foto_affinati_vitaleIL FUTURO E’ ADESSO? La forza della letteratura, la volontà della vita
Sulle strade di don Lorenzo Milani

“Certi libri ti crescono dentro prima che tu li riconosca. All’inizio si presentano camuffati da emozioni destinate a perdersi, poi lentamente conquistano uno spazio stabile e aderiscono al tua vita, finché non puoi farne a meno di prenderne atto”.

Eraldo Affinati è sulle tracce di don Lorenzo Milani inseguendo il mistero di un uomo che aveva rinunciato ai suoi privilegi di classe sociale per dedicarsi agli ultimi. Non lo fece solo per desiderio di carità cristiana, lui che era “mezzo ebreo” come sprezzantemente lo presentavano le stesse autorità cattoliche: forse per restituire la sua fortuna, per riscattare una colpa profonda, per essere ricordato? Chi può dirlo.

Per don Milani era fondamentale ristabilire l’uguaglianza delle posizioni di partenza e non fu mai assimilabile a nessuna ortodossia: né a quella ecclesiastica, né a quella comunista. Come per Pasolini, per lui contava la relazione primaria, diretta dell’educatore con l’altro, coi “suoi ragazzi”. L’importanza della Lingua, la capacità e possibilità di esprimersi, di comunicare, di essere all’interno non tanto di una “socialità”, ma di una “coralità” umana: era questo che contava per lui. Contava la persona in quanto tale, non la sovrastruttura quale che fosse.

Don Milani non cercava né voleva mediazioni. Come un novello anabattista saltava ogni gerarchia ed andava diritto al cuore del problema. E così niente programmi, niente voti, niente di niente, solo la vita da scoprire, di cui prendersi cura, da capire. Pasolini lo criticò perché, dal suo punto di vista, Lorenzo Milani aveva persino messo tra parentesi il fascismo (anche se lo stesso Pasolini dimenticò di aver partecipato da giovane fascista alle iniziative letterarie di quel regime).

Affinati entra in questo dedalo di questioni: ma non scrive l’ennesimo libro sulla “pedagogia di don Milani”. Niente di tutto questo. Certo, la figura del Priore di Barbiana è letta anche a partire da suo messaggio educativo, ma Affinati va oltre. Il libro vive, in effetti, sulla presenza-assenza di don Milani. Il libro è una cassa di risonanza, è un gioco di specchi e di piani che si sovrappongono, si intrecciano, costruendo un mosaico di sensazioni, emozioni, immagini, pensieri, storie.

Ecco, siamo nel cuore di un’esperienza letteraria di grande spessore. Ad un certo punto Affinati si domanda se l’opera di Don Milani abbia ancora un senso: lui pensa di sì, ma solo perché vale la pena di porsi questa domanda e di scriverne. Non in sé, ma come oggetto di una ricerca narrativa. Eraldo Affinati allora intraprende un viaggio attraverso i luoghi di don Milani. Ogni luogo racconta una storia che tocca l’uomo Lorenzo ma anche altre persone, altre storie che riguardano la storia dell’Italia nei primi sessant’anni del secolo scorso e che, attraverso don Milani, anche il nostro futuro.

L’autore ci guida così a Barbiana, Castiglioncello, Milano, Firenze e Montespertoli «una delle stazioni di partenza di Lorenzo», la superba tenuta di campagna della famiglia, oggi un agriturismo: «Avevi letto i libri, preso atto delle biografie, consultato gli archivi, scorso gli elenchi di titoli, interrogato i testimoni; ma se non fossi venuto a Montespertoli, se non avessi visto questi poderi, sentito questo profumo di fiori, fotografato il cipresso al quale Laura Milani, la nonna letterata, dedicò perfino una poesia, non avresti capito il viaggio intrapreso da don Lorenzo verso le strade storte, i tetti sfondati, il fango rappreso, le porte rotte, le stanze fredde, i sandali bucati, la vita senza parole, le croste sui ginocchi dei bambini balbuzienti». Se Barbiana, con la sua scuola, è diventata negli anni «il luogo del culto», dove tutto pare essere stato spiegato, Montespertoli racchiude ancora quasi intatto il mistero della vocazione del «Signorino», che non si perdonò mai di essere nato benestante e borghese. E se davvero soffrì, come ipotizzava Indro Montanelli, di «un complesso d’inferiorità nei confronti del proletariato», seppe come riscattarsi. «Un grande miracolo sta avvenendo in questa stanza: un cammello passa nella cruna di un ago» avrebbe detto don Milani ai suoi allievi, un paio di giorni prima di spirare.

Ma non basta. Affinati va per il mondo in cerca di altri don Milani, di coloro che, consapevolmente o meno, mettono in pratica la sua lezione: li trova a Benares, a Pechino, a Volgograd, in Gambia, a Città del Messico, a New York, a Berlino. E anche dentro se stesso, come talvolta lascia intendere. Ed i ragazzi da accogliere sono migranti, bambini sfruttati, teppisti metropolitani, giovani travolti dalla guerra, dalla povertà e dal progresso, che vivono di delinquenza, di solitudine, violenza data e subita.

Senza retorica, Affinati affida allo sguardo della letteratura la sofferenza e l’indifferenza da cui si dovrebbe sfuggire. Immagini lievi, ma decise; storie emblematiche, ma tratteggiate con la punta di un acquarello; vite dure del presente, ma che indicano un punto lontano sull’orizzonte. Proprio come fece don Milani, nel cerchio insondabile della sua vita e della sue scelte così radicali. Il libro di Affinati intarsia, come un bassorilievo prezioso, le sue pagine con citazioni tratte dai libri, dalle lettere di Lorenzo Milani che entrano nella narrazione come un dardo che va a conficcarsi nella carne della letteratura e ne alzano il livello uscendo dal loro specifico contesto, diventando messaggio universale.

L’uomo del futuro è scritto alla seconda persona singolare, come se l’autore dialogasse con chi viaggia che a sua volta è alla ricerca di don Milani. Il libro è dunque un testo a più voci: “c’è quella di Eraldo Affinati narratore, quella di Affinati che si muove sui passi di don Milani, c’è la potente voce di don Lorenzo e infine la voce di coloro che nel mondo, forse senza nemmeno saperlo, traducono in realtà l’insegnamento di don Milani. L’uomo del futuro diventa così un romanzo ampiamente corale che ammalia il lettore e lo invita a riscoprire la dirompente figura di questo sacerdote.” (Roberto Russo, su “blog.graphe.it”).

Per questo il libro è prima di tutto un racconto, una forma alta di letteratura che sa dosare diversi “generi”: la biografia, la riflessione pedagogica, la storia sociale, la denuncia giornalistica, persino il viaggio culturale. Senza essere nulla di tutto questo. Ma è tutto questo e qualcosa di più, che solo la Lingua sa creare. Già, perché il libro è finalmente ben scritto. Le parole giuste al posto giusto, la plasticità della sintassi e la precisione della grammatica, la capacità di usare le figure formali, la poetica dello sguardo offrono un’occasione di lettura di qualità. Cosa rara oggi.

Torniamo a don Milani che ha anticipato tante idee, tanti avvenimenti. In un’intervista a Elisabetta Rosaspina (Corriere della Sera, 4 febbraio 2016), Affinati ricorda che “oggi i ragazzi di Barbiana vengono dall’Africa, dal Medio Oriente. Lorenzo poteva immaginare che li avremmo accolti così? Sì, avrebbe potuto sospettarlo. Era l’uomo del futuro soprattutto perché aveva sognato una scuola che oggi stentiamo ancora a realizzare, ma cui non possiamo rinunciare. È la scuola del maestro che si mette in gioco e guarda negli occhi il suo scolaro. Uno a uno. Irrealizzabile? No, ho viaggiato molto nelle scuole italiane e tanti professori lavorano così”.

Qui risiede il nocciolo etico ed utopico del libro: la speranza che ancora agisca da qualche parte l’idea di un’altra scuola possibile, di un’educazione “diversa” che partendo dagli esclusi sappia e possa riguardare tutti. Anche questo può essere letto come un messaggio proprio della letteratura, che se ne infischia della realtà così com’è e prova a lanciare messaggi in bottiglia nello scuro mare del presente.

Stefano Vitale

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