“GIGLI A COLAZIONE” di Gianfranco Isetta
(Puntoacapo, Pasturana, 2018)

Il libro raccoglie dei testi che l’autore ha proposto ad amici e lettori al mattino, “all’ora di colazione, con la segreta ambizione di offrire verso puri e puliti come bianchi gigli in fiore”. Così scrive lo stesso Isetta in apertura. E lo stile, oltre che il contenuto dei testi rispecchia fedelmente questa intenzione. C’è come una corrispondenza coerente, un triangolo virtuoso tra l’approccio stilistico-letterario di Isetta, il mondo fragile, delicato, ma vero e vivo dei fiori (metaforici e reali) e la visione che egli lascia emergere della realtà. La chiave di lettura del libro sta, a mio avviso, nella sorpresa dello sguardo poetico, nella capacità di Isetta di sostare con leggerezza e lucidità sul confine, che spesso solo la poesia sa cogliere, tra pensiero ed emozione scatenata proprio dall’incontro tra il poeta stesso e le cose che lo circondano.
Poeta vero, Isetta si aggira tra gli oggetti, la natura, le persone sempre con la mente poetica in moto, attiva. Così con la mediazione di fini metafore ricche di levità, colore e sagacia sa fermare, come un nuovo Faust, la vita in transito, che si rinnova e rinasce, dunque, in forma nuova, poetica appunto, con la forza evocatrice della parole.

La poesia di Isetta è una riflessione improvvisa, una rifrazione di luce che sospende lo scorrere della vita dinnanzi allo sguardo affamato del poeta che rivela a noi lettori una nuova possibilità di esperienza della stessa realtà, una forma nuova sino ad allora nascosta dietro l’apparente evidenza delle cose. Isetta, fedele alla sua impostazione laica di lucreziana memoria, non segue un progetto generale che dall’esterno che può condizionare lo sguardo. Lascia, invece, che questo vaghi ovunque, cogliendo le cose così come si presentato, atomi casuali che si aggregano dando vita alla vita stessa e alla sua poesia. Isetta scrive poesia sincera che cerca e stabilisce un rapporto diretto tra le parole e le cose, tra ispirazione poetica e visione del mondo senza altre mediazioni se non quelle che derivano dalla letteratura. Non è una poesia che fa da specchio al reale, naturalmente. Tutt’altro: è poesia che coglie il mondo nel suo rapporto trasfigurante con la forza della parola. E’ la parola poetica che restituisce vita gli eventi.

Nei testi, è sintomatico, c’è sempre un ancoraggio, un punto di partenza, un attacco che rivela una posizione attiva del poeta, che mai si lascia sopraffare dal corse delle cose. Lo sguardo è fermo, attento, vigile. E’ come se il poeta cercasse attorno a sé l’attimo da cogliere per potergli dire “fermati! Sei bello”, sei quel che volevo fosse! La sua poesia dice “sì” al mondo, ma lo fa sempre con la calma disincantata del poeta che preferisce le atmosfere fatte di mezze luci, talvolta autunnali, invernali, mai tristi, certamente melanconiche, ma mai ripiegate su se stesse. Non è un poeta enfaticamente tormentato, non è un poeta che si abbandona a gioie chiassose, è un poeta dai colori tenui, un poeta che preferisce la voce sommessa, è un poeta che dipinge per così dire, con le parole, sentimenti, emozioni, pensieri.
Solide letture lo sostengono. So che ama Rilke, Celan, Montale, Caproni e si coglie in questa raccolta quanto abbiano agito sotterraneamente. Ma io ci ho ritrovato anche una linea di crepuscolarismo rivitalizzato da forme di impressionismo poetico consapevole. Ed ho pensato così alla poesia “pittorica” di De Pisis, ai temi esistenziali nascosti dietro le apparenti piccole cose di Sbarbaro, al disincanto ironico di Erba ed anche al lirismo (quello senza politica) di un Fortini. E’ nota la relazione elettiva che Isetta aveva con Barberi Squarotti (dedicatario della poesia che apre la raccolta) al quale lo lega la capacità metaforica oltre che il tono talvolta gnomico (“Guardati dalle premesse”), ma il verso di Isetta è per lo più breve, la descrizione è sempre economica finalizzata al salto finale, scrivendo poesie “ad imbuto” che corrono veloci verso una chiusa improvvisa (“Mistero autunnale”, “Nell’armadio”), che si beano della loro musicalità (“Rosa al vento”), che giocano sulla scambio simbolico tra elemento della realtà e riflessione (“Un lucido pensarsi”, “Cerca casa la luna” , “Quel vento…se allunghi una mano”). Colpisce sempre l’eleganza naturale del verso (“Siamo giunti da un cielo”) o la sua capacità di coinvolgere il lettore rivolgendosi a lui direttamente (“Neve”); altre volte la poesia è un colloquio con se stessi (“E viene l’inverno”, “Quel vento…che conclude”) come insegnava il Sereni de “Gli strumenti umani”; altre ancora il poeta valorizza il senso intrinseco del poetare stesso esprimendo la sua fiducia nella parola che esprime quel che nella vita quotidiana sfugge dicendolo con precisione e dolente verità (“Restava la parola”).
Domina nella sua poesia un sentimento della natura, non quella selvaggia e sublime dei romantici, ma quella domestica dei fiori, delle piante urbane e dei boschi vicini, il paesaggio è dolce, ma inquieto, crepuscolare appunto, sul quale risalta viva la parola essenziale del poeta. Siamo di fronte ad una lirica che supera ogni inutile questione sul rapporto tra emozione e pensiero, tra forma e contenuto, tra referenziali ed autoreferenzialità. La poesia di Gianfranco Isetta esce da questi ragionamenti di maniera ed è poesia senza altre elucubrazioni critiche.

Pertanto amiamo versi importanti, pieni di risonanze e di intelligenza come: “All’improvviso./sei colto da una quita/apprensione”; oppure “E si sente il profumo/ di qualcosa che avviene/ e si sfoglia discreto./ Un silenzio risplende/ sulle labbra del mondo”; “Amo le storie appese/ ai rimbalzi del cielo”; “E ci si aggrappa ai fiori/ per abbellire il mondo”;”… Sono le traiettorie/degli occhi ad indicare l’ingresso nella nuvole/che avanza già compiuta a risucchiarci piano”; ”Restava la parola/a presagirne il vuoto/che si colma, l’immagine/dell’acqua che si scioglie/forse raccolta invano /per un mancato perdono”.
E si potrebbe andare avanti a lungo cercando, come ci fa il poeta Isetta con la sua materia, il verso che ci colpisce, la metafora che ci stupisce. Ma sempre con leggerezza, con la lucida cura dell’artigiano della parola poetica che per cerchi concentrici disegna il mondo.

Stefano Vitale

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Note sull’Autore
Gianfranco Isetta è nato a Castelnuovo Scrivia (AL) il nel 1949. Ha iniziato a scrivere solo dall’inizio del 2000. Ha pubblicato: Sono versi sparsi (Joker, Novi Ligure2004),  Stat rosa (Puntoacapo, Novi Ligure 2008), entrambi i libri arricchiti da interventi di Giorgio Bárberi Squarotti.
E’ uscito nel 2011, sempre con la “Puntoacapo” di Novi Ligure, un terzo volume “INDIZI…forse” una raccolta antologica delle poesie pubblicate più una cinquantina di inediti, il tutto introdotto da un saggio critico di Luca Benassi.
È presente in varie antologie poetiche di rassegne nazionali di poesia ed ha vinto numerosi premi di poesia. Nel 2014 ha pubblicato “Paesaggi curvi. Poesia non euclidee (con prefazione di Alessandra Paganardi) e nel 2018 “Gigli a colazione” (prefazione di Ivan Fedeli) tutti per
Puntoacapo.

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