Simenon ne “I superstiti del Telemaco”
Sulla spinta della pubblicazione presso Adelphi della nuovissima traduzione del poliziesco “Les rescapés du Télémaque”, che Simenon scrisse nel 1936, siamo andati a rileggere il volumetto n. 22 della BBM, “I superstiti del ‘Telemaco’” (Mondadori, 1948, 240 pp., 250 Lire), nella versione forzatamente vecchiotta di Alessandro Chiavolini.
A parte gl’ineluttabili ‘machinalement’ del grande belga, tradotti con cinque macchinalmente, due distrattamente, un inconsapevolmente, un istintivamente, un involontariamente, un gesto istintivo, un gesto involontario e un senza riflettere; gli stilemi più datati usati oltre settanta anni fa da Chiavolini sono i seguenti:
– alla sua volta (nove volte), a significare ‘a sua volta’;
– a quella volta (una sola volta), cioè ‘in quella direzione’;
– aperse per aprì;
– sieno (sì e no?…) per siano;
– a un di presso per pressappoco;
– di tratto in tratto per di tanto in tanto;
– inspirare per ispirare;
alle pagine 139 e 141 due bestialità: “(…) sono proprio io che lo ha ucciso…” E: “Sono io che l’ha ucciso!”;
a pagina 175 la chicca: un ‘Salut!’ di commiato venne tradotto con ‘Salute!’.
Ma concludiamo con l’anacronismo futuribile di Simenon:
– a pagina 39 si racconta che Pietro Canut padre, ventiquattrenne, morì drammaticamente sul ‘Telemaco’ nel dicembre 1906;
– a pagina 41 la sua vedova, incinta, diede alla luce due gemelli: “Egli lasciava, a Fécamp, una moglie sposata da pochi mesi, e ben presto nacquero due gemelli.” Chiamati Pietro e Carlo. Ma a pagina 136 veniamo a sapere che i due, al momento della vicenda, hanno trentatré anni: 1907 + 33 = 1940…
Ergo: Simenon aveva deciso di scrivere un libro di fantascienza, ambientato quattro anni dopo l’anno di stesura?!
M. M.
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