“FORME DELL’ADDIO. L’ultimo Gustav Mahler”

di Ernesto Napolitano
(EDT Torino, 2022)

…..Adorno nella “Teoria Estetica” ha scritto: “L’arte non ammette creazioni normali e perciò neanche creazioni medie, sia che corrispondano alla norma, sia che trovino il loro valore posizionale in dipendenza dalla loro distanza da quella” (pag. 316). Poi precisa che “la coerenza è un momento essenziale, ma niente affatto l’unico” (pag. 316) e quindi che “E’ bensì vero che non c’è verità estetica senza la logicità delle opere. Ma per rendersene conto occorre la coscienza dell’intero processo, culminante nel problema di ogni singola opera” (pag. 317). Adorno sta criticando la “levigatezza accademica” e pensa che l’opera d’arte riuscita sia quella “la cui forma sgorga dal suo contenuto di verità” che non è separabile dal suo divenire, persino dalla trama complessa della sua stessa negazione interna, ovvero dalla forza che ha di accogliere, senza annullare, ciò che è fratto, frammentario. Connettere, sia pure temporaneamente il non connesso, articolando il molteplice nell’uno senza perdere mai di vista la profondità del frammento e la vitalità della forma: sarebbe questa una delle “funzioni” dell’arte per Adorno.

…..Questa riflessione a mio avviso ben si adatta al lavoro interpretativo di Ernesto Napolitano in questo libro. E Adorno, autore di un fondamentale saggio su Mahler, è certamente un riferimento col quale Napolitano si confronta e che, senza reverenze, critica con autorevolezza.

…..L’opera di Mahler non è una creazione “media” ed esce dai canoni dell’accademia, egli cerca sempre una forma (che Adorno definiva “narrativa”) però costituita da passaggi improvvisi, da frammenti diversi, dal montage , ad esempio, di elementi “alti” classici e motivi “bassi”popolari. Le opere di Mahler vivono in un continuo processo di trasformazione, ma tenuto insieme da una spinta unitaria. Ernesto Napolitano si concentra su questa visione, e ci offre una lettura in controtendenza con le opinioni e le interpretazioni tradizionali.

…..Il processo del congedo e dell’addio in Mahler è, per Napolitano, prima di tutto quello dai motivi musicali, di rappresentazione e formali ottocenteschi, dal mondo espresso da lui stesso nel Wunderhorn e nella Prima Sinfonia, per attraversare poi le illusioni/disillusioni culminate dell’Ottava Sinfonia, e arrivare all’astrazione delle ultime sinfonie e del Das Lied von der Erde. La “categoria della frattura” è centrale nella musica di Mahler, ma altrettanto lo è la ricerca di una “profonda unità” che permetta di guardare alle cose del mondo, della vita e alla musica da “un’altura più elevata”. L’astrazione non è “idealizzazione”, ma la forma musicale di una sempre maggiore consapevolezza della realtà del mondo attraverso i mezzi e il linguaggio della musica.

…..Il tema delle “forme dell’addio” non rimanda al pensiero che associa Mahler all’ossessione della morte, magari letta in chiave decadentista o peggio esclusivamente autobiografica. Ernesto Napolitano non sottovaluta affatto le vicende personali del compositore, ma le rilegge senza pregiudizi alla luce della musicologia, della filosofia, della letteratura.

…..Mahler “è un maestro della variazione motivica” che ci guida in un mondo sonoro e spirituale in cui il caos apparente non si identifica, per Napolitano, con il disordine, ma con la molteplicità. Mi viene in mente Italo Calvino che ne “Le lezioni americane” (a proposito di Carlo Emilio Gadda) scriveva “cercò per tutta la sua vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentare senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento (pag. 104).
Mutatis mutandis questa considerazione può valere anche per Mahler. Scriveva Adorno: “profonde sono le opere che né celano il divergente o contraddittorio né lo lasciano stare appianato…dar forma agli antagonismi non li abolisce … ma nella loro funzione sintetica, nel connettere il non connesso, esse incontrano la conoscenza” (T.W. Adorno, Teoria estetica, pag. 319).

…..Mahler cerca una forza unificatrice: c’è nella sua musica un principio d’organizzazione, che non sfugga al negativo, ma che non lo riduca al nulla. E di questo sforzo Napolitano nel suo vasto saggio ne da testimonianza. Anche quando, a proposito dell’ Ottava Sinfonia dice che “Mahler subisce la seduzione che la trascendenza offre alle sorti dell’uomo…grande stile è anche la tentazione dell’eccesso, della sovrabbondanza, dell’oltrepassamento” (pag. 73) dirottando “Mahler dal suo percorso più autentico”.
Ma anche in questa sinfonia emergerebbe l’utopia mahleriana di un mondo spirituale in cui “l’amore che trascina in alto” (pag. 81) prende spazio. E qui Napolitano riprende Ernst Bloch, il filosofo del “principio speranza” secondo il quale: ”la musica di Mahler lascia intravedere ciò che non c’è ancora, ciò che ancora è avvolto nell’oscurità” (pag. 82).
C’è una forma di coscienza anticipatrice in questa musica che non sfugge al momento della crisi, del lutto, ma che esprime anche l’urgenza di una breccia nel groviglio del mondo, oltre l’infelicità e la durezza delle cose. La categoria dell’”irruzione”, che può avere una risonanza espressionistica, è centrale assieme a quella dell’”annuncio”. Sono categorie che forse legavano Mahler all’ebraismo, come pensava Bloch, ma che soprattutto rendono il suo “discorso” musicale qualcosa che tocca il profondo.

…..E qui Napolitano cerca di sfatare un altro luogo comune: il presunto misticismo di Mahler che troverebbe nell’Ottava Sinfonia un suo esempio… Per Napolitano in realtà il compositore “si sta specchiando nella versione più spirituale dell’amore“ (pag.93) e il suo contenuto autentico è “un soggetto etico” mentre la sua“ (pag. 93).
L’elevazione mahleriana non è, per Napolitano, il frutto di un’ascesi contro il mondo musica è sempre e solo suono di natura” o contro la natura, ma la spinta verso una inclusione del mondo nello spirituale e dello spirituale nella concretezza del vivere. E’ questo anelito, questa “utopia concreta” direbbe Bloch con un felice ossimoro, che caratterizza le aspirazioni di Mahler nella sua musica. Ma qui ci consuma un altro addio: quello dal tentativo faustiano del raggiungimento di un’unità “tra gli uomini e la divinità”. Un motivo romantico che Mahler abbandona nel suo cammino sofferto, ma lucido verso la Modernità.
La consapevolezza della fine del mito dell’armonia non solo attesta l’impossibilità di parlare di misticismo in Mahler, ma confermerebbe l’assenza di una visione disperata e disperante dell’esistenza nella sua poetica musicale. La lucidità di Mahler nell’affrontare con i mezzi della musica questi temi è il contrario del dilagare di una presunta pulsione di morte senza speranza.

…..Poi venne il Das Lied von der Erde che esprime, nel complesso dell’opera di Mahler, una svolta stilistica. Adorno parlò di sguardo che “sugge, dubita, si volge indietro con sconfinata tenerezza”, Bruno Walter di “creazione sub specie mortis” e certamente, come rilevò Paul Bekker, è presente “uno stile del dissolvimento” in quest’opera. Altrettanto vero che Mahler definì quest’opera “la cosa più personale che ho fatto sin ora” e Alma Mahler sottolineò come Mahler avesse “espresso in quest’opera tutto il suo dolore, tutta la sua angoscia”. Questa sinfonia speciale (perché Mahler la considerava tale) è stata quindi letta come il mesto addio al mondo, non senza tratti autobiografici, di un uomo malato.

…..Secondo Ernesto Napolitano siamo invece dinnanzi ad una alta e lucida “cognizione del dolore” e non certo alla dichiarazione di uno scacco definitivo. L’opera è permeata di un senso di sospensione che Napolitano legge come una tensione verso l’ignoto: “l’epilogo è certamente una cognizione del dolore, ma non è uno scacco. Con indicibile rimpianto, la musica resta sospesa all’infinito, in un’assenza di speranza senza disperazione” (pag. 178).
Napolitano vuole superare l’equivoco del soggettivismo autobiografico, concentrarsi sulla musica e sulla sua costruzione, sul suo percorso creativo ed espressivo per cogliere ed evidenziare non l’angoscia per la morte, ma la “presa di coscienza di un’incolmabile separatezza fra l’uomo e la natura. C’è un tempo dell’uomo e c’è un tempo della terra. Uno è il tempo lineare, irreversibile e segnato dalla morte, altro il tempo circolare, il tempo che eternamente si ripete intrecciandosi ai cicli della natura (pag. 174-175). Il tema formale della sospensione allontana Mahler dalla visione del viandante di Schubert del Winterriese come dal Nietzsche dell’eterno ritorno. Il “Canto della terra” per Napolitano vive in una dimensione aperta di “eterno sviluppo” che non lo rende inscrivibile nel clichè di una musica funeraria e autobiografica.

…..Resta innegabile tuttavia quello che viene definito un “processo di rarefazione” in questa musica. Paolo Petazzi ha scritto di “rifiuto della compattezza” (in“Le sinfonie di Mahler”, edito da Marsilio) che prosegue nella Nona Sinfonia in cui il “flusso di coscienza” trascina la musica in “un discorso liberissimo e interiorizzato… portato a seguirne la logica interna senza più far affidamento sulle categorie note” (Petazzi, pag. 214). Lo stile del dissolvimento connesso al rifiuto della compattezza compositiva potrebbe quindi essere la conferma di una visione catastrofica in Mahler.

…..Ernesto Napolitano non nega in Mahler “… la sua vocazione tragica all’estinguersi e al tramontare”, e “condivide l’idea che a prima vista la Nona sia quanto di più lontano si possa immaginare dall’idea di costruire un mondo” (pag. 192). Ma secondo lui in realtà “la dimensione poetica della Nona è consacrata alla meditazione, alla riflessione sulle cose del mondo, al presente e al passato, all’interiorità, al ricordo” (pag. 193). Mahler “schiva ogni messaggio di salvezza umanitaria e sospende il suo movimento conclusivo nella dimensione silenziosa di un commiato” (ibidem): così facendo, secondo Napolitano, appare come egli “guardi al futuro della musica” (pag. 194). Il tema della funzione del silenzio, della sospensione appunto, in musica e più in generale nella cultura del Novecento, è fondamentale e Mahler ne sarebbe un anticipatore.

…..Napolitano ci mostra come la Nona sia ricca di spazi di attesa, di zone di sospensione, di immagini-simbolo, di proiezioni verticali sostenuti da melodie che sono “un modello di semplicità e raffinatezza” (pag. 204) e da un processo musicale in cui anche il recupero di idee passate genera nuove “improvvise tensioni” proprio grazie al “potere generativo del ricordo”. Cosa che sarebbe l’esatto contrario del ripiegamento pessimistico che normalmente si attribuisce a Mahler in questa composizione.

…..L’idea del tragico in Mahler, per Napolitano non è sostenuta dal confitto di forze come aveva indicato Massimo Cacciari nei suoi saggi, ma dalla “prospettiva di una riflessione sul destino degli uomini e fatalmente, sull’ideale di una responsabilità dell’artista” (pag. 214). Napolitano respinge quindi la “mitologia dell’addio e della morte” sottolineando anche la capacità di Mahler di rimanere sempre in ricerca sul piano della musica, di anticipare forme successive, di cogliere pensieri e prospettive che saranno proprie del futuro: “il mio tempo verrà” scriveva non a caso Mahler.

…..Cogliere le fratture del mondo con spirito dostoevskiano, rappresentare col suono l’”irriducibile ferita all’unità del mondo nella realtà del male “ (tema che era presente in Mahler sin dall’inizio della sua produzione ) non significa precipitare nell’abisso, ma come direbbe Adorno è un modo di fronteggiare il negativo e come direbbe Bloch un tentativo di continuare a “camminare eretti”. Il tragico in Mahler non è “la marcia funebre”, ma è “il tempo che non si chiude…”, è la riflessione sui destini dell’uomo, è la coscienza della crisi, non il cedere dinnanzi ad essa.
La “memoria di un tempo perduto” (pag. 283) non va confusa con la disperazione, il senso del lutto e del dramma non è concentrato in un evento, ma si dilata in una riflessione che, musicalmente, è più vicina a Schubert e a Mozart (al Requiem Napolitano a dedicato un saggio importante). L’eco dell’utopia non viene mai meno: non è sostenuta da una posizione affermativa, ma dalla consapevolezza del tragico come fattore insito nel tessuto complesso dell’esistenza.

…..Questa prospettiva resiste sin dentro al Decima Sinfonia incompiuta, la cui “indefinitezza” rende “inautentico ogni tentativo di ricostruirla” (pag. 308). Il non-finito mahleriano anela al futuro più di quanto si possa a prima vista pensare: essa è “…un’utopia che sa rivolgersi al passato e trasformarsi nella nostalgia di qualcosa che non è mai esistito” (pag. 363). Certamente Mahler deve tenere a bada la morte, ma lo fa con “lo stile della profondità”… col “suo modo di pensare in musica, di dominare la complessità riversandola nel dinamismo dell’opera” (pag. 369) che attribuisce all’arte, alla musica in particolare, il compito di indicare una possibile via d’uscita dal disastro del mondo e all’artista, al musicista, quello di ricercare sempre una forza unificatrice: e si torna al concetto iniziale per il quale ”la forma sgorga dal suo contenuto di verità” che non è separabile dal suo divenire. Cosa che implica la forza di saper dire “addio”.

…..Stefano Vitale

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…..Note sull’Autore
…..Ernesto Napolitano è uno dei massimi musicologi italiani. Ha insegnato Fisica teorica presso la Facoltà di Scienze e successivamente Storia della musica moderna e contemporanea nel corso di laurea in Dams dell’Università di Torino.
…..Oltre a svariati saggi e articoli sulle opere di Mozart e su autori del Novecento, fra cui Mahler, Berg, Maderna, Xenakis, ha pubblicato insieme a Renato Musto “Una favola per la ragione. Miti e storia nel “Flauto magico” di Mozart” (Feltrinelli 1982), “Mozart. Verso il Requiem. Frammenti di felicità e di morte” (Einaudi 2004) e “Debussy, la bellezza e il Novecento” (EDT 2015)
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