“Gli occhi non possono morire” di Giuseppe Manitta
(Italic, Ancona, 2018)

…..“Le sensazioni, le percezioni giungono a Giuseppe Manitta dal quotidiano, dal mondo che lo circonda. Ma si staccano dal fiume lutulento in cui siamo immersi e… vengono a galla e restano in sospensione col preannuncio di una scoperta, di una piccola rivelazione” (Corrado Calabrò, prefazione). Di che cosa si tratta? “Di qualcosa che guardavamo con gli occhi di ogni giorno senza veder. E’ questa la funzione della poesia: suscitare, evocare, proiettare qualcosa in una realtà “altra”: quella della memoria, del sogno, dell’aspettazione” (ibidem).

…..La poesia di Manitta è animata da desiderio di fermare l’attimo, il “fermati sei bello!” del Faust: salvare l’istante attraverso il verso, in un dasein di heideggeriana memoria rinnovato dalla forza della parola. Che raccoglie da terra gesti, frammenti, foglie solo apparentemente morte, ricordi e immagini dimenticate che la memoria recupera e riporta in vita. C’è nell’esperienza qualcosa che non è risolto. Qualcosa che chiede di essere ereditato e che può fare da orientamento per il futuro: è una “piccola” utopia quella della poesia che si fa necessità. Non tanto per struggersi nella nostalgia, quanto per riorganizzare lucidamente la propria vita sottraendo all’inesorabile scorrere del tempo i passaggi fondamentali che l’hanno caratterizzata. Abbiamo bisogno di identità, di punti fermi: non si tratta di idealizzare qualcosa che non c’è più, di trasfigurare le nostre pene in qualcosa di superiore e distante, ma occorre restituire integrità al vissuto. Così facendo, la poesia coglie la magia di un momento che appare comunque felice perché pacificato, perché salvato dall’oblio riservandoci una sorpresa che provoca emozione. L’emozione, a sua volta, non è un effimero stato d’animo, ma un modo dell’esserci cristallizzato per un attimo nello e dallo sguardo.

…..In tale senso il titolo della silloge è espressione di una poetica ben precisa: in una sorta di neoplatonismo poetico, la poesia trae dalla caverna dei ricordi, le immagini a cui non può rinunciare e che hanno determinato, nolens volens, la sua stessa forma e storia. Giuseppe Manitta, poi, segue il suo istinto poetico-letterario inventando, ovvero trovando immagini, metafore, passaggi e figure originali, in bilico tra tradizione e sorpresa espressiva dando dimostrazione di padronanza della lingua. Perché è la lingua che fa il poeta. E Manitta è bravo in questa direzione.

…..Ma Giuseppe Manitta è padrone anche dei riferimenti della tradizione poetica novecentesca e la sua poesia è intrisa di citazioni nascoste. Manitta con questa silloge fa i conti con questa cultura poetica e Pietro Russo lo ha ben indicato nel suo articolo sull’Estro Verso del 4 gennaio 202° dove scrive: “Questa ragnatela di cripto-citazioni, rimandi, suggestioni, rovesciamenti ironici chiama dunque in causa una sfilza di auctores che, nel sistema poetico di Manitta, sono gli alfieri di una classicità mitica, o per meglio dire di un tempo eroico che si differenzia per via negativa da quello attuale. L’incontro tra il soggetto poetico e la realtà che egli si trova a vivere si configura pertanto come un attrito, come l’impossibilità di una sintesi «tra le frasche e la spazzatura» (58); esso avviene, in altre parole, sotto il segno della perdita di tutta una costellazione di riferimento attraverso cui leggere e filtrare il tempo che ci è toccato in sorte.

…..Manitta sa benissimo che la poesia contemporanea non lascia molto spazio alla poesia “alta”. E che la poesia ha preso altre strade. Il suo tentativo è di non perdere i propri riferimenti “classici” pur nella consapevolezza che essi sono in parte “naufragati”. Ma non c’è aria di restaurazione nei suoi versi, c’è la volontà di cogliere le trasformazioni e di esprimere con un linguaggio adeguato questi passaggi. Non c’è disperazione o nostalgia, ma c’è la necessaria malinconia che lascia trapassare la consapevolezza della fine di un tempo, di uno status esistenziale e storico più ampio. Manitta sa esprimere il disincanto e l’incanto retroattivo di questa condizione.

…..Come ha scritto sempre Pietro Russo: “Che l’aureola della poesia è caduta nel fango lo sappiamo già dai tempi di Baudelaire. E forse ci abbiamo messo anche troppo per capire che nessuna aureola e nessun alloro fanno la poesia: semmai è il passo cadenzato di un camminatore, di un flâneur «solo et pensoso» che, a un certo punto, si accorge che attorno a sé accade uno spettacolo di portentosa ferialità. Potrebbe, il camminatore in questione, semplicemente lasciarselo scivolare addosso tale spettacolo, che è ciò facciamo per la maggior parte del tempo; se non si verificasse, di frequente, il caso per cui questo passante avverte con forza il desiderio di lasciarsi attraversare dalla realtà circostante, anzi di farsi trafiggere da essa per poterla tenere il più a lungo possibile presso di sé. Solitamente, quando ciò accade, il passaggio dalla visione alla parola è imminente. A patto però che gli occhi del passante siano sempre accesi, perennemente disposti a lasciarsi stupire da quello che si pone loro davanti; cioè, in altre parole, che essi sappiano accogliere e rilanciare di rimando la vita”.

…..Manitta predilige il verso breve, che si esprime in lampi di immaginazione e di concretezza al tempo stesso, in una felice combinazione strutturale. Le immagini sorgono quasi spontanee evocando sensazioni e situazioni in una sorta di sinestesia continua. La sua poesia ha il calore e la giusta esuberanza che ricorda direttamente la sua terra, la Sicilia, molto presente nei suoi versi, ma non come semplice sfondo o scenario, quanto come forma dell’anima e della mente. L’ambiente mediterraneo è presente con i suoi elementi specifici, con alcuni riferimenti toponomastici, ma soprattutto è presente come esprit, come forza della parola che spazia in tutte le direzioni pur restando, paradossalmente, sull’orlo del non detto, dell’allusivo, dell’altrove sempre convocato e rievocato.

…..Stefano Vitale

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Whitmann ha perso le foglie
ha bruciato cieli di carta
per le strade.
L’upupa è sotto gli archi
e il muschio chiede silenzio.
Distante, la bambina blu
seduta sotto la quercia,

“Non bere dal pozzo,
l’acqua è sporca di ricordi,
le folaghe sono morte,
non parlano più di ombre,
ma gitano le ali,
per salutare la neve”.

E’ inverno.
La luna
cade dalle gocce dell’alloro,
parla di sorrisi
e osserva.
La bambina blu è fuggita.
Non tornerà più.

***

Quando il gelo rompe il grano
gli asterischi delle zagare
disegnano la terra a frammenti.
Della sera,
la terra conosce solo i grilli,
l’alito dei pastori,
le ossa delle ginestre.

Noi raccogliamo spine
vestire di raso,
ma la terra scorre nel petto,
nell’acqua chiusa e fragile
di bambini scavati dalle rughe.

***

E’ un grumo di polvere
la notte
e le prostitute al caldo
dei copertoni.
La siepe nasconde le luci
e seni più tondi della luna.
Non si legge più
l’epigrafe all’angolo,
ma solo i naufragi.

***

Aretusa ha perso gli steli
alla fonte di petrolio.
L’aria di uova marce
e le membra molli,
d’Alfeo più nulla.
Non si sentono i grilli sul Ciane
Re il tempo ha sciolto
anche la melma dei papiri.
Le membra voluttuose
sono, ora,
fumi di ciminiera.
Le labbra chiuse
Pozze di benzene.

***

Siamo tornati
nell’utero
dove tutto è uguale
e abbiamo bevuto
sperando di ricordare
noi stessi.

***

Gli occhi non possono morire
amando la sera che manca,
non si sentono più
gli abbagli e le finzioni
e l’aria che cade a frammenti.
Il naufragio si è compiuto.

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…..Note sull’Autore
…..Giuseppe Manitta è autore di alcuni studi di italianistica. Ha curato i volumi Carducci Contemporaneo (2012) e Boccaccio e la Sicilia (2015, 20162), inoltre si è occupato del petrarchismo cinquecentesco di Antonio Filoteo Omodei.
…..Tra le pubblicazioni principali si ricordano: A partire da Boccaccio (Mursia, 2005, 20107); Noi e il mondo. La novella italiana da Pirandello a Calvino (Mursia, 2007, 2012); Giacomo Leopardi. Percorsi critici e bibliografici (1998-2003) (Il Convivio, 2009); Giacomo Leopardi. Percorsi critici e bibliografici (2004-2008). Con appendice (2009-2012) (Il Convivio, 2015, 20172); Mihai Eminescu e la «letteratura italiana» (Il Convivio, 2017).
…..Ha tenuto conferenze in diverse università italiane e straniere. È caporedattore della rivista “Il Convivio” e collabora, inoltre, a varie riviste specialistiche, tra le quali “La Rassegna della Letteratura Italiana”, “OBLIO”, “Zibaldone. Estudios Italianos”. Cura la bibliografia leopardiana del “Laboratorio Leopardi” dell’Università La Sapienza di Roma.
…..Di poesia ha pubblicato “L’ultimo canto dell’upupa” (2011, con premessa di Giorgio Barberi Squarotti e introduzione di Carmine Chiodo) e “Il giullare del tempo” (2013, con prefazione di Francesco D’Episcopo). Il suo ultimo libro di poesie è “L’etica dell’Acqua” (2021) Avagliano Editore.

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