Simona Vinci: “La prima verità”.
Einaudi, 2016
Nel 1997 a 27 anni Simona Vinci pubblicò “Dei bambini non si sa niente”, una storia di infanzia e sesso ambientata nella periferia emiliana dove Simona Vinci è nata e vive ancora. Il libro ebbe molto successo, meritato a mio avviso, fu un caso anche internazionale.
Quasi vent’anni dopo, dopo un lavoro di anni, esce adesso “La prima verità”, un romanzo ambientato nell’isola di Leros, in Grecia, nel Dodecanneso, oggi famosa per gli sbarchi dei migranti. Dal 1959 per cinquant’anni a Leros ci fu un manicomio-lager dove venivano mandate le persone con disagi psichici da tutta la Grecia. In alcuni periodi nel manicomio di Leros vivevano anche mille persone.
Il romanzo di Simona Vinci – che è stata più volte a Leros, a raccogliere documenti e voci di testimoni – racconta la storia di Angela, una volontaria italiana che arriva nel manicomio e ne ricostruisce i segreti, le storie terribili di chi ci fu rinchiuso – al tempo della dittatura dei colonnelli anche molti dissidenti politici – come se dall’isola non se ne fosse mai andato nessuno: Basil il gigante, un mistico troppo incontrollabile per poter essere contenuto da un monastero, o il poeta Stefanos, ispirato allo scrittore Stefano Tassinari, a cui il libro è dedicato, e al poeta greco Ghiannis Ritsos – un suo verso dà il titolo al romanzo –, presenze che si ricollegano a quelle dei matti che Vinci vedeva da bambina per le strade di Budrio, il paese in cui è cresciuta. «Ogni storia è una storia di fantasmi, e questa non fa eccezione», scrive Simona Vinci all’inizio del libro.
I fantasmi che Simona Vinci ha cercato – oltre a quelli della sua vita – sono stati fotografati da Antonella Pizzamiglio nel 1989, e poi raccolti nella mostra “Leros, anche il nulla ha un nome”. Anche Vinci parte da qui e tiene conto di queste suggestioni fotografiche. Paolo di Paolo, scrittore pure lui, su “Tuttolibri” ha scritto: “Vinci lavora su più piani temporali: ricuce storie diverse, reali, le ricalca, le reinventa”. Testimonia, evoca, immagina. Insegue i fantasmi, le ombre di quei matti imprigionati: «Loro – scrive – sono ancora tutti lì. Sono lì quelli che ci sono morti e anche quelli che in un modo o nell’altro se ne sono andati. E tra quella schiera di fantasmi opachi che si trascinano avanti e indietro lungo il perimetro del cortile di cemento oppure su e giù per le rampe di scale con le lampadine fulminate, c’è anche lei».
Lei, ovvero Angela, «la ragazza modello, la brava figlia, la sorella virtuosa, la studentessa affamata di giustizia, l’usurpatrice del nome idiota che portava, Angela! Come se gli angeli davvero esistessero, avessero le ali e preservassero le anime altrui! Ecco cos’era, un angelo: uno stronzo!». Lei, ovvero Simona, che dice di sé: «Fin da piccola sono stata sensibile alle dissonanze, mi saltavano all’occhio soprattutto i difetti: occhi strabici, voci acute o stentoree, modi di camminare, sproporzioni fisiche di ogni tipo». Lei, Simona, che mette in gioco la propria stessa «diversità» di bambina irrequieta, aggressiva, «ineducabile», che vedeva passare i «mattucchini» per le strade del suo paese natale, Budrio, e aveva una madre toccata forse anche lei dall’ombra nera della follia.
La prima verità spinge a fare di nuovo i conti con le grandi rimozioni collettive e individuali, con il concetto di normalità («La normalità non è da nessuna parte, mi diceva, e poi cosa vuol dire “essere normali»? Non c’è una risposta, perché è la domanda a essere sbagliata”), con il dolore sommerso, anonimo, negletto, cancellato. Con una prima e ultima verità che riguarda il destino di tutti: «A guardare ogni vita da vicino e con la dovuta attenzione, mi resi conto che si trovavano le tracce, più o meno evidenti ed estese a seconda dei casi, di depressioni, problemi dell’alimentazione, manie suicide, paranoie, nevrosi, disturbi della personalità e qualsiasi declinazione possa assumere la malattia mentale».
Ora, vi domanderete: ma perché lo sconsigliate? Perché non è un romanzo. Vinci ha come avuto paura del suo tema ed anziché immergersi pienamente nella materia del racconto possibile, è partita per un viaggio più rassicurante nella storia. Il libro è un collage di cartelle cliniche, storie di malattia mentale di personaggi bulimici, depressi, bipolari, ipocondriaci in una galleria di figure che ne fanno una specie di trattato infernale della devianza psichica.
Certo lo scopo è nobile: ci sono storie che non si devono dimenticare e la verità fa male. Ma la Vinci va come a caccia degli orrori, in una foga catartica, ma finisce per ottenere l’effetto opposto: di annoiare con la sua ossessione bulimica di informarci circa quanto accadde ai tempi in quell’isola. Nessuno vuole mettere in dubbio né la verità né l’ostinazione nel descrivere i patimenti infiniti di quei poveri cristi, ma è come se si fosse perso uno degli scopi principali della creazione romanzesca, quello di uno spaesamento narrativo che ci deve calare nel “qui ed ora” della parola al di là di ogni ricostruzione storica. Domina il testo il “vero storico”, la documentalità saggistica che, come detto, rassicura, fornisce una stampella al racconto, ma in quello stesso momento lo priva di efficacia e originalità. Il fatto è che il libro è lungo oltre 400 pagine…
Siamo ovviamente lontani dal “verismo” di Zola o dal “naturalismo” dei grandi narratori dell’ottocento: qui siamo piuttosto dentro alla ricostruzione giornalistica d’inchiesta che garantisce verità, ma rende tutto così lontano e in fondo, docile. Il fatto poi che talvolta la Vinci “proceda per scatti lirici” nel presentare un personaggio e fissare un sentimento non salva il racconto dal peccato di essere, in fondo, monotono.
La letteratura di denuncia ha un suo spazio, ed è giusto così, ma lascia il tempo che trova. Forse, conoscendo i grandi mezzi dell’autrice, avrebbe fatto meglio ad uscire dalle stanze comode del resoconto per trascinarci, come fece in passato con altri racconti, nel torbido presente di una storia viva, di un racconto autentico.
Ma è quel che passa il convento oggi. Diciamo che almeno nulla toglie, nulla aggiunge.
Alterez
Luglio 2016