“I concerti di Beethoven. Il genio da pianista a compositore” di Giorgio Pestelli
(Donzelli Editore, 2020, pag. 149)

…..Giorgio Pestelli è uno dei più noti storici della musica e critico di grande profondità e competenza, che ha una dote importante: la chiarezza. Pestelli è probabilmente uno dei musicologi più bravi nella divulgazione delle sue conoscenze. La sua scrittura, la costruzione del discorso, la cura competente per la terminologia, il corredo informativo sostenuto da una leggerezza narrativa talvolta ironica, fa del suo libro una sorta di unicum nel suo genere.
Insomma, ci ripetiamo e non finiremo mai di ringraziare il Maestro Giorgio Pestelli per la sua infaticabile opera di diffusione della cultura musicale. Ogni suo libro ci ri-apre un mondo. E, nell’anno beethoveniano, Pestelli ci guida tra i cinque concerti per pianoforte, quello per violino e il Triplo concerto per violino, violoncello e pianoforte.
L’impostazione è sempre quella della guida all’ascolto, fruibile sia da parte del lettore non professionista, sia del lettore esperto e musicalmente preparato. Come già accaduto per il libro dedicato alle Nove Sinfonie (2016- 2020), Pestelli inquadra Beethoven e le sue composizioni nel relativo sfondo storico e sociale, ponendo l’accento, in questo caso, soprattutto sull’ambiente musicale e culturale del tempo, sui mutamenti del gusto e dei contesti musicali, sulle trasformazioni della figura del pianista e del compositore oltre che sull’evoluzione interiore ed artistica del genio beethoveniano.

…..In questa direzione è fondamentale la riflessione che mette a confronto gli ultimi concerti per pianoforte di Mozart e le composizioni Beethoven e l’evoluzione del concerto per strumento solista in genere. Il solista era un “corpo estraneo” che creava una sorta di “impurità” nello sviluppo della “forma sonata” che, come è noto, si snoda attraverso tre fasi: “esposizione – sviluppo- ripresa”. Essa appare come un “gioiello di simmetria”, costruito per mezzo di opposizioni interne, collegamenti, variazioni tutte all’interno dello “stesso corpo sonoro”.
La presenza del solista creava una bipolarità (solista-orchestra) che riapriva i giochi. Il solista esigeva il suo spazio anche perché la sua presenza era comunque il frutto di una novità: la diffusione della musica ad un pubblico borghese più vasto e la presenza di musicisti che si guadagnavano da vivere con la propria musica. I tempi di Haydn erano finiti. Pestelli ci spiega che “solo Mozart e Beethoven prendono coscienza del dissidio fra solista e orchestra e lo risolvono in unità di visuale e di concepimento; la soluzione viene dall’esterno, cioè facendo leva sulla impurità, sul corpo estraneo, che viene a patti con la simmetria della forma sonata” (pag.7).
Altro aspetto interessante, utile per comprendere la struttura compositiva dei concerti di Beethoven, è, come anticipato, “l’aspetto pubblico, esecutivo, nel concerto solistico”. Il solista deve poter apparire, avere spazio e tempo a disposizione, deve poter dire la sua di fronte al collettivo dell’orchestra. Non gli basta più dimostrare la sua abilità, il suo virtuosismo, cose che restano ovviamente presenti e necessarie, ma deve poter incidere nella composizione stessa. Pestelli ci spiega, con parole chiare, la funzione della “cadenza” e il rinnovato rapporto tra “soli e tutti”: se si deve dialogare, lo si deve fare ascoltandosi davvero. Pestelli è attento poi a farci cogliere anche un altro aspetto: in quegli anni si assisteva ad un progresso “tecnologico”. Infatti si era ormai passati dal clavicembalo (strumento a corde) al fortepiano ed ora al pianoforte “moderno”.
Fu Bartolomeo Cristofori nel 1711 “liutaio, accordatore, conservatore di strumenti musicali di Ferdinando de’Medici” a lanciare sul mercato, per così dire, “l’invenzione del “gravi cembalo con piano e col forte” detto anche “pianoforte a martelli” che rivoluzionò la prassi compositiva ed esecutiva degli strumenti a tastiera, sino ad arrivare al 1761, anno in cui fu fondata la fabbrica scozzese di pianoforti Broadwood. La fine del Settecento conosce quindi la nascita e la rapida affermazione di un nuovo modo di suonare, un modo in cui la pressione del tasto crea nuove sonorità e nuove sfide esecutive e compositive cui Beethoven, da genio qual era, non si sottrae.

…..Si aggiunga poi che molto spesso, e Beethoven è uno di questi casi, il solista poteva essere sia interprete che compositore: e allora non era detto che l’autore non potesse cambiare qualcosa ad ogni successiva esecuzione. Non a caso i primi due concerti per pianoforte (op. 15 e op. 19) Beethoven “li tenne con sé per una decina d’anni senza stamparli”: il concerto era ancora una forma “aperta, disponibile, dall’apparenza mutevole”, anche a seconda delle esecuzioni. Una forma, quella del concerto, che occupa nella carriera compositiva di Beethoven un arco di tempo breve: la prima stesura dell’op. 19 (che è in effetti il primo dei concerti per pianoforte) è del 1790, poi Beethoven fa il suo esordio a Vienna nel 1795 con l’op. 15 che viene poi pubblicata nel marzo 1801 precedendo di qualche mese la pubblicazione dell’op. 19. Il Quinto concerto, ultimo della serie, venne poi stampato nel 1811. Vent’anni circa in tutto, dieci se si considerano le date di pubblicazione. Un tempo breve, in cui Beethoven compose alcune pietre miliari della storia della musica.

…..Giorgio Pestelli, con puntuale leggerezza ed elegante competenza, ci guida attraverso questi capolavori. Pestelli si sofferma certamente su alcune precisazioni di carattere esecutivo e strettamente musicologico legate alla partitura, che possono risultare di non immediata comprensione, ma ciò nulla toglie al fatto che il libro diventi immediatamente un utile e piacevole compagno di viaggio per il lettore-ascoltatore, che può così comprendere agevolmente i piccoli e grandi segreti delle composizioni di Beethoven. La bravura di Giorgio Pestelli sta proprio nel rendere visibile la musica con la sua prosa: dote rara, propria di chi sa coniugare stile e sostanza, competenza musicale e proprietà di linguaggio.

…..Il libro segue la successione dei concerti per pianoforte. Avvincente seguire gli intrecci tra il Primo e il Secondo concerto risolti nello splendore del Terzo Concerto, come una sorta di passaggio verso la maturità e la consapevolezza della forma, dello stile, della cifra beethoveniana; magnifiche le pagine dedicate al Quarto Concerto per pianoforte, scritto ai tempi della Quinta Sinfonia: concerto magico, enigmatico, modernissimo che sa fondere “necessità e casualità”, “fantasticante” che si apre a sorpresa: “il sipario si è alzato prima del tempo? il solista era ancora lì al pianoforte, a provare un accordo prima che entrasse il pubblico? Nessun concerto era mai incominciato così” (pag.94-95).
Come è noto il Quarto concerto si apre con il piano solo che introduce e presenta il tema (quattordici battute di cui le prime cinque di piano solista): una premessa insolita, un sorta di abbrivio verso il mare aperto della musica che verrà. Illuminante poi il confronto – parallelismo tra questo concerto e la sinfonia “Incompiuta” di Franz Schubert: due compositori distanti per molti aspetti che, al di là di tutto, trovano un legame proprio nella “semplicità disarmante” di certi passaggi e scenari timbrici.

…..Pestelli si sofferma sul magnifico Concerto per violino in Re maggiore op. 61 che con il suo intimismo espressivo di “natura eminentemente cantabile” (pag. 115) rappresenta un paradigma del suo genere. Esso ha ispirato e condizionato tutti i successivi compositori che abbiano voluto cimentarsi nella scrittura di un concerto per violino. Pestelli non sottovaluta, come purtroppo hanno fatto altri critici, il bellissimo Triplo Concerto in Do maggiore op. 56, concerto che supera la misura e la forma del “concertante” trattando i tre strumenti come “tre solisti distinti” (pag. 83), cosa che fa sì che il concerto abbondi di “idee tematiche” proponendo “una massa strabocchevole di figure disparate” che danno fantasia ed originalità a quest’opera che per essere eseguita necessita di una formazione in Trio affiatata e di alto livello, specie per la parte del violoncello.

…..Il libro-viaggio si conclude con il sommo Concerto “Imperatore” n° 5 in Mi bemolle maggiore op. 73. Esso è “un riassunto del concerto pianistico beethoveniano” (pag. 128-129)… “è il frutto dell’azione svolta da “corpo estraneo” al sinfonismo puro, cioè dalla presenza del pianoforte, il Solo, la controfigura dell’Io, cui l’orchestra cede il passo per poetici indugi di parnassiana dolcezza” (pag. 129). C’è un’azione “poetico-taumaturgica che dà senso” a quest’opera che pure è aggressiva, potente, sicura di sé. C’è in questa composizione una “frattura fra monumentalità e intimismo psicologico” dice Pestelli, che “non costituisce una crisi”, ma “diventa una molla per adire una sintesi diversa e più alta” che ritroveremo nell’ultimo stile compositivo di Beethoven. (cfr. pag. 129). Beethoven qui anticipa se stesso, ma anche compositori come Brahms e Mahler che, con le dovute differenze, faranno i conti proprio con questa “dialettica” tra grande architettura sonora e intimità espressiva, tra scenari aperti e piccole luci interiori.

…..Come quelle che l’ascolto di questa musica, accompagnata dalle parole di Giorgio Pestelli, possono accendere in ciascuno di noi. Anche in chi non è mai entrato in una sala da concerto e a cui, ne sono certo, la musica di Beethoven non potrà non toccare corde profonde e inattese.
…..Questo libro è prezioso anche per questo: perché esprime una passione, un amore per la musica di cui siamo grati al suo autore.

…..Stefano Vitale

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…..Note sull’Autore
Giorgio Pestelli (1938) ha insegnato Storia della Musica nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino e di Genova. Figlio dello scrittore Leo Pestelli e nipote del compositore Luigi Perrachio, ha sempre cercato di meditare i significati della musica in rapporto agli altri linguaggi espressivi.
Ha pubblicato studi sulla musica del Settecento e sul periodo classico e romantico (L’età di Mozart e Beethoven, 1979; Beethoven, 1988); ha edito le Sonate di G. B. Platti (1978 e 1986) e si è occupato di storia dell’opera e di storia della critica musicale. Tiene regolarmente cicli di conversazione radiofoniche e collabora da oltre trent’anni con il quotidiano «La Stampa»; dal 1982 al 1985 è stato Direttore Artistico dell’Orchestra Sinfonica della Rai di Torino.
Per Einaudi ha pubblicato Canti del destino. Studi su Brahms («Saggi», Premio Viareggio 2001) e Gli immortali (Einaudi Tascabili, 2004). Per Donzelli ha pubblicato nel 2016 il libro “Il genio di Beethoven. Viaggio attraverso le Nove Sinfonie” (ed. aumentata nel 2020) e nel 2018 “L’Anello di Wagner. Musica e racconto nella tetralogia dei nibelunghi”.

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