“COME VENTAGLI” di LUIGI OLDANI
(Samuele Editore, 2019)

Paolo Lagazzi nella sua introduzione coglie perfettamente il senso di questo libro che è una raccolta di haiku. Lo fa, al di là del discorso critico, attraverso alcune parole chiave che mi permetto di riprendere: Lagazzi parla di poesia “in vibrazione col mondo”, di “respiro segreto del mondo”, di poesie quali “lucidi flash” e altrettanto giustamente rileva come questo approccio diretto al mondo da parte della poesia di Oldani eviti di “trasformale in simboli”: “le creature sono sempre se stesse”, nella loro evidenza.

Gli haiku costituiscono una delle più classiche, apparentemente semplice, ma molto complessa, forma di poesia giapponese. Si tratta di componimenti che nascono in Giappone nel XVII secolo. La loro struttura è chiara: tre versi composti, in totale, da 17 sillabe dette more secondo lo schema 5-7-5.
Cos’è una mora? Per mora nella metrica classica si intende l’unità di misura della durata delle sillabe ed è differente da una sillaba, anche se spesso vengono messe sullo stesso piano. Una sillaba, in realtà, può contenere anche due more. Per quanto riguarda la sostanza, gli haiku sono poesie che in realtà non sembrano tali e aforismi che non sono aforismi; si tratta di testi brevissimi, ora folgorati ora sospesi, in cui ciò che è fondamentale non è quello solo che viene detto ma soprattutto il non detto, ciò che risuona. Gli haiku sono stati definiti “componimenti dell’anima” che colgono immagini, esprimono emozioni (le più classiche sono quelle legate alle stagioni), all’esistenza umana.
Agli haiku si sono ispirati e hanno fatto riferimento molti autori del Novecento. Sono stati amanti di questo genere di poesia molti scrittori famosi quali Rainer Maria Rikle, Paul Eluard, Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo (da notare che in Italia coloro che si sono maggiormente interessati sono stati i poeti ermetici).
Luigi Oldani è un esperto della materia, anche perché conosce direttamente molto bene la cultura giapponese e da anni è un praticante zen. In questo senso i suoi haiku hanno una sostanza di autenticità davvero notevole. Dicevo che l’arte dell’haiku è solo apparentemente semplice. Perché riuscire a cogliere un’emozione, una vibrazione senza retorica, con la necessaria semplicità e naturalezza non è affatto cosa semplice e immediata. E’ qualcosa che ha a che fare con la poesia vera, con la voce interiore che coglie ed esprime il porgersi della vita in tutte le sue sfaccettature.
Dietro l’apparenza di una banale manifestazione della natura si può esprimere un mondo, celarsi un universo di pensieri, di risonanze che ciascuno può e deve rielaborare al di là dell’evidenza. E’ per questo che anche l’assenza di simbolismi immediati in realtà apre a riflessioni e condivisioni emotive differenti, che permettono al lettore di cogliere un punto di vista e poi eventualmente, ad una successiva rilettura, una nuova prospettiva e così all’infinito. Questo movimento ellittico, che va contemporaneamente verso l’interno e verso l’esterno, in un paradosso interpretativo poetico, è una delle caratteristica della silloge di Oldani. Intensa, continua, senza stacchi: una silloge di haiku che senza sosta balenano sulla pagina e che sollecitano il lettore ad un’attenzione molto alta: “Leggendo haiku/ mi manca il respiro/ soffia il vento”.

Un haiku si legge in pochi istanti, ma richiede lettori capaci di ruminare, lettori appassionati della lentezza, che non si accontentano di un volo d’uccello senza conseguenze. Ci vogliono lettori che sappiano aspettare, con pazienza che il senso del testo venga loro incontro. Magari all’improvviso, magari altrove, mentre si sta facendo altro… forse anche perché gli haiku di Oldani hanno la forza lieve e potente di trascinarci altrove.

Tale e tanta è la gamma dei soggetti e delle emozioni nonché delle riflessioni che darne conto è praticamente impossibile. Ho usato la parola “riflessioni”: ci tengo molto, perché l’haiku di Oldani non è un vezzo superficiale, una pura emozione a buon mercato. Ogni haiku è in realtà una forma di riflessione, uno sguardo lanciato nello specchio scuro dell’universo, cosa che chiede all’uomo, al poeta un impegno interpretativo.
Soltanto che qui i canoni del processo sono diversi. L’oggetto non è più esterno, qualcosa da destrutturare, da analizzare come accade nella cultura classica occidentale. L’oggetto è tutt’uno col soggetto che osserva, con l’emozione che la sua presenza suscita, col pensiero che attraversa come un dardo la mente.
Calvino nelle Lezioni Americane a proposito della “Rapidità”, vado a memoria, ricordava un grande maestro che aveva deciso di dipingere un gallo, credo. Rimase a lungo a riflettere davanti alla tela. Poi in un attimo traccio il gallo sulla tela e fu l’immagine più bella che mai si vide.
Ecco, questa unità stretta di ragione e emozione mi pare uno dei cardini della poesia haiku di Oldani, un elemento che ce la rende vicina, che ce fa sentire nostra. Non mi pare che l’operazione di Oldani sia di “trasferire” cultura orientale nel nostro universo occidentale. Piuttosto mi pare che egli faccia poesia con strumenti originali stando dentro al proprio mondo (che è anche il nostro) offrendoci altri occhi per vedere, altra mente per capire.

E il viaggio non è per nulla bucolico: “Ogni giardino/ha una rosa canina/ mi graffio la mano”. Oppure “E’ immobile/il platano all’alba/ notte in bianco”; “Voglio amare/ i ciliegi in fiore/la mia morte”. Oldani ci offre così una poesia inquieta avvolta in questa forma apparente distesa, calma. “Sono la chioma/buia d’un pino d’Aleppo/l’ansia d’un grillo”: poesia che coglie ciò che è nascosto, apparentemente nascosto. Ma anche capace di ironia: “Fresca la pioggia/esce la tartaruga/ col suo ombrello”: “Quante susine/ marciscono al sole” veglia una vespa”.
Oldani ha slanci poetici puri usando sinestesie interessanti: “E’ buio al molo/il cielo tocca l’acqua/ il vento è blu”. In altri momenti il poeta si consola, come nella più salda tradizione “Come ventagli/ i bambù rincuorano/ ma senza vento” oppure medita sul corso dell’esistenza: “E’ già autunno/nell’odore dell’aria/ un precipizio”; “Prima dell’alba/ tagliano il vecchio alloro/ cade un nido”: “Cammino in città/ma nessuna foglia cade/ eppur invecchio”. Altre volte, come detto, è la contemplazione a prender il sopravvento portando il lettore a comprendere quanto sia importante abbandonare “l’ansia del fare” (Lagazzi): “Nudo un olmo/ mostra le sue vene/ luce d’inverno”; “La prima neve/ sfiora il filo d’erba/ puro inchino”.

Luigi Oldani ci regala un libro speciale, destinato a durare che attende i suoi lettori con lo sguardo calmo di un maestro zen.

Stefano Vitale

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Note sull’Autore
Luigi Oldani è nato a Milano, ha frequentato l’Università di Firenze e si è laureato a Urbino. Soggiornando a Tokyo, è entrato in contatto con la cultura giapponese. Ha pubblicato: Dialogamento (Campanotto, 1996, con una introduzione di Idolina Landolfi), Haiku italiani (Samuele Editore, 2016, con introduzione di alba Donati). Suoi Haiku sono stati tradotti in spagnolo in Poesia Italiana, 10 voces contemporaneas (Buenos aires Poetry, 2018). Ha partecipato a numerose letture pubbliche e a festival teatrali.
È stato coordinatore della rivista su carta stampata Pioggia Obliqua, attualmente con E. Beneforti gestisce la rivista on line
Pioggia Obliqua scritture d’arte che ospita testi di molti dei maggiori poeti contemporanei e tante proposte. Da molti anni è un praticante Zen. Come ventagli (Samuele 2019) è il suo ultimo libro.

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