” DA CHE MONDO ”
Poesie 1976-2016

Sedizioni/Diego Djaco Editore, Mergozzo, (No), 2017

 

Giorgio Luzzi ci offre questa bella autoantologia della sua opera, ma ci regala anche una importante serie di inediti che formano la prima parte del libro. La seconda parte è poi appunto suddivisa in sezioni che prendono il titolo dei libri precedenti. L’antologia è introdotta dalla poesia “Chanson d’aube” che, come rileva Rodolfo Zucco nel suo saggio che completa il libro, rispecchia “il sentimento di chi non si sottrae alla chiamata della vita, ma lascia indugiare il proprio sguardo amoroso su ciò che sta per abbandonare”. Luzzi ci dice che la “…dentro la lettera che scrivo, c’è un uomo solo/un suo progetto un suo sospetto, /un suo vissuto in fondo al quale spunta/ la punta di assoluto,/ un pace inorganica raggiunta.” Il poeta guarda così alla sua opera passata che, però, immediatamente viene inquadrata in un presente necessario che la rende attuale e attiva. Quasi strategicamente Luzzi fa precedere dunque l’antologia da una sezione di inediti dal titolo emblematico “Sul nascere”.

La parte degli inediti , come poi accade per tutto il libro, è segnata da un clima tematico chiaro: quello dell’impegno civile e politico. Luzzi assume questo tema in maniera diretta e coraggiosa, senza giri di parole. Certo la sua poesia è tra le più raffinate e colte che siano in circolazione. Infatti possiamo rilevare che questa veemenza civile è intrecciata a toni ironici; arricchita dalla creatività visionaria del lessico e dalla capacità di Luzzi di forgiare neologismi belli quanto efficaci; innestata su passaggi ipertertuali in cui la citazione è talvolta esibita altre volte criptata. Giorgio Luzzi sa usare sapientemente gli strumenti della tradizione poetica occidentale compresi degli insert tratti dalle lingua straniere, ma il demone di questo libro è la passione civile, è il messaggio politico.

Non vogliamo certo semplificare le cose: in effetti le poesie, specie le inedite, sono caratterizzate da un tono anche più intimo legato a ricordi (come in “Volver” o in “Santa Maria del Tiglio” oppure ancora nella bella “Nubi di lutto in via Emilia”); altre volte le poesie di Luzzi sono attraversate da pause e sospensioni come in “Pensandoci dopo”; in altri casi è la sagace e tagliente ironia che folgora nei testi con in “Versanti” o in “Rinascita del paesaggista”. Ma nella sezione “Da che mondo” che dà il titolo alla raccolta, Luzzi si pone subito al centro del “suo” tema: “Non so che cosa altri abbiamo in mente/Certo qualcosa gli frulla nelle stime/Ma qui il problema è capire chi mente/Se loro che non vedono le guerre/ O noi che andiamo in guerra con le rime”. Così scrive in “Malintesi” ed il poeta assume la responsabilità dell’avvertimento e sa cogliere con sguardo lucido anche il senso del proprio ruolo. E si continua: “Ma un mondo di bambini sceglie sempre/o un sano criminale o un furbo narratore./Al primo la prima parte esplicita dell’orco. /Al secondo la parte peggiore” (“Cattivi elettori”).

Luzzi non si tira indietro e legge la realtà politica nella quale siamo e siamo stati immersi e lo fa con chiarezza anche inattesa per un poeta da sempre visionario e criptico per certi versi. Luzzi si abbandona a giochi di parole: “C’è nell’aria qualcosa come un cupio di soldi,/scocca dall’aria un vento setoloso/che scompiglia il pelame ai furetti” oppure in “Inno alla patria” leggiamo: ”Eh Matteo da Fiorenza, bersagliere/di decreti e promesse/e il difettuccio tenere alla esse/e i sorrisi di sé flessi sull’io/come Narciso nel suo buen retiro”. Tagliente preciso, secco e sincero con se stesso e coi lettori, Luzzi qui ricorda l’ultimo Raboni che, per altro, era un grande estimatore del nostro Giorgio Luzzi. Questo approccio critico, radicale, innerva così gran parte delle poesie intrecciandosi, come detto, con una struttura linguistica che gioca con le rime, le assonanze: “Il rito quotidiano? Non è greve:/qualche pratica oscena di parole,/un’afasia ogni tanto, la demenza/tramortita in absentia, una sentenza// e ti sbologno il testo/ che vuole e che non vuole/che incela se non svela/…” oppure quando scrive: “dove in quali musei/in quali europe in quali/teatri tradizioni semidei…” e in “Querelle” troviamo: “Nemici miei colleghi/profeti che tacete/ si dice che scriviate/ sappiamo che sfumate/su un cocchio di garofano e oppio”. L’impegno civile investe anche la poesia in se stessa e Luzzi non disdegna di segnare col dito della poesia “i colleghi” tiepidi o svagati.

La terza sezione della prima parte di inediti è “Quante storie”: qui la poesia di Lizzi si fa più narrativa, descrittiva, e più metaforica, ricca di visioni e immagini. Le cronache della realtà sono come dipinti rinascimentali, ma di quelli scuri, nordici. Ed ogni testo è un mondo che si apre alla lettura impegnativa e concentrata che Luzzi richiede al suo lettore. Poesia altamente democratica, è per certi aspetti “aristocratica” nel suo lessico, nella scrittura, benché in questi inediti, come detto, incontriamo un Luzzi più chiaro e aperto. “E io che mentre scrivo celebro parole già morte/non ricordo in profondo quell’inverno tremendo/che torme di inermi vivi traslava in occidente/dalle ritene piagge l’Imbianchino di Braunau” così si apre “Ciò che agli scolari di Wieszndorf si evita d’insegnare”. E in “Così stando le cose” scrive: “Reti inviolate a Empoli/teste mozzate in Siria / mani recise in Libia/ Il vecchio Cofferati che esce dal PD per sofferenza critica per dignità dolente/”. Luzzi non teme di prendere posizione: “…ma qui si parla di Israele/ e il lupo di Israele è ancora il lupo, feroce detentore della tana” , oppure di ricordarci che “e telai vetrate talami/ carcasse illuminate/dai flashes delle granate/..e ora e sempre la Striscia/ la bandiera vivente/ Su macerie incombenti/tre uomini si nutrono di sassi”. Con questi versi si chiude questa sezione e con lei la parte di poesie inedite.

Poi la raccolta ci rimette a contatto con il Luzzi delle raccolte precedenti: “Troppo tardi per Santiago”, “Disgeli”, “L’ospite presunto”, “Sciame di pietra” sino a “Talìa per pietà” e “Predario”, “Allegretto dipinto”, “Mosaico dei rifugi” ed “Epilogo Occitano”. Titoli che riportano indietro ma che hanno dentro una forza e una forma viva e presente, quasi necessaria oggi. E che molti poeti giovani dovrebbero rileggere ed anche studiare, per così dire. I testi scelti da Luzzi mostrano una coerenza significativa, una coerenza tematica e stilistica che si appoggia sulla consapevolezza della destinazione sociale della sua poesia (Zucco parla di vocazione pedagogica e demiurgica del nostro poeta) che si basa su un rapporto dialettico, si sarebbe detto un tempo, della letteratura con la storia. Ma senza mai cadere nel banale civismo delle domeniche di festa. Luzzi sa che occorre tenere sveglie le coscienze, sa che lo sdegno civile (associato talvolta nei suoi testi al divertimento della lingua) va motivato e sostenuto; che la tensione poetica va di pari passo con quella di una dimensione culturale definita, appropriata e selettiva.

Giorgio Luzzi con questa sua autoantologia si conferma grande scrittore, oltre che poeta vero, si conferma figura coerente e lucida, certo difficile, ispida e refrattaria ai compromessi, legata alla sua radice culturale e stilistica (la raccolta copre un arco enorme dal 1976 al 2016) e noi non possiamo che reimmergerci in questo libro fatto di tanti altri libri, che pare antico ma che già ci sfugge e guarda oltre.

Stefano Vitale

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Note sull’Autore
Giorgio Luzzi (1940) è nato e vissuto in provincia di Sondrio e vive a Torino da alcuni anni.
Tra i suoi libri di poesia, Mosaico dei rifugi (Crocetti, 1990), Predario (Marsilio, 1997), Talìa per pietà (Scheiwiller, 2003). Sciame di pietra (Donzwelli, 2009), Troppo tardi per Santiago (Aragno, 2015).
Autore di traduzioni da poeti francesi e di lingua tedesca
(di prossima pubblicazione, per i tipi della Donzelli, una scelta dell’opera poetica di Volker Braun, curata con Anna Chiarloni), ha pubblicato numerosi saggi su aspetti e personalità della poesia italiana del Novecento e il romanzo La traversata (L’Epos, 2005). Collabora con le riviste «L’Indice», «l’immaginazione», «Istmi» e «Italian Poetry Review».

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