“Gymnopedie” di Michele Bordoni
(Italic, Ancona 2018)

ESERCIZI POETICI: TRA DOLORE E BELLEZZA

…..Michele Bordoni è un giovane poeta marchigiano: Gymnopedie è la sua opera prima che ha già ricevuto un premio al prestigioso “Premio Gozzano” nel 2019. In quella edizione anche la sua silloge inedita “Finissage” è stata premiata, sempre col primo premio, e questa era la motivazione:
La poesia di Bordoni si costruisce sapientemente attorno a diversi piani di scrittura e di senso… Questa felice dimensione anfibia la si rileva anche nel linguaggio che sa dosare con equilibrio la dimensione alta della poesia e con quella della parola quotidiana, cosa che produce comunque un effetto coerente e denso di significati. Colpisce la capacità del poeta di sorprendere con le sue metafore, di alternare citazioni poetiche consapevoli, mostrando uno sfondo letterario importante, con versi originali e carichi di risonanze significanti e avvolgenti. La lettura di queste poesie è straniante e al tempo stesso fortemente radicata nel cuore dell’esperienza umana del vivere, dell’essere chiamati ad aprire “la prigione di questa imperfezione che ci stringe”.

…..Questi elementi si ritrovano, in gran parte, nella prima raccolta edita che ora presentiamo. I modelli alti a cui si fa rifermento qui sono tanti, ma direi che prima di tutto vi sono Rainer Maria Rilke e Mario Luzi. Al primo Bordoni sembra richiamarsi per la cura della forma (l’endecasillabo domina pressoché incontrastato) e per una visione dolente dell’esistenza riversata a piene mani in queste poesie. Al tempo stesso quest’aspetto si media con la ricerca di una bellezza che consola, che apre a mondi altri, come quello della musica al quale Bordone fa continuamente riferimento.
Ma qui interviene l’altro nume: Mario Luzi. E’ nella parola, nella poesia, che si può trovare veramente pace. Non perché si possa dire la “parola definitiva”, ma perché è nella parola che si fa forma e nella forma che dà voce alla parola che l’uomo-poeta può trovare un senso che lo possa mettere al riparo dal dolore, dagli accidenti dell’esistenza. Anche a costo della consapevolezza dell’impossibilità del dire, del silenzio. Non è un caso se sulla copertina del libro è raffigurato un “Angelo smemorato” di Paul Klee. In Mario Luzi ciò si sposava col senso religioso della vita, con una lotta continua tra umano e divino (che nell’ultimo Luzi pende decisamente dal lato umano, esistenziale); in Bordoni la consapevolezza della nudità dell’esperienza è connotata laicamente e la trascendenza non interviene se non nella forma della poesia stessa. E’ la poesia, intensa come forma dell’espressione, come forza della cultura e della vita che tiene a galla, che lava la mente, direbbe appunto Luzi.

…..Gymnopedie ha un chiaro riferimento a Erik Satie e la stessa struttura della silloge richiama ai dei movimenti musicali (Lent et douloureux –Lent et triste – Lent et grave sono i titoli delle sezioni di questo libro ), così come detto, molti sono i richiami espliciti (troviamo titoli quali: Concerto BWV 974 – Bouree – Arabesque), le analogie e le metafore musicali che guidano il passo poetico di Bordoni. Ma Gymnopedie è sostanzialmente esercizio, proprio nel senso degli esercizi spirituali, forma di autoriflessione, di analisi, di ricerca di concentrazione. Esercizi per resistere al dolore: questa è la poesia per Bordoni. Per resistere al dolore del torto (subito o provocato, poco importa). La parola salva dal dolore, ma ci vuole esercizio, concentrazione, studio, sforzo: la fatica del vivere direbbe Giorgio Caproni, chiama a raccolta le nostre forze, e la poesia è una di queste.

…..Le poesie di Bordoni esprimono così la “soggettività”, la sofferenza dell’esistenza, ma questo dolore si placa proprio nell’esercizio della forma poetica: “Ha tutta la tua voce quest’assenza/di base e fondamento, /dolore confermato in un dolore/più grande, universale”. Talvolta i passaggi sono un po’ ridondanti, a volte Michele Bordoni può sembrare un po’ compiacersi del controllo che sa esercitare sui lemmi, le frasi, le immagini, ma è proprio questa “padronanza”, questa metrise che affascina. Il controllo dello strumento letterario è sempre un vantaggio e su questo Bordone costruisce i suoi versi che sono “belli” proprio nel senso estetico del termine. Fare poesia è una delle cose più inutili della vita (una causa persa direbbe Philip Roth) ma assolutamente necessaria alla qualità della vita, specie se, appunto, si vuole vederla come antidoto al dolore: “Forse dice questo, che non c’è luogo/alcuno per stare/ se non l’esilità della parola/il suo fuoco mite”.

…..Michele Bordoni ha ben chiaro i limiti dell’arte: ma è proprio su questa fragilità che si fonda la forza della letteratura, nella consapevolezza del suo ruolo, delle sue “armi”: “Non aspettarsi nulla dalla penna./Questo è il fare segreto della pagina,/ l’imprevisto stupore d’una traccia/dimenticate dentro le giornate,/la consapevolezza di un ritorno/ al rovello irrisolto della sera”.

…..Tutta la raccolta cerca come di aprire un varco, di trovare una via che permetta al poeta di illuminare il suo cammino attraverso e verso nuovi territori, di uscire da situazioni difficili, da momenti complicati: c’è un forte desiderio di equilibrio in questi versi, una voglia di autenticità (tipica di molta poesia contemporanea, una sorta di “spirito del tempo”) che però qui non si cerca, e né si trova nell’etica o nella conoscenza, bensì nell’estetica, nell’arte: “Resistere ed avere un’eleganza/ che sia preghiera e perimetro di voce,/la fioritura nell’apnea del canto/”.

…..Musica, parola, poesia, suono, ritmo, forma sono questi i canoni ai quali si affida Bordoni. Ma attenzione, non immaginatevi una poesia “vuota”, estetizzante. Michele Bordone è autentico egli stesso: quel che scrive lo sente, non si atteggia, ma esprime. La sua poesia ha alcune parole chiave: assenza, perduto, distacco, ricordo, congedo, lascito… una poesia lirica, che si sofferma ad accarezzare occasioni mancate, amori finiti, affetti lontani o perduti: una poesia della lontananza, direbbe Antonio Prete, una poesia che cerca una cura, che si fa cura che, come spiegava Heidegger, è sinonimo di inquietudine: “E’ qui che si urgente e necessaria/ la parola, quand’è la sua impotenza/ a farsi indispensabile/ ed il gesto”.

…..In Michele Bordoni il lamento non prende piede, non siamo davanti a testi noiosamente e banalmente “sofferti”, solipsistici, autoreferenziali. Qui la poesia affronta, talvolta con passaggi persino classicisti, l’intreccio dei sentimenti e lo fa con la consapevolezza che solo una organizzazione del “pensiero” (in questo caso poetico) può trasformare l’esperienza in qualcosa di autenticamente comunicabile. La letteratura è questo gioco di maschere che permette un distanziamento, che crea una difesa nello stesso istante in cui mette difronte alle cose: “Sapere che è salvezza/ questa maschera tiene in vita il gioco, /ci apre ad un destino di gesti donati/al fermento di una vista superficie/che non nasconde il fondo, lo promette”. E’ questa fiducia nella letteratura che affascina nella poesia di Bordoni.

…..Dicevamo del “classicismo” di questi versi e dei riferimenti “alti”: basti citare incipit quali “sempre bianca rimane questa riva”, oppure “seguivo sulla sabbia le tue impronte/rimaste a raccontare il tuo passaggio”, o ancora: “Misuravo il tormento delle ore” – “Noi non abiteremo mai più questa terra” – “Vorrei che la parola decadesse/ebbra di pienezza nel crepuscolo”. Forti dunque le risonanze, ma Bodoni a bravo a tessere la sua tela poetica cercando un varco originale: “Mi cerco fra le pagine degli altri /quasi fosse un’amara vocazione/ la tentazione di non appartenersi”.

…..Egli è consapevole della propria poetica: riprendiamo “Vorrei che la parola decadesse/ebbra di pienezza nel crepuscolo/ dell’espressione, quando è sufficiente/ la linea, essenziale”. O il silenzio. Oppure laddove scrive: “Non spero più che queste unici sillabe/in cui ripeto le forme del tuo abisso,/non pero una risposta se non nella caduta./Ma il riscatto è al di là di questa attesa./Resta quel che i tace/ ad insegnare/l’impossibilità del dire e del restare”. Risonanze luziane appunto, rielaborate con eleganza. In questa raccolta c’è spazio poi per riferimenti agli affetti familiari: amori perduti, il padre, la madre, la famiglia in un “andirivieni d’anime di rondini” senza la paura di usare parole come “nostalgia” che non assumono in questo contesto una veste retorica, ma semplicemente sono necessarie: “…e il ricordo di te inchiodata a un nome/diventa voce senza più parole”.

…..Si diceva della importanza della musica per Bordoni: la ritroviamo, come detto, la nei titoli, nell’ispirazione, nella costruzione del verso, nelle metafore: “tentiamo di risponderci l’un l’altro/ di accordarci a un’impronta di suono/ graffiato su pareti di silenzio”. Oppure leggiamo. “C’è in ogni nota la disperazione/ della radice, lo scavo, il mestiere/ di abitare le pagine. / la musica consola e dà conforto/ o forse la misura irreparabile / del vuoto dietro la diteggiature”. O ancora: “La vita disaccorda gli strumenti,/falsifica le pause e gli intermezzi,/richieste che si vada fuori tempo/ pur di concludere esatta la strofa”.
Ma la musica non è solo un veicolo per la poesia: la musica, per Bordoni è una delle forme autentiche del vivere, lo spazio-tempo privilegiato dell’interiorità e della comunicazione, l’ambito dell’esperienza in cui l’esercizio è tutto, in cui la “parola” si manifesta nella sua forma più alta. La poesia le sta accanto in un dialogo continuo, come in una sonata infinita.

…..E’ questa capacita di intrecciare i piani del discorso poetico, di procedere per analogie e successive immagini, questa abilità nello spostare il focus dell’attenzione ai diversi registri dell’esistenza e dell’arte che fanno di questa poesia una poesia interessante e ricca.
Vale la pensa di rileggere tutta una delle ultime poesie della raccolta (pag., 63) in cui autobiografismo e poetica dell’autore si esprimono con chiarezza:

Io non so affatto la sincerità
dei gesti antichi, ereditati
nel chiarore del sangue, fra le pause
interminabili dei libri.
E’ stata, la mia, una corsa frenetica
all’ammutolimento della carne,
colare l’esistenza in una forma
elegante – lo ammetto – più vicina
al cuore che si nega che all’abbraccio.
Forse è questa la letteratura
che speravo, il silenzio della voce
ridonato alla sua calligrafia.

O forse era lo scricchiolio di tendini,
d’accenni, la garbata umanità
che si vuole nascondere in silenzio
nella voce…

Perché in realtà parlare veramente
con tutto il corpo dentro un puro suono
è altra cosa, un’umiltà do incontri,
di sguardi muti, di gesti, di mani.

…..Stefano Vitale

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…..Note sull’Autore
Michele Bordoni (Civitanova Marche, 1993) si laurea nel 2015 nell’ateneo patavino con una tesi su Rainer Maria Rilke e nel 2017 con uno studio sulla poesia di Mario Luzi.
È attualmente dottorando di ricerca presso l’Università di Padova, dove studia la relazione fra pensiero linguistico e poetico di Vico e la cultura visuale del Rinascimento e del Barocco.
Collabora con le riviste “Midnight” e Nuova Ciminier”.
Gynopedie è la sua opera prima (2019).

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