“Claustrofonia. Sfarfallii – armati – sottoluce” di Doris Emilia Bragagnini
(Giuliano Ladolfi Editore, Borgomanero, 2018)
…..Scrive Plinio Perilli nella sua lunga e articolata “Prefazione” al libro: ”Doris Emilia Bragagnini – calma solo in apparenza, al massimo entità ctònia, sotterranea come certi fiumi carsici del suo Friuli – semina inquietudine e centellina, rintana vigore anzitutto nel Linguaggio, ecco qui: nel verbo di cui fa, erige ogni volta un nuovo fulcro e un nuovo incipit, per il corpo e l’anima, per la vita e la Storia, per la poesia e la sua essenza […]”.
…..Perilli centra perfettamente la questione: con questo libro la poetessa si sporge come da una terrazza sul paesaggio infinito e sfumato della lingua e tenta di costruire una poesia che è prima di tutto ricerca linguistica, inventio lessicale per esprimere situazioni, stati dell’animo, esperienze che altrimenti resterebbero confinati nella normalità del fluire informe delle cose. Forgiare la parola è il compito che si dà Bragagnini: “come sembra stretto il mondo/ senza una parola per entrare” scrive in esergo la poetessa.
…..Leggiamo ancora Perilli: “Strana e semplicissima, Doris attinge, s’inventa dunque una formula che elegge a titolo, un neologismo bizzarro mediato, innovato tra Claustrofobia (l’eterna paura dei luoghi chiusi, ristretti) e Claustrofilìa che è viceversa la tendenza patologica a vivere i luoghi chiusi, a separarsi dagli altri […]. Salta il significato di fobia o filìa. Rimane solo la sostantivizzazione del Suono Chiuso, suono nel chiuso, insomma del suonare (assordare?) al chiuso. E torniamo a tutto ciò che per Doris è claustrofonìa poetica (o magari sliricante, per malessere appunto impoetico […]. Poderosa e affilata, la ricerca di Doris privilegia, investiga e macina linguaggio come unica vera risorsa, carburante e vicissitudine del fare (pensare e pensarsi) poesia. Di volta in volta, se ne libera e se ne danna, se ne libra e se ne ammanta. Qui vanno anzi in scena, tutte le gesta, tutte le diatribe e le speranze, insomma i miracolosi, espressivi travagli, del destino del Linguaggio […]”.
…..Strana è appunto la poesia di Bragagnini non perché eccentrica, incomprensibile. Tutt’altro: è una poesia che anela alla chiarezza, desiderando però la profondità, che richiede e domanda concentrazione e cura per restituire la soddisfazione di una poesia ferma sul suo dettato. A me ha ricordato, mutatis mutandis, il lavorio tagliente e severo che faceva Jolanda Insana combattendo a spada tratta con le pigrizie e le banalità della lingua con l’intento di fare poesia proprio a partire dal linguaggio. La differenza è di temperatura. Qui dominano gradazioni più fredde, giostre verbali di carattere riflessivo, svolazzi improvvisi e metafore articolate. E c’è parimenti una sorta di calvinismo poetico in quest’autrice che destina alla scrittura il ruolo di strumento per esplorare il mondo dentro e fuori di sé, per realizzare il suo telos: “Mi decido per un foglio bianco/ colore non a me predestinato/ e sono così fragili le ossa di una curvatura stagna/ ingobbita tartaruga ride del tempo/ sfodera i dentini/ per obliterare i varchi” (pag. 33).
…..Il passaggio dalla riflessione sul linguaggio alle forme del pensiero è dunque breve: “A specchio, per rifrangenze incrociate, parallele o secanti, infrante o affrante di mera, istintiva emotività, riflessive ad libitum, queste sue poesie sono ipotesi e già sentenze inoppugnabili; diagnosi omeopatiche o teoremi psichici; molto spesso, anche (vado citandola), carboncini, schizzi tratteggiati di una storia […]. Bragagnini […] farcisce e dissemina la sua raccolta di intriganti, significativi filosofemi perfettamente a cavallo tra astrazione, rarefazione intellettuale e dedizione o accensione sensuale”.
…..Così scrive ancora Plinio Perilli che coglie un secondo aspetto: quello dell’astrazione, della rarefazione intellettuale. Come detto, la poesia di Bragagnini non è immediatamente accogliente, anzi non sottostà ai cliché contemporanei della lettura dal lessico piano e quotidiano. Lei ci propone una poesia che può apparire appunto fredda, presa com’è dalla sua foga linguistica, una poesia comunque molto strutturata, carica di toni differenziati che vanno dal prosastico al folgorante, dall’ironico al melanconico, soffermandosi ora su dettagli materiali del quotidiano ora alzando il tiro su questioni più filosofiche. Mai banale, mai prevedibile, certo impegnativa Doris Emilia Bragagnini ci offre un libro particolare, interrogativo e coraggioso. Perché lo scopo resta sempre cogliere il senso del nostro stare al mondo attraverso il linguaggio.
…..Scrive Laura Caccia nella sua “Postfazione”: “Sono echi di un silenzio invalicabile e dalla conseguente dolorosa assenza di sé e di parole per accedere al mondo che, a partire dalle citazioni in esergo, risuonano nella voce di Doris Emilia Bragagnini, che in Claustrofonia – sfarfallii – armati – sottoluce si muove alla ricerca di sonorità e significati che le consentano di aprire varchi di senso nell’esistere e, nello stesso tempo, di affrontare le chiusure e gli impedimenti che ostacolano il dire. Sono echi che tuttavia non generano una scrittura afasica né una versificazione del tutto pensante, quanto piuttosto riverberano, mantenendola inalterata, quella che appare essere la matrice poetica dell’autrice, nel delinearsi di ogni testo a partire da un nucleo del sentire per suoni e immagini e nello snodarsi dei versi in associazioni inusitate. Venendo allo scoperto, in modo mai scontato e spesso imprevedibile. E facendo i conti con il chiuso, lo sbarramento, l’oscuro, qualcosa che richiede nuovi modi di pensiero e di linguaggio per affrontare in modo autentico i nodi della scrittura e della vita. […] Gli sfarfallii: il leggero guizzare di un’ala, lo svolazzare libero dopo aver sperimentato lo stato di crisalide, l’improvviso battito di un nome, la vibrazione di un senso. Così come lo sfarfallare di una proiezione intermittente, il tremolio delle immagini sullo schermo, il modo distorto di mostrarsi delle cose. E cos’è la lingua poetica se non quella in grado, nella sua distorsione rispetto al linguaggio ordinario, di far balenare tra le pieghe delle sue oscillazioni, l’ignoto chiuso nel suo bozzolo? […]
…..C’è come un’oscillazione quasi ipnotica nei versi della raccolta, nei loro esiti continuamente inattesi, dove ciò che manca si alterna a ciò che appare, lasciando costantemente in sospeso la percezione di dove ci si trovi, per l’autrice come per il lettore. Una fluttuazione tra la pienezza dei sentimenti e la bellezza del mondo delle apparenze a cui non si trova accesso e l’assenza e la chiusura di ciò che si intravede essere realmente autentico, ma altrettanto inaccessibile. […] Così, scrive l’autrice in alcuni versi illuminanti, «non cercherò la trama – quella sottile – mai / scomparsa attesa di dire le cose», quanto piuttosto «le parole mancanti quelle – vere». Così la poesia può riuscire a parlare una lingua altra, anche di fronte alle difficoltà del vivere, alle chiusure del senso e all’insufficienza della voce, per accedere all’essenza profonda di sé e del mondo.”
…..Meritava riportare questi brani critici perché fanno emergere il fulcro della poesia di Doris Emilia Bragagnini che cerca “la nota distorsiva – quella – capace di cancellare il nesso/ l’ordine cruento mille volte verticale rinnegato con lo sguardo” (pag. 34). La poesia è quasi un gioco di prestigio : “c’è sempre un modo migliore di dire le cose per esempio/ c’è un posto che non so quando dovrei dire quello che c’è/ ma che non trovo – lo faccio scomparire” (pag. 36) che altre volte per descrivere una separazione amorosa fa lunghi giri quali: “si disabita l’uguale quando tegole sconnesse/ sfilano sugli occhi e si affaccia lanceolata/ una fortitudine domestica come un centrino trapanato/ spiccano le punte tutte intorno in direzioni orizzontali / – punti genuflessi al circolo” (pag. 37).
…..C’è un riflesso sperimentalista nella sua poesia che la rende ispida, che obbliga il lettore a continui spiazzamenti, a costanti salti di tensione. E’ questa una poesia da leggere con occhi ben aperti, come quando si cammina nella nebbia. “Sono un’illusione ottica e sonora un catarifrangente d’estesia/ una di quelle che non stanno nel mondo ma ci passano accanto/ vedono ascoltano mangiano ma non per davvero, lo mimano dentro” (pag. 41). Le parole restano “appese/ come insetti sulla carta moschicida” (pag. 45) ma lo scopo ultimo è uscire dall’empasse come scrive benissimo in “Salvacondotto” (pag. 52):
“ … come si ottiene una tregua un lasciapassare uno scatto al traguardo/ vedersi finalmente diversi nell’eguale alla parte più vera di un mondo/ che genera il movimento abitato del volto la fiamma nell’occhio/ il tremore della voce che traspare evidente all’udito più dolce/ vicino gemello”.
…..“La naturalezza degli eventi” (pag, 57), è il sipario che cala sui nostri occhi e si è costretti a fabbricarsi falsi ricordi (cfr. pag.56), si resta con un piccolo ritaglio di carta smarrita… questa in fondo la nostra condizione che Bragagnini indica con passaggi più lirici, più immediati del libro. Passaggi che fanno, appunto, da controcanto alla tensione linguistica che la stringe. Come accade in “Sonar” ed in generale della sezione “ipernauta” e benché qui si stupisca di usare la parola “luna” (pag. 65) scrive poi un verso molto efficace: “le parole non dette/ valgono più di un’aurora di maggio” (pag. 66). Ma sono piccole pause: perché presto riprende il macinare di parole: “semplifico ammutinando nel pensiero/ ogni parola che si getti a tuffo/ in conclamati deserti descrittivi/ l’intraprendenza all’artificio/ – gli stivali delle sette leghe” (pag. 69). C’è anche ironia nei suoi versi, ma c’è soprattutto lo sguardo acido di chi vuole trasformare ogni attimo nella descrizione di una battaglia, direbbe Kafka. “del corpetto vetrocemento/non infrango trasparenza – mi puoi aprire- da ogni lato/ scegliere il blu verso il crepuscolo oppure il rosso lato cuore/ se non pratichi l’oltranza di una cattedrale, per sostegno emozionale” (pag. 71). E questa sua capacità di riposizionare le emozioni su un piano più astratto, filtrato dal linguaggio raggiunge anche momenti molto coinvolgenti: “ti faccio passare ti cedo il passo/ quando erano le parti a toccare le parole/ osavo mettere la voce su ogni punto e nominarlo da renderlo palpabile/ ora non ho il fervore necessario, smarrisco il porta nuvole, ti ometto” (pag. 74).
…..La tentazione “sperimentalista”, si sarebbe detto un tempo, è sempre in agguato, dunque. Così “una danza di richiamo postmoderna di un mattino mandorlato” (pag. 77) è una bella immagine, insolita ed introduce un verso quale: “saresti entrato alle radici prossime del centro rivelato di un sorriso” lasciando il lettore stralunato, stregato. Bragagnini sa leggere quindi la realtà con gli occhi di un pensiero poetico-linguistico complesso, articolato: ad esempio, l’incontro con un venditore di fiori al semaforo viene trasformato e presentato dalla poesia così: “portava gli occhi di bambù/ e due riccioli indecisi posti ai lati come fodere ambientali/ ha i capelli troppo larghi dici e giri l’angolo/ a restringere lo sguardo dentro un punto di perfetto baricentro” (pag. 87).
…..La sua poetica è chiara: “evito parole così a me uguali da risultarmi ovvi/ non cercherò la trama – quella sottile – mai/ scomparsa attesa di dire le cose/ fatalità scorrevoli come gabbie aguzze/ un pennino spuntato che non sa più curvare/ la chiamavano Boccadirosa / (pag. 101). Bragagnini è pure , come detto, ironica, alla maniera di Edoardo Sanguineti quando scrive: “Mi rimane poco da dire se non l’inevitabile vuotezza/ [scrivere vuotezza è di moda sa molto più di vuoto]/ di un mondo a colori che non distinguo/ Tutto si spalma [il termine spalmare è tecnico] / su pochi fogli di lattuga cerebrale che ancora lascio/ per le chiocciole trapanatrici di pensiero” (pag. 105). Oppure quando chiude con i versi “mi manca di crescere un dente da thè / [al limone] possibilmente da guardia, canino” (pag. 107) dimostrando che la ricerca linguistica è anche un gioco, un passaggio divertito dinnanzi allo “sciabordio ipnotico dei pensieri in fuga “ (pag. 111).
…..L’incontro con questo libro non è scontato, ma la poesia è tale solo se ci sorprende, se sa rinnovare il linguaggio non limitandosi a farne il verso o peggio a ripeterne l’eco. Doris Emilia Bragagnini non corre questo rischio.
…..Stefano Vitale
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Claustrofonia
il muro tace, non risponde più
si lascia guardare angolandosi
in riproduzioni lessicali nei passi
o sfarfallii – armati – sottoluce
ogni tanto un urto di temperatura
differente, a porte chiuse ] tolte le dita
da maniglie ingoiate a sorsi uscite laterali
agglomerate al bolo circolante, contropelle
la risalita dei ricordi sfida il cemento
dell’anima in guardiola, divelta e sugosa
chiaroscuro del Merisi
stretto chicco d’uva fragola come fosse un uragano
moltiplicato a schizzi su pareti in guanti bianchi
divaricate a terra ora
“ … tu aprimi al tuo fiato singultato, viola di Tchaikovsky ”
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Settima pagina
si procede con i sandali di gomma
occhi alle chele del passato
passi indietro del continuo pungolare
ne ho abbastanza di metafore seriali
– catenazioni – degli oggetti presi in prestito
il vuoto manca almeno quanto il pieno
di contrappeso vedo le gambe /tagliate/ nella foto
[un quadrettino] unico tassello
di una vita respingente nei polpacci grossi
i figli come spere smessi ai lati
ma quella con la bocca chiusa già lo grida
di quante amputazioni parallele mantenga la soffitta
dei cipressi – fuori l’estate sigillava i contorni
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Dell’indocilità delle rose per esempio
oggi è stato un giorno cardinale
ho fotografato i gatti ho scritto cose che dovevo
per giustezza ho scampato il tempo della fuga
nel salire una sedia a sei metri dal cielo
si allungano le ombre sotto la porta ora
sono cunei d’eterno come certi pomeriggi parrocchiali
della processione e dei petali nei cesti
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Sonar
c’è un piccolo pensiero roditore
dove vaga lo sguardo prima della futura notte
la domanda “perché dolore mi hai abbandonato”
non resta ricordo di me scontato darmi per dispersa
chiedo quando il lutto fosse elaborato non ne ho memoria
è successo sento niente nel torace ho smesso
di pulsare verso un buio circolare lentamente
ammainata spenta senza dirmi una parola
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Delle avvenute distanze
lo hanno trovato oggi il vicino
hanno sfondato la porta e lo hanno trovato
ho pensato alla conforme aderenza
dei giorni ai giorni, nulla è stato diverso
ogni luce temperatura rumore o schiamazzo
la semina nell’orto l’abbaiare dei cani
lo hanno trovato dopo la porta era sul letto
fuori quando è successo fioriva contigua l’assenza
dai giorni ai giorni, nulla di diverso
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Oggetto della prassi
resta uno spazio sempre
tra l’essere di ora e la parola
colmato solo poco dall’esistere di sguardo
il rimandare stop del fotogramma
per timore che non abbia buona luce
impressa copertina sulla pagina invisibile
la non rivelazione – da qui all’eternità
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…..Note sull’autrice
…..Doris Emilia Bragagnini è nata in provincia di Udine dove tuttora risiede. Suoi testi sono presenti in alcuni periodici online e cartacei tra cui Carte nel Vento a cura di Ranieri Teti, EspressoSud a cura di Augusto Benemeglio, Noidonne a cura di Fausta Genziana Le Piane, in varie antologie (tra cui Il Giardino dei Poeti ed. Historica e Fragmenta premio Ulteriora Mirari ed. Smasher), in blog e siti letterari come Neobar e Il Giardino Dei Poeti (collabora in entrambi come redattrice), Carte Sensibili, Via Delle Belle Donne, La Poesia e lo Spirito, La Dimora del Tempo Sospeso, Poetarum Silva, WSF, Linea Carsica.
…..Ha partecipato ai poemetti collettivi La Versione di Giuseppe. Poeti per don Tonino Bello e Un sandalo per Rut (ed. Accademia di Terra d’Otranto, Neobar 2011).
….Il suo libro d’esordio è OLTREVERSO il latte sulla porta (ed. Zona 2012).
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