“Il punto di vista della cassiera” di Luisa Pianzola
(Lietocolle, Faloppio (Como), 2020)

…..Torna Luisa Pianzola con un nuovo libro. E si conferma autrice perfettamente consapevole dei propri mezzi espressivi e del proprio linguaggio poetico. Come già nel suo precedente “Una specie di abisso portatile” (2015), Pianzola propone una poesia tesa, da un lato, ad un interrogarsi rigoroso sulla memoria e sul presente e, dall’altro lato, attenta alle dimensioni dell’esperienza individuale. E lo fa con un linguaggio diretto, apparentemente semplice, ma assolutamente carico di risonanze e visioni. In queste poesie l’occhio poetico “perlustra il passato con una voluttà di dolore, di sapere, mentre il presente si oscura, ai suoi piedi” come ha detto bene Angelo Lumelli in una recente presentazione del libro. E sempre Lumelli acutamente ha notato che questo libro tratta di “temi gravi, di vasta portata, senza mitigazioni”…“tuttavia una grazia è sempre in agguato, un cenno preso al volo, l’incalcolabile valore della perdita, che forse ci protegge, come in questo verso tra i più belli del libro: “un vuoto circonflesso/ che riconosce il suo dio in una piccola mano.” (pag.50)».

…..Dicevamo dell’equilibrio, precario, tra sguardo intriso di memoria e attenzione rigorosa per il presente e da qui verso il mondo dell’esperienza individuale. La prima sezione non caso ha per titolo “Il tempo è un servo silenzioso” e il tema principale, che per altro attraversa tutto il libro, è quello del dolore, quello personale che s’intreccia con quello della contemporaneità. Non a caso la poesia d’apertura (e poi parte delle poesie successive che svolgono, per così dire, il tema sotto vari aspetti) è dedicata alla strage del Bataclan a Parigi in una sorta di rimbalzo emotivo e cognitivo tra l’essere materialmente lontani dal dramma e viverlo comunque come destino che ci riguarda. Ma attenzione: il dolore degli altri può essere qualcosa di enigmatico, di ambiguo, qualcosa che può coinvolgerci, ma che resta lontano pur, magari, intrecciandosi con le nostre pene.
Queste dinamiche partecipative e al tempo stesso di presa di distanza protettiva, ci vengono indicate da Pianzola con voce ferma, fredda, antiretorica eppure capace di un grande impatto emotivo. E’ questa una delle cifre più evidenti della poesia di Luisa Pianzola. In questo caso, ad esempio, il linguaggio, con il suo tono distaccato e lucido, fa sì che, quando è il momento, la “cognizione del dolore” renda il dolore stesso tanto più forte e grande da non poter più nemmeno essere “provato” nei termini e nei modi esteriori cui siamo abituati. Il dolore può essere vissuto o condiviso, ma la poesia ci dice che il punto più alto del dolore si esprime in modo “indiretto”, in una sorta di anestesia poetica necessaria per sopportarlo. E così il dolore può ri-emergere ancora più forte e far così male che ci lascia muti.

…..La scrittura di Pianzola è di grande impatto emotivo proprio perché non si lascia andare a facili sentimentalismi. E’ una lirica sicura la sua, che supera l’uragano delle situazioni; è una lingua che scolpisce i versi sulla pagina con rigore e misura. C’è una luminosa melanconia del pensiero in questi versi che cercano così uno spazio nuovo di osservazione della realtà: la parola si fa sasso, pietra dura e aguzza che fissa il senso delle cose stabilendo ogni volta dei punti fermi di non ritorno.

…..Luisa Pianzola ci dice “combatto con armi dolenti e fortissime” (pag. 24) perché “la vera parola è l’impegno a celebrare/ancora e ancora un mondo senza giudici,/ senza pentimenti” (pag. 25). Visione laica, dunque, libera dal peso di ogni moralismo, conscia che siamo sempre in qualche modo in lotta con la storia e col destino. E con noi stessi: “credo cieca la traiettoria del proiettile/ che pure qualcuno ha in serbo per me” pag. 22) eppure “resto quella che non crolla/ ma nemmeno sale passo passo” (pag. 20).

…..E’ l’imprevisto e imprevedibile che dobbiamo considerare perché “Il tempo è un servo silenzioso/che consegna la comanda con lentezza/ ma al punto di arrivare svolta all’improvviso/ e tu non sai più di che ti piaceva saziarti” (pag. 17). Ma non si pensi al classico nichilismo rinunciatario e senza nerbo, perché Pianzola sa che la sorpresa ha tanti risvolti: “Ti ho ritrovata, cara vita/ e non ti cerco, ma ti somiglio” (pag. 16). Versi, questi, dal tratto neo-stoico, pur libero da ogni possibile trascendenza, sono consapevoli che la vita non va cercata, inseguita, scimmiottata. Alla vita dobbiamo sforzarsi di assomigliare, in quanto esseri sorpresi e sorprendenti, capaci di leggerezza anche nel dolore e rimanere un essere “affamato di partenze, anche false” (pag. 23).

…..Il punto di vista della cassiera” è la seconda sezione che dà il tiolo al libro. La protagonista è una figura reale, persino banale: la cassiera di un supermercato, appunto. I suoi libri spesso ospitano personaggi marginali, quotidiani che tuttavia divengono esseri metafisici, filosofici, in grado di sollecitare riflessioni, inquietudini. Ma attenzione, si resta sempre e comunque coi piedi per terra: Pianzola non sfrutta, per così dire, l’occasione per elucubrazioni astratte. Lei resta sul terreno della realtà, del pensiero che si fa materia e a proposito della cassiera dice: “Lei è potente in ogni istante/ perché niente può ferirla./ Lei è la cassiera sorridente” (pag. 29). La cassiera è una figura reale e metaforica al tempo stesso, è una proiezione del nostro desiderio di veleggiare “al di là del tornello”, di raggiungere un sereno distacco dai conflitti del mondo: “il suo tempo non somiglia al nostro/ non ha nulla di fisico” (pag. 30).
Qui si torna al tema del “distacco” dal dolore, dai conflitti che mi pare dominante in questa nuova raccolta. E il distacco ha anche una sua dimensione “sociale”: Pianzola ci dice infatti anche dell’alienazione dell’essere noi tutti, come la cassiera, un piccolo ingranaggio dell’universo in cui “
la merce scorre regolare timbrata amorevole/ sotto il suo gesto materno” (pag. 31). Fatto che lungi dal precipitarci dentro la disperazione, ci permette invece di risalire dall’abisso della presunzione, come da quelli dell’eterna insoddisfazione. Luisa Pianzola segue questo filo, senza retorica, senza enfatizzare inutilmente il verso lirico.

…..In “Piano sequenza”, come ha ancora notato Angelo Lumelli: “L’invisibile preme contro l’apparire e mette in questione il suo significato, ricacciandolo indietro, oscurato: “…/ Nell’auto scura/ pare non ci sia nessuno e invece/ una mano che cambia, una nuca piccina.” La suspense porta a una conclusione straordinaria: “la mano scala le marce, la macchina procede lentamente “… senza futuro/ se non un profitto di conoscenza” (pag. 32). La descrizione di eventi apparentemente insignificanti non è mai casuale: essa ci racconta una condizione storica ed esistenziale. Talvolta siamo in balia di ciò che vediamo, di eventi cui assistiamo senza poter intervenire, talvolta siamo indifferenti, altre volte siamo presi da un sussulto, ma “vedere … non basta” (pag. 35). Che cosa ci può aiutare? “Un saltino di gioia inespressa/tenuta dentro soverchiata da un malanno/ è pane per la salute, sangue leggero” (pag. 36). Il poeta non ha soluzioni, il poeta registra gli eventi con la sua parola “il suo disfacimento in piaceri e sentimenti” (pag. 35). Non si tratta di rinunciare, ma cogliere il limite, di accettare l’imperfezione rifugiandosi talvolta nel ricordo che “accende un che di tenero e feroce” (pag. 36).

…..Nuovo assetto” è la sezione, breve, in cui Luisa Pianzola affronta un altro tipo di dolore: quello della depressione. E qui emerge la forza della poesia: normalmente la depressione blocca l’espressione creativa, qui Pianzola invece attraversa, con la poesia, alcuni momenti del dolore che inevitabilmente si prova in quei casi. “Sto costruendo una nuova identità/sopra un corpo sfinito” (pag. 39)… “Ma il nuovo ordine già rivoluziona il codice/ resiste, si impone” (ibidem). La poesia ci dice del corpo a corpo ingaggiato con se stessi: “Il male ti osserva dal nuovo assetto/ anzi il nuovo assetto è un albore di male/… crescevi a ricordi/ non ricordi nulla” (pag. 41). Pianzola è davvero coraggiosa: “Il corpo che ci abita, vuoto, cavernoso/ simula significati costeggia rive/ visita lagune di frontiera” (pag. 44) e il suo realismo feroce si stempera solo nella tenerezza di alcune immagini familiari “Babbo papà vieni su per cena,/ gli amici sono nuvole che parlano di festa” (pag. 46).

…..E questa delicatezza, questa tenerezza emerge poi nei versi perfettamente ritmati, per nulla artificiosi della sezione “Nel buio mi accoglie, desiderata”. Questi versi, nella loro sia pur evidente misurata costruzione, riescono a far apparire naturale l’artefatto poetico: ed è come entrare in un isola di relativa tranquillità, in uno spazio protetto fatto di piccole cose: e di nuovo ritorna il tema della dialettica tra esposizione/ protezione; tra dolore e riposo: “Il bello esplode indiretto/ nel dettaglio poco più che reale/… un vuoto circonflesso/ che riconosce il suo dio in una piccola mano” – pag. 50. Pianzola è consapevole che i poeti hanno un compito speciale: “… siate cauti, amici, nel chiamarci / ingenui, noi attraversiamo leggeri/ una foresta di spazzatura interrogando/..” (pag. 52). E così si può essere felici perché “possediamo un istante/ perché qualcuno ce ne ha concesso la paternità. / Qualche istante è un patrimonio che risuona / contro il governo dei pessimisti” (pag. 58) sapendo comunque che “scrivere dicevo non è nulla al cospetto/  di questo ragazzo dai denti bellissimi/ e la mente adombrata” (pag. 62).
In questi versi c’è il fecondo oscillare della poetica di Luisa Pianzola: la poesia deve dar conto onestamente delle contraddizioni umane, fatte di limiti dolorosi e di gioie necessarie.

…..Lo scotennato non è più sé” è la sezione che chiude il libro e che compie una sintesi volgendo l’attenzione dell’autrice verso un altro spazio protetto: il silenzio. Non è solo un gioco di figure retoriche. E’ il destino della poesia che cerca se stessa: non perché stanca di esplorare, ma perché conscia del proprio compito. “L’ispirazione quotidiana porta a tacere/… Solo così vivo” (pag. 65)… e ancora “Ma più del tacere è lo stare fermi, che s’impone.” (pag. 66) e infine “E’ tutto più che bello/ santo e bello/ perché non c’è soggetto, quindi non c’è infelicità” (pag. 68).
La poesia è una forma di conversazione, ma è cosa dura e senza maschere (se non quella necessaria, “culturale”, della lingua stessa); essa entra in dialogo fitto con se stessi, ma senza lo zucchero malato delle illusioni e dell’autocompiacimento. La poesia è dialogo notturno, rielaborazione dell’esperienza, ma senza la noia della banalità dei nostri piccoli dispiaceri: “
è una sapienza insvelata,/ un percorso durissimo” (pag. 69) perché la “tristezza infinita solitudine glaciale” pag. 72) è sempre in agguato con la sua violenza improvvisa, violenza che talvolta chiude tutte le porte.

…..Ma non quelle che Pianzola riesce a tenere aperte con il “passo cadenzato della poesia vigile e stranita al tempo stesso” che ci dona. Lei usa, come ho scritto a proposito del suo libro precedente proprio in questa rubrica: “una lingua senza fronzoli e per questo enigmatica, non sempre facile come potrebbe apparire, impegnativa, talvolta anche ruvida, ma carica di compassione”. Luisa Pianzola patisce coi suoi personaggi tra i quali c’è lei stessa cogliendo le nostre, le sue ansie, i desideri, gli amori “diluiti nelle risate che svaniscono, bianche. / E lisce. Bianche. Di parole” (pag. 76). La poesia si volge al silenzio, ma è così che si salva. E il silenzio non è rinuncia, ma lucida passione di vita che, di nuovo, sottotraccia pulsa.

…..Stefano Vitale

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…..Note sull’Autrice
Luisa Pianzola (Tortona, 1960) è poeta e giornalista. Laureata in Storia dell’Arte Contemporanea, ha pubblicato i libri di poesia Una specie di abisso portatile (La Vita Felice, 2015), Il ragazzo donna (La Vita Felice, 2012), Salva la notte (La Vita Felice, 2010), La scena era questa (LietoColle, 2006), Corpo di G. (LietoColle, 2003), Sul Caramba (Sapiens, 1992) e le plaquettes “In un paese straniero a volte ospitale” (Fiori di Torchio, 2013), Miniserie (Accademia di Brera, 2013).
Suoi testi, tradotti in inglese e francese, sono usciti su riviste internazionali, siti web e antologie. Redattrice della rivista letteraria “La Mosca di Milano” e cofondatrice dell’agenzia di scrittura creativa Fattidistorie, ha curato per LietoColle il progetto Serre di Poesia.

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