foto_bojangles_vitaleOlivier Bourdeaut

ASPETTANDO
BOJANGLES

Narrativa

Edizioni Neri Pozza

 

 


LA SANA FOLLIA DELLA VITA E DELL’AMORE

Un libro per molti versi sorprendente. L’avvio del racconto è surreale e spumeggiante: è come salire sulle montagne russe dell’immaginazione ed è tutto un rilucere di imprevisti grotteschi e teneri al tempo stesso.

C’è un bambino il cui padre non chiama mai la madre con lo stesso nome: lo cambia ogni giorno per rendere la vita più allegra e imprevedibile. Alla madre quest’abitudine non dispiace affatto, e tutte le mattine, in cucina, tiene lo sguardo fisso e allegro sul marito, col naso dentro la tazza di latte oppure col mento tra le mani, in attesa del verdetto; e poi, felice, si volta verso lo specchio salutando la nuova Renée, o la nuova Joséphine, o la nuova Marylou… Capita sempre così, tranne il giorno dopo San Valentino, perché sarebbe banale festeggiarlo quel giorno ed allora la donna si chiama Georgette e insieme vanno a fare una bella cena.

Si capisce subito che l’anticonformismo è il sale di queste vite e di questo racconto. Si apre così un fantastico universo familiare descritto dal bambino, un universo in cui a reggere le sorti di tutto e tutti è appunto Renée, Joséphine, Marylou… la madre. Di lei, suo marito dice che dà del tu alle stelle, ma in realtà dà del voi a tutti, a suo marito, al bambino e alla damigella di Numidia che vive nel loro appartamento, un grosso uccello strambo ed elegante che passeggia oscillando il lungo collo nero, le piume bianche e gli occhi di un rosso violento.

La coppia vive una viva incredibile, forse quella che tutti noi vorremmo vivere, ma che non possiamo vivere: una vita libera, fatta di continue sorprese, a stretto contatto coi nostri desideri, col piacere di seguire l’istante e su questo costruire una ritualità carnevalesca: Renée, Joséphine, Marylou, Georgette e il marito amano ballare sempre e ovunque, di giorno e di notte, da soli e in compagnia degli amici, al suono soprattutto di Mister Bojangles di Nina Simone, una canzone gaia e triste allo stesso tempo. La coppia, coinvolgendo il bambino, si entusiasma e si estasia per ogni cosa, trovando incredibilmente divertente l’andare a spasso per il mondo, a prendere il sole in un castello in Spagna. I protagonisti del racconto vivono letteralmente “una vita da romanzo”, totalmente sconclusionata se la si paragona alla cosiddetta “vita normale”. Ma cosa è strano e cosa è normale?

E cosa è la finzione e cosa la verità? Ci sono menzogne che ci rendono felici se solo le sappiamo vivere come delle verità: forse è questa l’essenza della vita e del genere stesso del romanzo. La madre, grande icona della storia, di una sola cosa non vuole sentire appunto parlare: delle tristezze e degli inganni della vita; perciò ripete come un mantra ai suoi: «Quando la realtà è banale e triste, inventatemi una bella storia, voi che sapete mentire così bene». La realtà, infatti, è spesso molto banale e triste, così scioccamente triste che occorre più di una prodigiosa arte del mentire per continuare a gioire del mondo.

Olivier Bourdeat racconta così, con stile inteso, ironico, visionario alla Rabelais, la sua storia vera con alcune menzogne a dritto e a rovescio perché quando la realtà è banale e triste sarebbe un peccato se i bugiardi credibili non inventassero una bella storia per vivacizzarla un po’. Nella prima parte del racconto siamo come seduti su un toboga che ci conduce attraverso lo sguardo stupito e felice del bambino, le stranezze di due genitori bordeline, tra feste astruse e chiassose ad alto tasso alcolico. Al centro vi sono un uomo e una donna “folli innamorati o innamorati folli” raccontati tramite gli occhi dell’unico frutto di quell’amore, in una storia apparentemente senza capo né coda. Il bambino è felice, parte integrante di questa rutilante vita: la scuola è un mondo disciplinato e inutile perché c’è la vita che batte alle porte ed è ben più importante vedere i mandorli fiorire a maggio piuttosto che stare seduti tra i banchi. E’ un inno alla vita, alla vita senza mediazioni, libera da costrizioni, una vita da pazzi.

Il racconto in prima persona del figlio si intreccia ad un certo punto con il diario del padre e si comprende che qualcosa di diverso è accaduto. Perché molte cose si capiscono solo dopo. E così scopriamo come i due genitori, uno sbruffone ed una sognatrice, si erano conosciuti ad un ballo dando inizio alla loro fiaba; e sentiamo forte il calore del loro amore incondizionato. Ma scopriamo anche che è una fiaba folle che ben presto mostra anche il suo volto scuro. Perché non tutto è normale, non tutto può durare. E le ragioni della realtà vengono a presentare il conto. Non è facile essere pronti quando hai toccato le felicità più alte. Si tocca terra e ci si può far male; anzi per poter essere ancora felici e gustarne per sempre il ricordo, occorre rinunciare a qualcosa.

Questo è un romanzo piccolo, ma intenso, dalla trama tutto sommato lineare e prevedibile, ma di una forza sorprendente. Un racconto leggero, senza grandi complicazioni, ma ricco di inventiva letteraria, ironia e freschezza. Un romanzo che ci narra dell’amore assoluto tra un uomo e una donna, di questi due genitori verso il figlio e del figlio verso i propri genitori. Non importa se sani o folli, se belli o brutti: ci si ama e basta. Perché “solo l’amore cambia la vita”. Ma è anche un romanzo del distacco, dell’abbandono della vita spensierata dell’infanzia per entrare nel tempo della ragione, ma senza dimenticare il sapore forte e allegro di quel che siamo stati.

Stefano Vitale

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