, della guerra civile e poi dell’esodo di massa dei somali dal loro paese ci mostrano dai visceri che cosa sia la tragedia del nostro tempo nei paesi del terzo mondo d’area islamica, dove il denaro ed il fanatismo degli integralisti sauditi hanno sostituito con l’islam il comunismo russo come ideologia coercitiva guida dello stato.
Il passaggio decisivo di questa coercizione è la radicale separazione tra uomini e donne e il diritto della generazione dei vecchi di governare la politica familiare matrimoniale della generazione dei giovani.

Il padre di Ayaan, in perfetta buona fede decide che lei dovrà sposare, a sostenerlo politicamente ed economicamente, un giovanotto canadese di origini somale, venuto in Tanzania in cerca di una moglie di alto lignaggio, da acquistare con poca spesa. Eppure il padre di Ayaan non è un rozzo islamista: si era fermamente opposto all’eccisione del sesso delle figlie, deciso, lui assente, dalla nonna. Il racconto della mutilazione del sesso, e dei suoi devastanti effetti sulla futura vita sessuale è forse il capitolo più drammatico di questa drammatica autobiografia, segnata da tanti eventi tragici e pochi momenti di felice serenità. Il racconto della mutilazione che Ayaan ha subito, e dei suoi effetti, ci mostra dall’interno quale abominio sia questa pratica, che l’Europa, sul suo suolo ha il diritto di non tollerare.
Tornando al padre di Ayaan, egli non riesce a comprendere che sua figlia possa aspirare a decidere lei della sua vita sentimentale. Che cosa impedisce all’uomo di accettare questa scelta della figlia? La risposta è una sola: il diritto islamico alla poligamia, impensabile dove c’è una libera scelta sentimentale. E infatti questo diritto dei maschi a scambiarsi le femmine è il tratto che tra le giovani islamiche cresciute in occidente tende a portarle in conflitto con la loro tradizione. Il maschio islamico, l’esempio quello venuto dal Canada a sposare Ayaan, non ha dubbi: le donne che aspirano alla libertà sentimentale sono delle scostumate. E una la nostra Ayaan, che riesce a differire la consumazione del matrimonio in Tanzania, e intanto progetta la fuga, singolarmente agevolata dall’impazienza del marito, che per poterla avere in Canada e consumare, sceglie di farla andare in Germania e di avviare di là le pratiche per portarla a casa sua.
Dalla Germania Ayaan ripara in Olanda e inizia la sua vicenda occidentale, braccata dai parenti, decisi a farla rinsavire, rinnegata dal padre e dalla madre, ma il caso benevolo ha voluto che approdasse nella civile Olanda.

Gran lezione dovrebbe essere per noi italiani il racconto del percorso verso la laurea e l’ascesa politica di Ayaan nel mondo olandese, a misurare quanto il nostro sia molto più pericolosamente contiguo a quello della barbarie islamista. Ma anche la libera Olanda ha un suo tallone d’Achille, che passa per la visione multietnica socialdemocratica, con la quale progressivamente Ayaan entra in conflitto, in quanto scorge in questa visione lo spazio per permettere all’eccisione del sesso femminile, al matrimonio poligamico, all’uccisione delle bambine e ad altri barbari costumi di perdurare e diffondersi entro enclavi islamiche nel continente europeo. Ayaan costringe la polizia olandese a registrare le uccisioni tra gli immigrati. Riluttante la polizia decide di accettare di registrare i dati in soli due distretti di polizia su ventiquattro: “Alcuni mesi dopo, quando furono annunciati i risultati, il parlamento rimase scioccato. Tra l’ottobre 2004 e il maggio 2005 undici bambine mussulmane erano state uccise dalle loro famiglie. La gente smise di ripete che esageravo. Ricevetti molte lettere … Quasi tutte le lettere furiose venivano da musulmani … Mi dicevano che ero una traditrice del mio popolo … Quando leggevo quelle lettere rabbiose capivo lo stato d’animo di chi le scriveva: un tempo anch’io lo condividevo. Comprendevo quella gente, a irritarmi erano invece le organizzazioni musulmane pagate dal governo … i loro leader non rappresentano nessuno dal momento che non vengono eletti, sono ben sovvenzionati ma non producono nessun programma. Mi definiscono una traditrice, quando solo loro a tradire le loro donne e i loro bambini. – op. cit. pg 346”

L’assassinio di Theo van Gogh, gli anni di vita blindata in Olanda a evitare di essere anche lei assassinata, e la finale decisione di riparare negli USA sono il prezzo pagato da Ayaan per la sua lotta in difesa delle donne islamiche. Sono le pagine di un’epopea che è purtroppo anche la più puntuale, inquietante descrizione dei tratti regressivi che l’islam introduce in una società già molto prima di diventare religione maggioritaria, imponendosi come cultura settaria chiusa, che esercita un feroce controllo sui singoli, nel suo progetto di separazione, alimentando un furioso odio per il diverso. E questa chiusura settaria può trovare un pericoloso alleato nel tipo di logica politica sviluppatasi nell’ambito della democrazia occidentale. Nulla lo descrive quanto la decisione, mentre Ayaan siede nel parlamento olandese, del ministro liberale, quindi un collega di partito, e donna come lei, di ritirarle la cittadinanza, ergo dichiararla decaduta dall’incarico parlamentare e ordinarne l’espulsione dal paese. Per quale ragione una tale decisione? Un puro calcolo tattico politico. Dopo l’assassinio di Theo van Gogh molti hanno accusato la Ali di essere la vera mente del video che ha scatenato la furia omicida islamica. Una furia che perdura, in ragione del denaro saudita che la alimenta, e crea tensioni nel paese, per la tenace decisione degli estremisti islamici di uccidere, o quanto meno mettere alla gogna Ayaan: fargliela in qualche modo pagare. La ministro dell’immigrazione ragiona che è più semplice espellerne una che andare contro tanti energumeni minacciosi, ma la sua decisione suscita una vera ondata di sdegno, che ne decreta la fine politica. E però quello che emerge dall’episodio è la capacità dell’islam, come oggi in Turchia, di manovrare negli interstizi della società democratica in un disegno imperialista di colonizzazione.

Il racconto della Ali è una clamorosa conferma di quanto il processo di umanizzazione della nostra specie entro la natura si connoti come capacità nel tempo delle diverse culture di costruire per le coscienze individuali delle persone che vi partecipano spazi di libertà, formalizzarli in garanzie istituzionali fondate su grandi simbolismi mitici, contro la pulsione istintuale gerarchica gregaria universale nelle società animali naturali, e che sopravvive anche nelle strutture psichiche arcaiche di ogni individuo, pronta a rinasce anche in epoca pienamente storica come documenta il lungo perdurare dello schiavismo e dello sfruttamento della prostituzione, o la nascita di culture totalitarie come il nazismo, che formalizzano sul piano mitico-istituzionale nello spazio psichico individuale la struttura di socializzazione umana naturale, ma al prezzo di una devastante regressione spirituale. Questo oggi minaccia di essere la montata islamista, e nulla lo descrive con altrettanta lucidità del racconto della Ali.
Questo Ayaan denuncia con la forza di una riflessione che nasce da un vissuto, e questa è oggi la ragione cardine per leggere e tener ben presente l’autobiografia della Ali, collocarla ben al centro nelle nostre biblioteche, testo straordinario per le sue molte chiavi di lettura, tra l’indagine etnografica, la testimonianza storica e il racconto di una indomita coscienza femminile appassionatamente assetata di libertà.

Piero Flecchia

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