“Diversamente dal suo contrario” di Silvana Baroni
(Edizioni Joker, Athanor, 2019)

Non è forse speciale il volume che state tenendo tra le mani? Gioia pura da sfogliare per qualsiasi bibliofilo. Se poi si è bibliomani, il privilegio di trovarsi come prefattori “dentro” una tale curatissima pubblicazione rischia di gonfiare l’Ego fino alla deflagrazione.
Sì, questo è un gran bel libro già a partire dalla copertina, subito intrigante nel rincorresi delle innumerevoli, piccole figure che dichiarano senza esitazione la firma artistica di Silvana Baroni. Decisi, continui tratti di penna; nessuna sbavatura; solo la sinuosità delle forme a illustrarne il senso.
Qualcosa di simile accade in letteratura, quando si chiama in causa la “forma breve”: in special modo l’analogia si manifesta nell’aforisma, dove lo spessore del concetto va espresso con la massima parsimonia di parole, dove non sono concessi voli pindarici nelle descrizioni o surplus di avverbi e aggettivi bene inseriti, spesso male, allo scopo di confondere il senso dell’enunciazione.

C’è dell’altro: è impossibile che un libro non riveli, in ulteriori risvolti, la personalità del suo autore. Impossibile, aggiungo, che una qualsiasi espressione di creatività non lasci trasparire l’animo dell’ideatore. Accade in ogni arte e, a maggior ragione, si palesa nella scrittura, dove manca quasi del tutto l’intromettersi di più collaboratori a completarne la realizzazione.
Ed è proprio in questa oggettività che si rivela il grande punto di forza di Silvana Baroni quando, attraverso una raccolta aforistica come “Diversamente dal suo contrario”, mette a nudo il suo pensiero senza strategiche digressioni e senza alcuna inibizione.

Non è certamente il coraggio di essere apertamente se stessa, a volte con un provvidenziale tocco d’impudenza, l’unico pregio del suo massimare: rappresenta, però, il filo conduttore dei cinque capitoli d’una silloge imperdibile. Nel primo, “Egolalie”, dove l’alterazione stessa del termine la dice lunga su quanto il contenuto sia autobiografico, l’autrice ci comunica che: “Nascere è stato il mio primo atto d’arroganza – ha detto mia madre”. E subito dopo: “Venire al mondo è stato il mio primo atto di superficialità – ho pensato io”. Ma dopo, al di là dell’apparente soggettivare, balzano fuori mille constatazioni che ciascuno di noi può riportare a se stesso e al suo mondo con spontaneo fervore.
In “Aliam alia trudit” Baroni elide il “fallacia” d’esordio del celebre detto, ma segnala comunque al lettore i troppi artifici, le innumerevoli menzogne di cui, nel nostro tempo, tutti siamo vittime; e – diciamolo pure – anche colpevoli ma inconfessati artefici. Silvana, però, smonta questa catena di raggiri: la demolisce, un sagace apoftegma dopo l’altro, fino a denudare ogni mistificazione rendendola, così, quasi inoffensiva.
Nei capitoli seguenti troviamo copiosi i “dintorni” dell’amore; sono tutta leggerezza e tutta ironia, ma tanto giocare d’arguzia dissacratoria esalta, semmai, il profondo valore salvifico che dà l’autrice a un tale, imprescindibile sentimento. Se “In punta d’immagine” somiglia a una rassegna critica del neo-culto dell’apparire e al suo sistematico, auspicabile smantellamento, il capitolo “Sic vos, non vobis” chiude magistralmente la silloge nel riepilogo delle debolezze e delle ingenuità, delle cadute e delle goffe rimonte proprie del nostro destino.

L’intera opera, insomma, che ha il lampante sapore della denuncia, sottende però uno sguardo “d’autore” del tutto privo di cattiveria, mai inficiato dal revanscismo, mai sprezzante o boriosamente giudicante. E’ un quadro realista, “Diversamente dal suo rovescio”; è il raffinato ritratto di una società confusa, sostanzialmente inebetita dal luogo comune, pavida ed arrogante assieme che, vivaddio, può ancora essere smascherata dall’intelligenza audace dei liberi pensatori. Basta leggere le massime che seguono per capire quanto Silvana Baroni sappia osservare, captare, elaborare e persino disegnare fuori dagli schemi. Di questo non possiamo che essergliene grati, anche e soprattutto laddove le sue frecce sfiorano il nostro amor proprio senza però colpirlo a morte, strappandoci invece un’abbondante dose di sorrisi.

Ciò detto, da parte della prefattrice nessun ingozzante “apericena” d’importazione, a esemplificare lo stile aforistico dell’autrice. Semmai, assieme a un altro grazie a Silvana Baroni da parte di ogni cultore dell’aforisma, solo uno stuzzichino per favorire l’appetito del lettore:
“Egolalie”: Ormai, non è che non mi fido, è che perdono in anticipo.
“Alia aliam trudit”: Nell’ironia dev’esserci anche la pietà, altrimenti sarebbe sarcasmo.
“Amore e dintorni”: La regina degli uccelli non sempre è un’aquila!
“In punta d’immagine”: I migliori testimoni dell’epoca sono i fannulloni al balcone.
Dulcis in fundo, la domanda più ovvia e più geniale con cui si possa chiudere il capitolo “Sic vos, non vobis” assieme all’intera raccolta:
Mi domando: perché tanto desiderio di vita, s’è proprio la vita a volerci morti?

Anna Antolisei

***

 

CONDIVIDI