“CONTRATTO A TERMINE”: POESIA NARRANTE
di  Luca Ariano
(Qudulibri, Bologna, 2018)

…..Luca Ariano fa parte del complesso e articolato “arcipelago poetico parmense” composto da poeti molto diversi tra loro per stile e approccio, ma che sono fortemente uniti da una identità “plurale” caratterizzata da tematiche condivise (il paesaggio della pianura parmense, una sensibilità per la Storia,) ma soprattutto da un clima culturale ricco di scambi, confronti e discussioni.
…..Parma ha nomea di essere città un po’ chiusa, aristocratica, ma questo gruppo (per altro fluido) di poeti sono “diversi”. Hanno avuto grandi maestri (penso a Bertolucci, Bacchini, Conti) e forse anche per questo sentono il dovere di “fare poesia” restando in contatto tra loro. Luca Ariano, con Giancarlo Baroni, altro valente e colto poeta, ha curato non a caso un’antologia dal titolo “Testimonianze di voci poetiche. 22 poeti a Parma” di cui ci siamo già occupati su questa rubrica. In quel caso, parlando di Ariano abbiamo scritto: “pone al centro della sua scelta antologica versi che trattano di temi legati alla memoria, allo scambio delle generazioni in una luce semantica che privilegia la narrazione, nervosa e dolce al tempo stesso, di stampo bertolucciano-caproniano”.
…..In “Contratto a termine” questa linea espressiva e letteraria si conferma, ma al tempo stesso si ampia e si arricchisce di spunti e modalità specifiche ed interessanti. Emerge qui pienamente la vocazione di Ariano di usare la poesia per narrare, raccontare. Ma senza mai rinunciare allo sguardo lirico, dolente, tenero dell’osservatore partecipe. Già, perché Luca Ariano non è un “enologo astemio”. Lui conosce bene la materia che tratta, padroneggia bene i temi dei suoi racconti in poesia. La “gente” nelle sue poesie diventa carne, ossa, nervi, con nomi e cognomi, emozioni, sfide, speranze, illusioni autentiche, cose vive. La trasfigurazione letteraria, che pure è necessaria, non lascia mai spazio all’artificio, all’ammiccamento retorico ed i protagonisti delle sue poesia grondano verità.
…..“Contratto a termine” è una raccolta che narra in poesia le storie di una comunità che ha vissuto e vive una sorta di mutazione antropologica: che è passata da una civiltà contadina, legata alla terra, ad una nuova industriale ed oggi post-industriale dispersa e sbandata, traumatizzata e disillusa. C’è chi ha notato in questi testi una forma di neorealismo. Vero, ma la ricerca del quadro-racconto della realtà non si ferma alla descrizione “positivistica” né l’emozione resta confinata nel pietismo a basso costo.
…..Ariano scende nel dettaglio delle esistenze, si fa strada nella complessità dei sentimenti, rivendica la necessità dell’autenticità dei rapporti umani, denuncia la perdita di umanità senza alcuna retorica, ma con l’ironia, il disincanto, la pietas autentica propria del poeta. Le sue poesie hanno sempre una sorta di trama, ma non ci si aspetti una scontata poesia in prosa, perché la sua è una trama intessuta da florilegi letterari di qualità, da isole emotive di ampio respiro, da figure poetiche e strutture metriche consapevoli, metafore lievi ed efficaci, sinestesie calibrate, immagini schiettamente poetiche anche quando ci parlanodi cibo, lavoro, sesso, industria, tecnologie.
…..Ariano, ad esempio, usa le espressioni del dialetto di tanto in tanto, ma non scende mai nello slang, la sua lingua è diretta, narrativa appunto, ma mai banale, quotidianamente piatta. Le espressioni dialettali hanno la funzione di alleggerire, di meglio cogliere la sfumature del senso, mai di strizzare l’occhio al lettore. La sua bravura di poeta sta proprio in questa capacità di raffigurare senza tradire l’incedere poetico, di trasfigurare senza mai cadere nell’astrattismo ideologico. Poesia comunque di resistenza umana nei temi e nei modi, poesia della memoria e della denuncia (e il riferimento a Pasolini non è casuale o scontato): Ariano ci parla dei padri, dei partigiani, di donne e uomini, preti, vecchi in un affresco poetico-narrativo coinvolgente, ricco di riferimenti “alti” e “bassi” alla cultura che ha pervaso e attraversato quelle terre, cui Ariano, padano di Mortara, è legato a doppio filo.
…..Ariano è il cantore di uno spazio-tempo che va dal novecento ad oggi, che ci riguarda da vicino. Come ha scritto Luca Mazzachiodi nella bella e profonda introduzione: “Con una lucidità invidiabile e senza temere di essere prosaici, questi versi ci parlano della precarietà dell’esistenza senza rispolverare grandi miti o sontuose metafore e meditazioni sul paesaggio, e ci riportano a una gioventù allungata e sfilacciata dall’incertezza del lavoro, dalla fragilità economica e dall’insicurezza che impediscono agli uomini di progettare e divenire se stessi”.
…..Luca Ariano, che è anche instancabile organizzatore e promotore della poesia merita attenzione e considerazione.

Stefano Vitale

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Sulla Via Emilia

Di cancelli serrati, di ciminiere
spente – ma senza viaggiare
troppo lontano: per sentire
il sapore delle zanzare sulla pelle
e il calore umido del riso.
Tra parrucconi aristocratici con
quelle erre che frustano le orecchie
e graffiano le corde, mentre lo sguardo
delle rughe si scalda nel bicchiere.

Oggi festeggi. Ancora nelle vene
e sulle labbra ti accompagna
ancora il ricordo dei biscotti allo zenzero
e al cardamomo, che volevi danzare…

Non si sono incrociate le finestre
E ti porti sulla via Emilia una lunga
Discussione da film, col nome uscito da un cartone,
in un’aria di neve che domani
impasterà le strade.

* * *

Bambini

Bambini pedalano ai primi rossori,
gli ultimi rimasti sulla via
e tu ritrovi quei pochi minuti di ricreazione
in cortile: l’immensa fantasia
di giochi tra terra ed erba
ora sono visi eroinati nel parcheggio
del cimitero s’una vecchia peugeot.
Si rasano i prati spulciati da merli
e i tuoi capelli cadono sulle zampe
d’un cane che assalta il tremore
delle ginocchia:
in un altro iper di sabato pomeriggio
confondi il luccichio delle vetrate
al trillo d’una tasca, ai nuovi corpi
già spogliati di primavera.
L’Andrea si strafogherà in qualche bettola
di bestemmie per un’altra mano calata male
“Diu bel!” e il confronto tra Dio e Destino
nella preghiera delle sue pupille
“Se avrei vinto…” mentre ancora ansimi
per respirarlo
sbattendo le imposte.

* * *

Panorama

Quel vostro bacio sfrontato
in quell’atmosfera di fine galà
si sperde nell’aria putrida;
eccoli quei fili d’ossa che s’agitano
– paiono Gollum – dove s’annida
il tarlo del panico, un tempo fiorenti.
Sale il sapore ancora caldo di ricotta
e marmellata, dal vaso di gerani
stagnano zanze e mentre la madre
chiama la sua Bea – identici occhi di neve
che si squaglieranno,
ritorna alla mente il Peppino, l’ultimo
ranat, spazzato una sera sul suo Garelli
da un furgoncino della sip;
l’estate era già di sedie sulla strada:
la Carolina, l’altro Peppino, la Manuela
che già usciva col suo moroso, il Claudio
… lo avresti fatto anche tu –
E sei invece lì a consumare una rapida
Carciofa da Pepè mentre lui lieto
con la preghiera in petto ritorna
da Santa Cristina.
In un panorama che gela le tonsille
distribuisci versi in quella quiete ambrata
come tuo nonno sparse scarpe
con la tomaia ancora calda di colla.

* * *

Trent’anni dopo

L’hai chiamata in quelle torride
sere la pioggia
ed ora è arrivata a scrosciare
sulle strade allagando cantine.
Ti hanno ritrovato quei capelli di lago
sorsi di sorrisi da versare
sulla tazza di petto:
sono tutte belle le donne,
e lo dici – appoggiato
ad una colonna pavese –
deglutendo boccate di fumo
o cavando dal fango ruote impantanate
in un’avida camporella.
Si squaglia il mascara sull’autostrada
e il tuo pezzo di cartone
è ormai buono solo come carta da bagno,
volto da emigrante del ventunesimo secolo.
Trent’anni dopo non puoi non pensare
a quel cuore scoppiato, spappolato fegato
nella cassa schiacciata,
negli istanti fracassati del corsaro
all’Idroscalo di Ostia:
le parole non erano ancora profezie
solo per i ciechi
ogni giorno muore un poeta.

* * *

Questa notte si balla a ritmo di tango
per dimenticare il nebbiume
di quella città senza neppure un santo,
solo un beato per caso capitato.
«Siamo già maturi!
L’anno prossimo dobbiamo rinnovare
la patente: cosa abbiamo fatto
in questi dieci anni?»
Lo biascica stanco come un vecchio
di trent’anni alla curva del ponte.
In piazza si mormora che la Paola
se la faccia col figlio del notaio,
orgasmo d’un portafoglio gonfio fra le tasche.
Al bar all’angolo l’Andrea ti racconta
di quando si allenava con Baggio e Del Piero
poi … oggi scarica mobili tra scale e ponteggi.
In quella cittadella dello shopping
non ti rimane che bere per non vedere sguardi
assatanati di vetrine, di plastica, tinture
e pelli tirate senza il placido invecchiare
d’un volto grinzoso.

* * *

Vito ex partigiano – già allora lo chiamavano
il terùn – ha combattuto
nei GAP ma ora vive col respiratore dieci ore al giorno:
non ci sta più con la testa e ti racconta
che lui lì era di casa… quelli sì sono bravi ragazzi
– non sa di baci e strette di mano cose loro – .
Suo figlio s’è bruciato i polmoni d’Eternit
in trent’anni di cantiere e suo nipote Nino
ti porta in qualche bettola a cenare;
cibi discount – studente fuori sede –
ma poi dal bancomat preleva un’altra serata etilica.
Teresa e fiulin in un caffè un po’ chic
paiono usciti da un romanzo francese;
tra le pareti si respira sapore di moka
e fumo di castagne cotte in padella
– quella coi buchi che ti ricorda focolari –
e il tramonto su tangenziale tra pali e fili
brilla anche su cupole e campanili.
Arriva il freddo porco a soffiarti la bocca
di tosse e starnuti e il volo d’uccello
è solo l’arrivederci d’un abbraccio.

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