“FILO SPINATO” di Alessandro Fo
(Einaudi, Torino, 2021)

…..“Filo spinato” è un libro compatto, unitario e solido. Benché sia costruito sulla base di testi legati a persone, situazioni, momenti ed esperienze sparse, questa nuova raccolta è sostenuta da un disegno poetico-narrativo determinato, preciso. Che è racchiuso già nel titolo: il filo spinato è, come viene scritto nella quarta di copertina, “quello che, trattenendo il nonno di rientro da un assalto durante la Grande Guerra, gli salvò la vita. Senza quel filo non ci sarebbero stati il padre del poeta, né la zia Bianca, né lo zio Dario, né il premio Nobel di quest’ultimo”, versi che in effetti chiudono la raccolta (pag. 102).

…..Il filo è dunque quel collegamento, casuale quanto necessario, che lega la nostra vita ad altre vite, è quell’elemento imponderabile che non possiamo controllare, ma che ci permette di avere una storia, forse anche un’identità. E’ un filo fragile e sottile che spesso non vediamo, se non a posteriori, eppure quando lo scopriamo è solo quel filo che dice che tra “lo scomparire e il riemergere”, tra i sommersi e i salvati dalla vita e dal caso, anche il nostro volto può avere un senso. Anzi lo acquisisce proprio specchiandosi in quel filo.
Questo libro ci dice che la poesia è sguardo vigile e compassionevole, nel senso leopardiano, verso le storie degli altri che sono parte di noi, verso le persone che incontriamo e che invitano a prenderci cura della nostra comune umanità. La poesia di Fo vuole prendersi cura di tutto questo. Noi siamo gli altri, noi siamo fatti della stessa materia dei sentimenti che esprimiamo legandoci a qualcosa di più grande di noi, che è dentro di noi, non sopra di noi. Non c’è metafisica, non c’è trascendenza che possa essere più profonda della nostra umanità.

…..“Ingannare il tempo è il titolo della prima sezione: ricca di testi costruiti sulla base quasi di uno “schema” narrativo: apertura introduttiva di una situazione vissuta, osservata, partecipata; poi passaggio ad uno sviluppo del tema che trasporta il lettore in presenza dell’evento e infine, una chiusa che, per sua natura e funzione, esplicita, magari anche lasciandoci sospesi il senso poetico, riflessivo quanto emozionale, del “fatto”. La poesia di Fo è animata da una volontà comunicativa, di comunanza con il lettore: è poesia che si fa essa stessa filo che ci avvolge e si svolge entro un orizzonte di sentimenti toccanti in cui l’emozione non è ai fine a stessa, ma propone e indica una forma etica dell’essere.

…..La natura di questo libro si dipana, passo dopo passo, sin dalla prima delle poesie proposte che, emblematicamente Fo aveva collocato al termine nel suo prezioso libro precedente “Esseri umani” (Ed Arcolaio): “Doni” . Questo testo ha un tono elegiaco, descrittivo e sospeso eppure ci trasporta di peso dentro ad un pensiero che spesso viene scacciato: quello della morte. Alessandro Fo ci dice subito che quel filo trattiene anche la fine della vita, la morte e ne coglie, in un doppio movimento, esterno e interno, il senso umano: la protagonista della poesia è attratta dal rumore notturno dell’elicottero che trasporta un organo per un trapianto. “Se per caso ne avvertivi l’elica/ balzavi su e correvi alla finestra/ presa da affanno e improvviso sconforto”, ma aggiunge “sapevo che avvenire avevi in mente/disposto a testamento/ “Io che, da viva, non servivo a niente, /servirò a qualche cosa almeno da morta”. La vita e la morte legate in un unico movimento, in un donarsi, appunto, continuo, che fluisce.

…..La poesia di Fo sorprende per la sua candida sincerità, per la naturalezza del verso che convoca le voci e i volti dei protagonisti delle storie poeticamente narrate con misurata bellezza. E’ il caso di “Res reperta” (pag. 11), di “Le pagelle del 1934” (apg. 16), di “Minimi incontri” (pag. 17) ma anche di “Kay Kent” e “Lettera da Firenze” (pag. 22 e 23) dedicate a Marilyn Monroe, due poesie a specchio che si rivelano l’una nell’altra raccontandoci il congedo dalla vita non di un sosia, ma di una gemella di Marylin Monroe nell’atto estremo del suicidio, come a dire che lo spazio delle corrispondenze umane molto vasto. Poesia popolata da piccoli oggetti: fotografie, cartoline, fiori appassiti (molto bella “Facendo un altro lavoro” a pag. 28), poesia che si perde in un garage in Liguria oppure tra le patate d’Irlanda ricordano poeti come Ripellino o Heaney.
Poesia che sa essere ironica ed arguta come in “Come salvarsi agevolmente la vita in caso di grave crisi (pag. 34 e 35), certo un po’ melanconica, ma estremamente divertita e divertente invitandoci a cercare riparo nell’antica libreria Shakesperare & Company a Parigi dove ci si troverà “nel cuore dell’universo”, dove “il clima bohèmien che invita a incontrarsi, /incipit vita nova, innamorarsi”.

…..Alessandro Fo dosa questi registri con un’altra postura significativa: quella del “sermone civile”. Davvero non è cosa facile di questi tempi utilizzare questo tono, parlare poeticamente in modo fermo, ma garbato, con parole nette e precise sui temi scottanti ed attuali. Dunque il “personale” si salda all’universale. Alessandro Fo fonde i ritratti delle singole persone che popolano questo libro, che generano ricordi, passaggi esistenziali, incontri più o meno casuali, con l’intenzione di richiamare tutti ad un’attenzione etica di responsabilità civile.
La poesia di Fo non teme di essere toccante, di provocare commozione, ma al tempo stesso è una sferzata saltare di energia civile. Il tono oraziano di alcuni passaggi poetici, ovvero quando Fo ci ricorda il valore delle piccole cose, del rimanere appartati, del curare anche i dettagli dell’esistenza, si coniuga e si alterna con il piglio dell’invettiva e della profondità di un discorso più universale che si snoda senza retorica. “Agosto ti mortifica o fortifica” (pag. 32 e 33) oppure “Finestra” (pag. 15) sono begli esempi di questo approccio etico fondamentale.

…..Lo sguardo del poeta, oltre a esprimersi con parole giuste e misurate, evidenzia contraddizioni che ci riguardano da vicino. La poesia di Fo, lo abbiamo detto, fa i conti con la morte. E si confronta con il dolore dell’assenza, dello scomparire di amici, di persone care, di figure che hanno arricchito la vita stesa del poeta con i loro piccoli o grandi gesti, con la loro dignità.
Ma al tempo stesso, Fo ci dice della morte che permea tanta realtà del nostro tempo, che si consuma nell’indifferenza generale. Fo propone una sorta di “Spoon River” del quotidiano, della sua esperienza di uomo che ha incontrato altri esseri umani reali, concreti, autentici. E da qui si collega ad un’umanità anonima, ma non meno importante e che ci coinvolge anche in un monito amaro. Ad esempio nella poesia “Fuori Monaco” (pag.10) Fo coglie il momento della visita di un gruppo di “turisti” al Lager di Dachau. Doveroso viaggio della memoria, omaggio alle vittime di un orrore assoluto come la Shoah. Il poeta usa un linguaggio piano e descrittivo, ma così ancora più tagliente proprio perché evidente e senza fronzoli: “Tutto è silenzio e incredibile pace/dove aguzzini e cani macinarono/persone come noi”. Oggi visitatori più o meno consapevoli, armati di fotocamere e audio guide attraversano questi campi e il “ricordo” diventa “annacquato/disciplinato, / sottomodulato/” musealizzato e in un efficace rovesciamento di prospettiva, Fo coglie i visitatori in attesa del bus del ritorno, preoccupati di non essere caricati tutti “pronti a saltarci sopra ad ogni costo, /anche passando davanti a qualcuno”. Il gioco di immagini è chiaro e struggente.

…..Nella seconda sezione “Muto carcere” Fo ci racconta della sua esperienza di volontariato culturale a contatto col mondo dei reclusi, di coloro che, pur magari avendo commesso gravi delitti e quindi con pene pesanti da scontare, sono confrontati con condizioni di vita difficili (“il cielo notturno è vietato ai prigionieri” , pag. 44) oltre che con il loro duro percorso di recupero appunto di forme di umanità e dignità fondamentali: “Sto riacquistando la misura della vita” scrive in “Semilibero” (pag. 48).
Il tono della sua poesia è crepuscolare, melanconico, con richiami a Corazzini e Gozzano, fatto di passaggi colloquiali, cordiali, ma ricchi di compassione e pietas. Fo entra nei personaggi che diventano persone, non certo maschere indeterminate, ma esseri viventi reali. Colpisce, ancora una volta la forza della semplicità con cui Fo coglie i sentimenti umani. La sua poesia eleva episodi apparentemente marginali, occasionali a “situazioni” drammatiche universali. Siamo confronto con “anime in pena” chiuse in un “vuoto movimento, / complemento di moto senza luogo”, “casi di coscienza” sospesi tra inferno e paradiso, con cui il poeta entra in dialogo diretto o epistolare.
In questo senso è importante leggere la postilla scritta dal poeta intitolata “Un appunto” in cui Fo ci spiega, con semplicità, ma dovizia di particolari, proprio le occasioni, le situazioni che stanno dietro alle diverse poesia. Anche questo è un modo per dare carne e sangue ai suoi versi.

…..Nella terza sezione “Dei sepolcri, again” la poesia assume la forma di un monologo interiore del poeta con se stesso vissuto attraverso le figure evocate dall’ombra dei suoi ricordi e dei suoi incontri. Così Fo è straordinario nell’integrare nei suoi versi le parole di una canzone di Mia Martini, di usare termini quotidiani come “account”, “post”, di parlarci del famoso francobollo “Gronchi rosa” sviluppando forme di poesia “alta” intrecciate con un lessico proprio di un registro “basso”.
Così come riesce, con efficacia, a intercalare momenti più lirici e distesi con fotogrammi di esperienza colte “sul fatto” che diventano una forma di testimonianza di vita che svanisce, ma che lascia un “segno”. Il dialogo diretto del poeta con gli interlocutori protagonisti delle sue poesie si trasforma, infine, in alcuni casi in una sorta di diario di vita che, a sua volta, si fa letteratura senza mai diventare finzione o costruzione artificiosa. Le singole poesie appaiono quindi come una sorta di “pietre miliari” di un cammino, storie poetiche di vita condivisa, forma “gentile” di cura per gli altri.

…..Ma, come abbiamo anticipato, la poesia di Fo è anche dura ed esplicitamente civile. In Esseri umani (pag. 96) l’incipit è perentorio e chiama in causa la molteplicità degli orrori del nostro tempo: “Voi, che in alto mare o a cento metri da riva/gettate in acqua i profughi ad affogare, / voi che li rapinate del poco rimasto,…/ voi che li chiudete sui treni, che la confine/ li bloccate per mesi, che innalzate muri/…voi, che fate esplodere nei mercati/ o preferite invece imbottire di tritolo/ ragazzini innocenti/voi che bombardare a tappeto/… che demolite le case dei vostri oppositori/…che sparate nei locali sugli inermi/”… non c’è dunque un unico bersaglio, il poeta non fa demagogia né offre facili e scontate soluzioni; il poeta non è fazioso, ma è di parte: quella degli esseri umani, dei deboli, di coloro che sono usati, maltrattati, uccisi, torturati, emarginati.
Così Fo richiama la coscienza al senso della necessità d’indignarsi, dell’obbligo morale e politico di leggere la realtà stando dal punto di vista di chi subisce ingiustizie, violenze. E Alessandro Fo non risparmia nessuno: “stalkers, baby-gang, ultras e hooligans”, ma anche “voi che picchiate la moglie e i figli, / che trucidate madre, padre, moglie, figli/ chiunque, per gelosia, un insulto, quattro soldi”…voi che per denaro operate chi è sano, /voi che abbandonate bambine e animali”… Fo individua una serie di orrori e storture del nostro tempo e, purtroppo, di ogni tempo, violenze che caratterizzano l’essere umano. La sua attenzione è globale e si schiera anche contro coloro che inchiodano “i piedi delle oche/ per lucrarne fegati più grassi/ che sterminate foche, balene, visoni/ voi che inquinate/ che date fuoco ai gatti, perché correndo impazziti/appicchino ai boschi gli incendi dolosi /voi che date fuoco ai barboni/…”. La chiusa della poesia è memorabile quanto attesa “considerate la vostra semenza /considerate se questo è un uomo”. Dante e Primo Levi s’intrecciano e danno il senso compiuto della poesia e della visione civile e universale del testo di Alessandro Fo. Che, come dicevo, sa far riflettere non limitandosi all’invettiva, che sa essere intima e universale al tempo stesso.
Lo stesso accade nella poesia “Liliana Segre al Parlamento Europeo” in cui il discorso reale si mescola con l’espressione poetica e la necessità della memoria perde ogni vernice di retorica per divenire “farfalla gialla che vola via sopra il filo spinato”. Quel filo spinato, certo diverso, che salverà la vita a nonno Felice che renderà possibile, salvandolo casualmente, “questa nebbia di ricordi in versi”.

…..Stefano Vitale

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…..Doni 

Nella notte d’estate  appena  tiepida,
ma quanto basta a aprire  la  finestra
sul silenzio di stanze e luci fievoli,
anche se è tardi d’improvviso un’elica
fa la sua rotta verso l’eliporto.

Non ha orari il trapianto.

E in volo nel ricordo
c’è casa tua sulla linea del «Pègaso»,
cavallo alato che, nei nostri giorni,
serve gli eroi nel trasporto degli organi.

Se per caso ne avvertivi l’elica
balzavi su e correvi alla finestra
presa da affanno e improvviso sconforto.

E anche se tacevi
sapevo che avvenire avevi in mente,
disposto a testamento.

«Io che, da viva, non servivo a niente,
servirò a qualche cosa almeno morta».

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…..Un vecchio scatto della Nobil Contrada del Bruco

Dopo la cena, ecco Mario e Giovanna
mi fanno un quiz. Mi mostrano una foto
di un tempo: bimbi con uova pasquali.
«Riconosci qualcuno?» E io la scruto
fila per fila… «Mah… Forse… è Mario questo?»
«Mario, tu dici?» «Aspetta… No, è Simone!
Ma sì! È Simone, certo, è lui, lo stesso
disegno d’occhi, naso, sopracciglio,
anche i capelli, il suo solito taglio».

Simone fu il loro unico figlio.
Morì ragazzo, a ventidue anni
il 10 agosto del Novantasei.

«Esatto!… Però è una foto nel Bruco
scattata per la Pasqua del Sessanta…
Capisci? È un bimbo che avrà nove anni,
e dunque è nato nei primi Cinquanta…»
«… Non è Simone?… Eppure è il suo ritratto…
Chi è?» «Non lo sappiamo.
Stiamo cercando chi l’abbia conosciuto,
un qualsiasi contatto,
fra gli altri della foto.
È così uguale. A trovarlo, vedremmo
come sarebbe
nostro figlio cresciuto».

***

 …..Quel che inizia nel giorno

Disporre a chi lasciare i libri, i quadri:
un giorno o l’altro ci dovrò pensare.
E anche giacche, cravatte, biancheria,
la vita dei bicchieri e delle pentole…

È l’alba, e lento mi dirigo al lavoro,
mentre sul cielo semigrigio e lucente
scorre a zigzag la fuga di spioventi.

Mi supera, compresa nel suo footing,
una ragazza.
Ha la coda,
le sobbalzano
nel passo svelto e elastico i capelli.

Ma a destare stupore
è come, anche all’impatto delle suole,
sia già lontana, senza alcun rumore.

***
…..
…..Semi

Dieci mesi durò l’isolamento.
Mi ero fatto amiche le formiche.
Le conoscevo ormai una per una.
Ci mettevo le fette di salame:
loro uscivano dalle loro tane
per venire da me.
_______________________ Ci avevo solo
un vecchio numero di «Famiglia cristiana».
Tutto mi avevano tolto: TV, radio,
libri, tutto quanto.
Lo nascondevo dentro le mutande
e alla perquisizione
non lo trovavano.
Lo sapevo a memoria. Pure la Redazione,
i numeri di telefono.
L’ora d’aria era in un quadrato
di tre metri per tre di cemento.
Solo pareti, e sopra di me il cielo,
ma pure fra quel cielo e me una grata.
Per dieci mesi.

Per dieci mesi.

E poi alla fine mi concessero i libri.
Libri per modo di dire. Biblioteca
dell’Isolamento. Carta straccia,
vecchi, senza piú la copertina,
romanzi fatti a pezzi, che attaccavo
da dove capitava.
Ma quando ho avuto i libri
– non la televisione: proprio i libri dico –
quei libri putrefatti, sbrindellati,
be’, su quei libri, per la felicità, io ho pianto.

***

…..Inferno e paradiso

___________________________A Maria Letizia V.

II. Corde

Quando vengo quaggiú e mi guardo intorno
il verde, il sole sui tetti delle case,
sempre penso «Ecco… io vengo dall’Averno…
Risalito dagli Inferi»…
Là in fondo annaspi a farti un tuo equilibrio.
Ma hai tre metri quadri. Costruisci
una per una piccole abitudini.
Poi basta niente. Un compagno di cella…
E fa saltare ancora tutto quanto.

Se cominci a temere
che proprio non potrai uscire mai piú,
be’, allora, sai cosa ti dico, addio.

_______________________________E io
mi ero già fatto ormai pure la corda.

…Poi è venuta una suora e mi ha donato
un libro di preghiere…

Mia moglie mi portò
la piccola a vedere.
Lei mi abbracciò
____________e mi disse:
_______________________«papà mio».


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…..Note sull’Autore
Alessandro Fo è nato a Legnano nel 1955. Insegna Letteratura latina all’Università di Siena. Le sue principali raccolte di poesie sono Otto febbraio (Scheiwiller, Milano 1995), Giorni di scuola (Edimond, Città di Castello 2000), Piccole poesie per banconote, (Pagliai Polistampa, Firenze 1° gennaio 2002), Vecchi filmati (Manni 2006).
Per Einaudi ha pubblicato le raccolte di poesia 
Corpuscolo (2004), Mancanze (2014) e Filo spinato (2021) e ha anche tradotto e curato Il ritorno di Rutilio Namaziano (1992), l’Eneide (2012, insieme a Filomena Giannotti) e, di Apuleio, Le metamorfosi (2010) e La favola di Amore e Psiche (2014).
Ha inoltre curato varie edizioni di opere di Angelo Maria Ripellino, tra le quali quella che riunisce le tre raccolte poetiche 
Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde (Einaudi 2007, con Federico Lenzi, Antonio Pane e Claudio Vela).

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