Carlos Ruiz Zafòn, balzato alla ribalta un lustro orè con l’accattivante “L’ombra del vento” (Mondadori) e tuttora in classifica con la più recente-opera prima “Marina”, nel suo secondo tomo di 500 pagine “Il gioco dell’angelo”, sempre ambientato in una difficoltosa e misterica Barcellona, si rivela autore poco sorvegliato (da se stesso e/o da un editor di fiducia), a tratti magniloquente o scontato, effettistico e anche un po’ plagiante, specie di films.

Per supportare questa nostra critica men che stroncante, addurremo una ventina di citazioni tratte dal testo mondadoriano del 2008, avvertendo che in certe occasioni è il traduttore Bruno Arpaia che non rende un buon servizio all’Autore, a causa di scelte lessicali discutibili.

A pagina 17 appunto si legge il termine ‘raggiungimento’ usato come l’inglese ‘achievement’ = realizzazione, esito, risultato; ma in italiano il significato è soltanto quello di raggiungere un posto fisicamente.

Alle pagg. 26/27 si viene a sapere che la protagonista Cristina, grande amore di tutta una vita e oltre della voce narrante, è figlia di uno ‘chauffeur’ che vive con la famiglia sopra il garage padronale, proprio come la Sabrina-Audrey Hepburn.

A pag. 39 ci s’imbatte in una esagerazione: “A quell’epoca, la morte non viveva ancora nell’anonimato e la si poteva vedere e annusare dappertutto mentre divorava anime che ancora non avevano avuto nemmeno il tempo di peccare.” Peccato !

A pag. 47 un libro venduto ‘stamattina’ risulta ‘sparito il giorno precedente’ a pag. 62 (lo stesso giorno nel racconto) .

A pag. 56 “Il funzionario aveva un mazzo di quindici chiavi con cui aprire gli innumerevoli lucchetti che assicuravano le catene.”

A pag. 65 il protagonista ha “le braccia sul punto di prendere fuoco” ma l’autista lo salutò comunque “calorosamente”…

A pag. 101 conosciamo “l’alito dei lampi” (?!) e poco dopo, a pag. 106, persino “il primo alito dell’alba”…

A pag. 122 altra esagerazione serramentaria: “Si sentì un rumore come di centinaia di serrature che scattavano simultaneamente.”

A pag. 123 Zafòn descrive una biblioteca ‘dalle prospettive impossibili’, tributaria di Borges, Piranesi, Escher, Eco, Saramago, Harry Potter, ecc…

A pag. 132 “mi sembrò di vedere un palpitìo nella striscia di luce sotto la porta principale”.

A pag. 133 “Chiusi gli occhi e cercai di conciliare il sonno.” Come un vigile urbano ?

A pag. 134 “centinaia di migliaia di lacrime di luce rimasero sospese nell’aria come pagliuzze di polvere.” Le ha contate proprio tutte?

A pag. 166 “mi svegliai di colpo credendo che fosse già il giorno successivo, per scoprire subito dopo che era da poco passata mezzanotte.” E dunque ?…

Alle pagg. 170 e 189 compaiono due ossimori un po’ forzosi: “calcolato disinteresse” e “studiata ingenuità”.

A pag. 208 si entra addirittura nelle cripte vaticane, tipo Angeli e demoni, con “volumi che odoravano di sepolcro papale”. Pure necrofilo !

A pag. 357 si tenta l’impossibile: “Non desiderai altro al mondo che poterle restituire ciò che non aveva mai avuto.”

Alle pagg. 402 e 489 troviamo un uso della ‘mescola’ alquanto bizzarro, associato a compassione e risentimento prima, meraviglia e apprensione poi: il dizionario scagiona in parte il traduttore, ma ormai di mescola si parla soltanto in Formula Uno… Meglio ‘mescolanza’ o ‘misto’ con i sentimenti!

A pag. 429 “Il battente della porta era un pugno di bronzo”: ohibò! Anche qui ormai il termine ‘battente’ è percepito ormai solo come ‘anta’, perciò perché non usare ‘bat(t)acchio’ ?

A pag. 452 si parla di ‘calligrafia delle labbra’ (?), e a pag. 462 si legge: “Un rumore di carne lacerata le uscì dalle labbra”…
In vari altri punti del finale Zafòn risulta alquanto ‘grandguignolesco’, ma lui stesso se ne giustifica
a pag. 17, con una sibillina dichiarazione d’intenti.

Concludiamo con un accenno ai termini e alle locuzioni più ricorrenti nel testo: l’eco, l’infinito,
di sottecchi e in stile modernista… W Gaudì!

M. M.

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