“Impossibile” di Erri de Luca
(Feltrinelli, Milano, 2019)
“Impossibile” è la definizione di un avvenimento
fino al momento prima che succeda”
…..Erri De Luca scrive un libro coraggioso perché gli affronta un tema spinoso, controverso: quello che riguarda “gli irriducibili” della lotta armata degli anni settanta. Erri De Luca è noto per la sua antica militanza politica di sinistra e per le sue posizioni pubbliche (penso alla TAV e al processo che lui stesso di recente ha affrontato tra molte polemiche), magari discutibili, ma dal suo punto di vista coerenti con quella sua storia. E nel racconto, che ha anche dei riferimenti autobiografici, l’autore non si nasconde. Tuttavia è la letteratura che sale sulla scena e la occupa con maestria e passione.
…..Il racconto è costruito sui dialoghi, sulla trascrizione degli interrogatori che un giovane giudice esegue nei confronti di un sospettato di omicidio. Ovviamente questo sospettato è un militante dell’estrema sinistra che ha partecipato a rapine ed altri atti criminali per i quali ha già pagato con il carcere il suo debito. Si tratta di un uomo ormai anziano, che ha una nuova vita. Il confronto col giovane giudice diventa per lui lo spunto per una rivisitazione degli errori e delle illusioni, delle scelte ritenute giuste e di quelle sbagliate, di una riflessione complessiva su quel periodo. Che prima di tutto, e questa mi pare l’ottica assunta dallo scrittore, ha riguardato le vite reali delle persone.
Al di là dei massimi sistemi, quella stagione ha coinvolto la carne, la mente, la vita quotidiana di tante persone. Ha generato dolore, morte, ha alimentato speranze, mobilitato intelligenze. Per questo non si possono accettare semplificazioni generalistiche così come non si possono accettare condanne infinite o assoluzioni di comodo.
…..Il racconto procede sul filo di un rasoio, anzi procede come una arrampicata in montagna. L’autore è appassionato di montagna. È un alpinista che ben conosce le regole e le difficoltà del camminare tra le pietre infide, i crepacci, le falsi pianori. La montagna però è anche un tempo vuoto, uno spazio vuoto dove tutto resta indietro, dimenticato o dive tutto può essere convocato. La montagna è lo spazio dello sforzo inutile, della pura esperienza di sé a confronto con qualcosa di inafferrabile, che sta anche dentro noi stessi. La montagna non accetta falsificazioni, non accetta errori, è il luogo del piede messo al poto giusto.
Ma qui il milieu alpino è più di una metafora: è lo specchio di due generazioni a confronto, ed è la stessa scena del delitto, o presunto tale. Il protagonista viene infatti sospettato di aver ucciso un altro escursionista che, guarda caso, era un suo antico compagno di lotta. Uno che “aveva tradito”, un collaboratori di giustizia: un fratello che si era sottratto alla lotta.
Nel racconto, Erri De Luca è bravo a mescolare le carte: lo scontro tra i due, prima fratelli gemelli inseparabili sia pure diversi, non sembra rinviare ad una ovvia vendetta politica (che però i altri passi ritorna), ma ad un tradimento più profondo, al taglio improvviso di un legame esistenziale e generazionale più denso e doloroso. Interessante a riguardo il passaggio dedicato al libro di Leonardo Sciascia “L’Affaire Moro” in cui lo scrittore, allora parlamentare radicale, sottolineava come il diritto imponga la responsabilità individuale per gli atti commessi, in linea con la tradizione giuridica liberale e persino con quella letteraria (si pensi a Dostoevskij ed al suo “Delitto e Castigo”) ed in contraddizione con la sua posizione di rappresentante delle istituzioni.
…..Il giovane giudice si impegna a mettere in difficoltà l’abile ex terrorista, si sforza di costruire nuovi scenari possibili in una sorta di partita a scacchi verbale: “la coincidenza insospettisce” e lo scenario è quello di una resa dei conti. Così lo scontro-incontro tra i due procede tra allusioni, mezze parole, tranelli verbali, sino ad arrivare a usare specifiche strategie di comunicazione e di gestione delle procedure giuridiche, da parte di entrambi. Molto bello il passaggio in cui il vecchio ex militante dice: “io proteggo la lingua che uso” riferendosi al fatto che occorre sempre usare le giuste parole, le parole oneste per definire le cose, i fatti. Lo scopo del giudice però non è solo quello di costruire ed arrivare ad una verità processuale che gli permetta di rinviare a giudizio un sospettato ora tenuto in isolamento.
…..Mano a mano che il racconto si sviluppa, l’autore ci mostra un vuoto: quello che emerge tra chi ha vissuto e chi non ha vissuto quegli anni, tra chi ragiona sulle carte o peggio sulla vulgata mediatica e chi cerca le ragioni più complesse di un oscuro periodo della nostra recetene storia politica e sociale. Un vuoto, uno iato che probabilmente non sarà mai colmato.
Qualcuno potrebbe pensare che questo sia solo uno stratagemma dell’autore per tenere aperta una via di fuga, una soluzione per una scontata assoluzione. Non è così. Il protagonista del racconto ha pagato il suo debito, si è assunto le proprie responsabilità e pone, direttamente o indirettamente anche un altro quesito: la pena è infinita? Certo è senza fine ciò che ciascuno si porta dentro in termini di verità “reali” o di verità “funzionali”.
…..Questo della verità è uno spazio complesso, un ambito di difficile esplorazione, un luogo dove, direbbe qualcuno “anche gli angeli esistano”. Tra l’altro il racconto degli interrogatori è intercalato dalle lettere che il recluso invia alla sua compagna. Una donna con la quale ha ricominciato a vivere, azzerando il proprio passato, erigendo un muro, più o meno poroso, tra sé e sé, di nuovo stabilendo un vuoto tra quel tempo di guerra e il presente. Le lettere sono piene di umanità, di desiderio di normalità, di tenerezza che può anche apparire strumentale ed ambigua, ma che fa da controcanto alla spietata partita in gioco tra il giudice e il sospettato. Le lettere sono il segno- sogno di una ricerca di libertà che si esprime nell’amore e come tale non cerca sconti, non accetta mistificazioni.
…..Il racconto è coinvolgente, ricco di colpi di scena e lascia aperti tanti interrogativi, così come è giusto che faccia la letteratura: che deve porre domande non additare soluzioni definitive. La letteratura serve per aprire varchi, per tenere sveglie le coscienze. Dove approda il racconto? Lo scoprirete solo leggendolo. E credo che sia coloro che quegli anni hanno vissuto, sia quelli che non li hanno vissuti troveranno spunti per riflettere, laicamente, senza pregiudizi.
…..Stefano Vitale
@@@
Note Sull’Autore
Erri De Luca, nato a Napoli nel 1950, prima di diventare un autore di successo ha svolto diversi mestieri: operaio qualificato, magazziniere, muratore e autotrasportatore. A questi si sommano le numerose esperienze di volontariato e le lotta politiche condotte sia in Italia che all’estero.
De Luca si avvicina al mondo dell’editoria con la traduzione di alcune parti dell’Antico Testamento dall’ebraico antico, apprezzate anche dai maggiori esponenti del settore.
L’esordio di Erri De Luca come scrittore avviene nel 1989, quando, all’età di 40 anni, pubblica il suo primo libro, “Non ora, non qui”, in cui rievoca gli anni dell’infanzia trascorsa nella sua Napoli. Da quel momento De Luca pubblica, sempre con successo, opere di narrativa che saranno tradotte in oltre 30 lingue.
Si tratta di uno scrittore da sempre fortemente impegnato dal punto di vista sociale. Molto prolifica anche la sua produzione giornalistica, con editoriali sulle principali testate italiane e articoli sulla montagna, di cui lo scrittore è particolare amante e conoscitore (e non ci riferiamo a semplici passeggiate: ha partecipato anche a una spedizione sull’Himalaya).
***