copert_bertoldo_flecchiaRoberto Bertoldo

LA PROFONDITA’ DELLA
LETTERATURA
Saggistica

Edizioni Mimesis

 

 

LA PROFONDITA’ DELLA LETTERATURA
Saggio di estetica estesiologica di
Roberto Bertoldo

foto_rob.bertoldoImprescindibile per la comprensione del saggio di Roberto Bertoldo è incominciarne la lettura dal “glossario minimo” in appendice all’opera; e dal quale citiamo più sotto tre voci, a enuclearne sinteticamente gli elementi innovativi. Innovativi rispetto a quel codice estetico di matrice aristotelica che ha fino a oggi egemonicamente improntato le strutture della formalizzazione della riflessione sulla scrittura creativa nell’ambito dell’analisi metafisica. Rispetto alla tradizione critica di matrice aristotelica, sostanzialmente confermata e rafforzata dalla grande stagione formalista della prima metà del xx secolo, l’estetica estesiologica di Bertoldo si pone in meditata, ma non polemica discontinuità, per la ragione che esemplarmente l’autore rende evidente al lettore nella citazione di Baudelaire premessa ad apertura de ‘La profondità della letteratura’:
“Non è lontano il tempo in cui si capirà che ogni letteratura che si rifiuta di camminare fraternamente tra la scienza e la filosofia è una letteratura omicida e suicida” – C. Baudelaire, La scuola pagana”.

Questo passo è il DNA del disegno speculativo che articola lo studio, entro la cui genetica la necessità di una nuova riflessione metafisica sulla scrittura creativa letteraria discende dai decisivi contributi a una più profonda comprensione del pianeta sapiens sapiens venuti dalle neuroscienze e dalla dimensione visionari materialista dell’uomo entro l’albero darwiniano; e per quanto delineata dall’antropologia attraverso la ricerca etnografica, paleoantropologica, e filologica; da dove poi per l’autore una coerente interiore necessità di precisazione linguistica, a un tempo additiva, e a segnare un discontinuità, che non è però rottura (come invece del modello copernicano rispetto a quello tolemaico) con l’estetica di origine aristotelica, ma piuttosto una diversione, realizzata nella scrittura anche per l’introduzione di nuovi conï linguistici, a dare la cui misura e senso riportiamo dal glossario in appendice:

ESTETICA ESTESIOLOGICA: estetica riguardante le sensazioni e la sensibilità, in particolare lo studio di questa sensibilità. L’estetica estesiologica è da intendersi come estetica del piacere, non del bello, e contiene tanto l’estesica, che si occupa dei fondamenti sensoriali, quanto la valutazione di essa (Op. cit., p. 324)

IMMANENZIONE: … la fase attuativa della comprensione del dato attraverso la sensazione. L’immanenzione non elabora giudizi, tuttavia pone all’intelletto e alla ragione le sensazioni per le loro oggettivazioni, rispettivamente analogiche, nella consapevolezza dell’atto oggettivante, e logiche, nella consapevolezza del metodo oggettivante. (Op. cit., p. 325)

ESTANOMALOGIA: dal verbo greco ‘aisthánomai’ (percepisco, comprendo, sento per mezzo dei sensi), qui indica il procedimento di acquisizione non di una sensazione generica (per questo non ho ricavato il neologismo lessicale dal verbo all’infinito) ma della propria personale sensazione, attraverso la quale, mediante l’immanenzione, si ottiene l’individuazione della singolarità, di sé e dell’altro. L’estanomalogia è quindi una teoria della comprensione non linguistica fondata sulla concezione di mente estesa. (Op. cit., p. 324)

Le tre citazioni individuano tre precisazioni tecniche lessicali, che indicano tutte coerentemente verso la fase creativa-reattiva psichica emozionale pre linguistica del Sapiens Sapiens davanti all’esistere naturale nella sua complessità, a individuare il suo passaggio dalla naturalità oggettiva animale alla soggettività culturale. Una complessità evolutiva nel suo accadere quasi del tutto murata nell’interiore coscienza naturale; per cui comunicabile solo per un sistema rozzo di segnali; e che troverà espressione piena solo nel linguaggio.
Nel processo di umanizzazione il linguaggio è l’elemento innovativo capitale in quanto progressivamente, mentre la esteriorizza, trasforma la naturalità individuale in soggettività culturale. Accade in quanto e per quanto il linguaggio rende possibile tra i soggetti una comunicazione analitica inter soggettiva della emotività, che apre su una possibilità del tutto nuova: l’auto comprensione attraverso la mediazione di un comune codice simbolico scambiato entro la nuova tecnica di comunicazione linguistica; per comprendere la cui portata rivoluzionaria basta riflettere su quale differenza introduca nel ciclo di relazioni naturali intersoggettive del branco umano il linguaggio, la cui acquisizione è un fatto recente legato a una profonda mutazione strutturale del corpo umano. Una mutazione che ha deciso la frattura tra il Sapiens Sapiens e i conspecifici altri primati, ma che ha anche introdotto una complessa frattura entro la psiche dell’ente naturale homo.
Nasce da qui la soggettività umana, effetto di quanto e per quanto l’homo naturalis è costretto a rispecchiarsi e quindi ripensasi nel linguaggio, il soggetto stesso il prodotto della rivoluzione linguistica. Un soggetto umano che finisce per conoscere e capire del suo essere naturale solo per quanto e di quanto è diventato linguaggio. Detto semplificando, il soggetto deve costantemente tradurre la complessità agente della macchina concreta istintuale naturale nel suo doppio e specchio linguistico, solo per il quale impara e analizza gli istinti secondo un codice di gruppo che precede e ingloba ogni nuova soggettività. Solo in ragione della sua formazione entro un codice linguistico l’homo naturalis diventa quella singolare specie animale che Cassirer definì acutamente ‘animal symbolicum’.
E quanto conti il complessivo sistema di simboli basta riflettere su quali capitali differenze emozionali soggettive introducano nella soggettività differenti codici culturali quali quello pagano, cristiano, buddista, islamico …, entro la comune universale struttura basica naturale.

A discendere nel concreto, un fenomeno politico quale la democrazia è di ardua comunicazione simbolica in ambito monoteista, dove il mondo discende, è emanato dall’Uno. E lo ribadisce nel nostro tempo il più facile radicamento della democrazia in India e Giappone, paesi a base politeista e filobuddista che in paesi monoteisti come l’area islamica o cristiana. Qui la democrazia si è radicata solo per la mediazione di un recupero della tradizione pagana; e fatica a imporsi in Italia proprio per il residuo agente cattolico, in ragione di quell’elemento penitenziale permissivo che, Max Weber insegna, se non legittima, crea il clima di tolleranza verso la corruzione, come confermano esemplarmente nel nostro oggi i giochi di Renzi padre con i contributi di stato. Ma Renzi padre non è che uno dei tanti casi, gli effetti della cui educazione simbolica mondana filocristiana nei figli si esemplificano nel modo gradasso e furfantesco di fare politica dei rampolli. Nello specifico di Renzi figlio, la sua logica politica tutta volta a usare il monte tasse per fare elargizioni elettorali per fraintese assonanze cattolico caritative.

Come anche descrive esemplarmente nel nostro oggi la politica renziana, esiste accanto al mondo naturale un mondo fantastico, ma nella natura ormai inscindibilmente commisto in ragione del simbolismo linguistico, la cui analisi diventa tanto più importante quanto più questo universo simbolico linguistico orienta, governa i nostri comportamenti istintuali.
Questo è stato e resta il compito di quella parte logica razionale della mente umana che la cultura greca organizzò nella nuova originale forma sapienziale della filosofia. E che fin dal suo incipit ionico si bipartì in filosofia naturale, da cui poi la scienza della natura, e filosofia umanistica: riflessione sull’ambito dell’umano, che Roberto Bertoldo ha intrapreso in molte sue opere, tutte coscienti che solo la ricerca sulla natura, dove l’umano è un dettaglio, può portare a una miglior comprensione dell’animal symbolicum homo, quale precipuamente affiora in quella universale singolare creazione che, a discendere dai miti delle origini, ha poi prodotto i grandi codici religioso e letterario.
Questi due grandi codici simbolici sono a lungo stati l’uno integrato nell’altro, come parla in Omero, ma si conferma ancora in Dante. La loro disgiunzione principia con la metafisica aristotelica, che ha segnato il distacco, in ambito pagano, del codice letterario dal suo fondamento religioso, ma anche verso una formalizzazione sempre più astratta: separate dal fondamento istintuale naturale, fino all’esemplare estetica hegeliana, la cui astrattezza categorizzante giunge a non distinguere più il senso antropologico di un’opera quale ‘La Natura’ di Lucrezio, assimilandola al genere poema didascalico, collocata nella hegeliana classificazione accanto a un poema sul giardinaggio di tal De Lille. Dunque non solo la teologia, anche l’estetica è capace di sorprendenti voltate paradossali, accreditate come fior di sapienza.

Contro questi errori dell’astrazione estetica Bertoldo àncora la su riflessione al fondamento antropologico naturale, dalla coscienza che nell’animale uomo la complessità della macchina sensoriale determina il transito: il salto della percezione nella dimensione simbolica. Accade quando nell’animale uomo la riflessione trascende il puro naturalismo. Allora, attraverso l’udito i rumori cessano di essere soltanto segnali: informazione sulla natura, per diventare musica, suoni che hanno riflessi emozionali interiori complessi; come le immagini della vista diventano depositi emotivi della memoria: paesaggi psichici, premessa che si realizza poi nella pittura come nella poesia: che dice in altro modo: per una diversa mediazione sensoriale realizza emotivamente in forma linguistica la stessa rappresentazione della pittura, per quanto parola e immagine rimandano alla comune sottostante struttura psichica, che se noi condividiamo con le altre specie animali, ma attraverso, come abbiamo già individuato e torniamo a precisare, una disgiunzione evolutiva della specie: la comunicazione fonica articolata; comunicazione analitica complessa il suono non più solo segnale: di allarme, amoroso, alimentare.

Un salto evolutivo condusse la specie sapiens sapiens sotto il primato dirimente del linguaggio simbolico, ma le cui archeostrutture esistevano da prima del linguaggio, ad organizzare una coscienza naturale pre linguistica, che condividiamo con le altre specie viventi, ma nel sapiens sapiens giunta a tal complessità da permettergli già in una fase pre linguistica di padroneggiare tecnologie complesse, culminate con il controllo del fuoco, che non è realizzabile senza una capacità naturale di osservazione e deduzione e apprendimento già sviluppata nell’ente pre linguistico. Ne discende che anche che la dimensione simbolica musicale e pittorica precedono l’acquisizione della parola che, è personale opinione dello scrivente, prenda forma nella specie sotto la pressione di una ormai esorbitante interiore capacità simbolica, effetto e a un tempo evidenza dell’homo faber. Senza la capacità simbolica non sarebbe stato possibile all’ente naturale animale homo concettualizzare l’utensile; realizzare la trasformazione di un bastone o un sasso in un utensile.

Muovendo da tale premessa, Roberto Bertoldo rifonda l’estetica sugli affioramenti psichici della struttura emozionale originaria, che ritorna in ogni soggetto umano, oltre le locali ipostasi esemplari estetiche, ognuna determinate dal codice di governo della comunità, sul quale a loro volta reagiscono (retroagiscono) le codificazioni simboliche individuali, trasferite nella psiche singola del puer dal processo educativo. Ne discende nell’estetica estesiologica un processo di disaggregazione delle categorie astratte dell’estetica tradizionale, da riesaminare e rivalutare per quanto veicolano e realizzano del sottostante strato naturale, che diventa nell’estetica di Bertoldo non il momento arcaico, ma il livello trascendente che il fenomeno rivela e a un tempo interpreta. Prende così forma una estetica ‘naturalistica’ di fondamento scettico, ma che conserva la convinzione che possa esistere un sapere unificato delle dimensione estetica, in quanto e per quanto rifondata nel profondo della natura umana.

Personalmente inclino piuttosto a crede che l’unificazione ogni volta viva nel momento della creazione soggettiva individuale, che come Bertoldo afferma, viene determinata in gran parte dalle forme della comunicazione, che se emanano dalla psiche, macchina istintuale composita e frazionata, la ricomposizione però non può che essere locale e individuale, come in Piero o in Much la pittura, o in Omero e Dante la poesia, ma la cui esegesi estetica, proprio come la fisica si esplica dopo il bing beng, si esplica dopo la creazione personale dell’artista.

Non intendo negare il valore della riflessione estetica, intendo solo affermare che, a differenza della conoscenza scientifica, che permette di comprendere e ripetere i fenomeni naturali, l’estetica, in quanto epifenomeno linguistico, può soltanto proporre dei canoni personali di lettura dei manufatti estetici, ma canoni di lettura sempre opinabili, come dimostra appunto l’incredibile cantonata di Hegel circa Lucrezio, per cui il discrimine ultimo intorno al manufatto estetico resta sempre, come già vide il Gravina, il gusto, la scrittura e soprattutto la sua analitica critica in troppa parte determinata dal codice culturale egemone, sempre arbitrario il suo discrimine circa il cattivo gusto; che è sempre partecipe: ineliminabile dalla creazione estetica, come ci insegna il Proust che ammonisce: “Non ridere delle canzonetta popolare. Medita sull’autentico sentimentale cui si connette.” E solo in ragione di questa intuizione poi Proust scriverà nel momento culmine della sua rievocazione del proprio tempo perduto, là dove e quando comprende che Albertin se n’è andata: “Mi portai una mano al cuore e caddi.”, ben evidente l’assonanza dantesca, a descrivere una esperienza universale di perdita sentimentale tragicamente irreparabile, la cui traduzione linguistica suona come il rintocco rituale della campana entro l’emotività cristiana. Come l’anima cristiana nel suono della campana sente l’evocazione dell’universale, così l’universale rimando interiore della parola riscatta il fraseggio proustiano da banale passaggio da romanzo di appendice in una vertigine di stupore doloroso per una assonanza abissale nei sentimenti.

Da questa premessa vengo a un giudizio di Roberto Bertoldo circa due poesie.

‘Conterò poco, è vero / diceva l’Uno ar Zero – ma tu che vali? Gnente: proprio gnente. / Sia ne l’Azzione come ner pensiero / rimani un coso vuoto e inconcrudente. / Io invece se me metto a capofila / de cinque zeri tale e quale a te, / lo sai quanto divento? Centomila. / È questione de numeri. A un dipresso / è quello che succede ar dittatore / che cresce de potenza e de valore / più so li zeri che je vanno appresso.
(Trilussa, Nummeri)

‘Tu te ne vai e mentre te ne vai / mi dici: – Mi dispiace – / Pensi così di darmi un po’ di pace / promettendomi un pensiero costante struggente / quando sono sola e anche tra la gente. / Mi dici: – Amore mio mi mancherai. / E in questi giorni tu che farai? – / Io ti rispondo: – Ti avrò sempre presente, / avrò il mio pensiero pieno del tuo niente.
(Patrizia Cavalli, Tu te ne vai)

Scrive Bertoldo: “La prima poesia … riesce a flettere la semplicità e l’umorismo nella moralità e nel sarcasmo, mentre la seconda resta immersa nell’ordinarietà del dialogo”. (Op cit pg 55)

Certamente la metafora di Trilussa ad irridere il fascismo è di incomparabile eleganza, ma non meno raffinatamente crudele, nel gioco del sentimento amoroso, è la metafora della Cavalli, dalla cui comprensione piena forse tiene discosto Betoldo una sottile segreta vena di misoginia, capace di fargli velo circa l’espressione elegante, nella sua aspra crudezza, di un universo poetico universale nelle ragioni del conflitto intersessuale, qui patriziamente rappresentato sul piano stilistico dalla Cavalli.

Mi sono soffermato su questo passaggio perché l’estetica di Bertoldo procede per accumulazione di dettagli, che mi trovano speso consenziente, verso la costruzione di un disegno d’insieme certamente mirato a una superiore forma di conoscenza post emozionale analitica, ma appunto per questo di tipo specialistico: volta a un gruppo limitato di persone tra le quali un tempo lo scrivente ha cercato di essere presente, ma come può essere storico delle religioni un ateo, che per ragioni altre non può che ammirare i discorsi del Cristo evangelico o del Buddha. In ambito estetico non si può non ammirare il meditato disegno di Roberto Bertoldo di incorporazione programmatica dei contributi delle neuroscienze alla individuazione dei livelli di formazione della creazione simbolica. Questo fa nel nostro presente de “La profondità della letteratura” un significativo nonché utile luogo di aggiornamento circa la riflessione metafisica, intrigante nuovo capitolo negli annali dell’estetica.

Piero Flecchia
Dicembre 2016

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