“La casa vuota” di Yari Bernasconi
(Marcos y Marcos, Milano, 2021)

…..“La casa vuota”, pubblicato da Marcos y Marcos a sei anni da “Nuovi giorni di polvere” , è così presentato nel risvolto di copertina da Fabio Pusterla: «Un orizzonte di macerie e tuttavia di speranze, di polveri dietro le quali balugina la luce: è questo lo scenario principale della poesia di Yari Bernasconi, che con “La casa vuota” corona un percorso già importante e significativo iniziato più di dieci anni or sono. La sua ricerca poetica si muove da sempre sulla duplice polarità dell’esperienza concreta e dell’esplorazione di una geografia e storia europee segnate dalla guerra e dalle rovine; e la “Casa vuota” che intona questo libro contiene in sé entrambe le armoniche, in un susseguirsi di crolli, apparizioni fantasmatiche, memorie e abbandoni.
Lo fa con un linguaggio scabro, accuratamente controllato e attento alle risonanze più interiori delle parole e dei suoni, che appaiono sotterraneamente, senza esibizioni, e che conferiscono a queste poesie una musicalità particolare, sommessa e franta. Si sente, sullo sfondo, la grande lezione di Giorgio Orelli (di cui Bernasconi è notevole studioso) e la frequentazione assidua della maggiore poesia novecentesca. “Quello che dà vita / alla vita: l’incerto, l’impuro, l’impossibile”: due versi di “Altra corrispondenza” che sintetizzano molte cose, unendo la ‘porosità’ della materia con la necessità di quell’impossibile che si chiama speranza, forse utopia, e che spunta, ogni tanto, “sul bordo di una vecchia e sempre nuova / vertigine”».

…..La chiave del libro mi pare stia, come ama dire l’autore, “nello spazio vuoto” in cui il poeta si immerge con le sue esperienze personali. Il suo mondo interiore coincide, lasciando predominare i toni sommessi e grigi, con la descrizione dei paesaggi, degli ambienti. Lo spazio della sua poesia è esso stesso uno spazio vuoto, fatto di luoghi da cui uomini e donne sono scomparsi, ne rimane solo l‘eco, una traccia scolorita. C’è un senso di ossessiva e rassegnata desolazione nei testi. La scrittura mimeticamente si adegua a questo paesaggio e si fa essa stessa paesaggio di rovine e di solitudini. Atmosfere umbratili fanno da contrappunto a piccole sorprese fatte di luce fioca e umida. Stare nelle poesie di Bernasconi è come essere assediati da giorni di pioggia melanconica e sottile.

…..Cinque sono le sezioni dell’opera che è anche stata recentemente premiata con il Premio svizzero di Letteratura per le opere pubblicate nel 2021.

…..Ritorno a Dejevo apre il volume con dieci testi che raccontano del viaggio in diverse località dell’Estonia di cui l’ultima è Dejevo, uno dei luoghi elettivi della sua poesia. Questo era un piccolo villaggio di rovine dove l’Armata Rossa ai tempi dell’Urss mandava in vacanza gli ufficiali e i soldati meritevoli. Il poeta compie il suo pellegrinaggio della memoria: ma è come sommersa dall’ingranaggio del tempo di cui, dice il poeta, “sentiamo forte e pesante/ lo strascico del tempo speso,/ che sembra perso” (pag. 11).
Così qui si attraversano “storie quotidiane di resistenza / e fallimento” (pag. 13) e lacerazioni lasciate dalla “storia più grande, ingombrante” (pag. 13), Domina il “vuoto denso della natura” (pag. 15) e la scrittura passa da una cartolina in bianco e nero all’altra sino alla destinazione finale. Ma, la sorpresa, è che Dejevo è sparita: “Dove sono le case diroccate, sfondate/ il villaggio in rovina? (pag. 20). Tutto è stato demolito, anche il viaggio è andato a vuoto: le antiche macerie sono scomparse lasciandoci faccia a faccia con il vuoto ed il poeta è lì a registrare questo vuoto.

…..Cinque cartoline dal fronte (intorno a Ponte Tresa) traccia un nuovo viaggio, stavolta più vicino al mondo del poeta: “Gli eroi sono altrove: / niente sanno di queste vite assembrate / negli abitacoli e nel traffico, in mezzo a polveri / sospese” (pag. 23). Siamo in una zona di frontiera tra Italia e Ticino e uomini e donne, sempre invisibili, consumano le proprie giornate in un “lento / transitare oscillante: chi scende dal vagone, / chi aspetta, chi aiuta un anziano a salire” (pag. 24).
In questa zona si vive un conflitto “a bassa intensità”, certamente meno eclatante e sanguinoso di altri: quello della quotidianità di una piccola regione, con le sue tensioni, i frontalieri, il traffico, le menzogne da una parte e dall’altra della frontiera: “Non ci sono stendardi e mitologie/ a rianimare: solo sofferenze minime, comuni sacrifici/ sono tutti superstiti” (pag. 25) “Non ci sono trincee, ma sempre più profondo / è il solco dell’odio, delle finte incomprensioni” (pag. 25). Yari Bernasconi è attratto, in una prospettiva “neocrepuscolare”, dalla poco visibile, ma reale, sofferenza di chi subisce situazioni opprimenti che passano sotto silenzio. E’ proprio “il silenzio” ad attirare lo sguardo del poeta, è ciò che resta nell’ombra: “fiori di plastica si sciolgono al sole” (pag. 26). Questa è una caratteristica di tutto il libro.

…..Le stagioni sono la terza stanza di questa “casa vuota”. Qui c’è il cuore del libro. Il mondo del poeta cerca ora vita nella natura. Il paesaggio è sempre disabitato e abbandonato dagli uomini e sono gli animali che se lo riprendono. Sono loro a provocare meraviglia, fascinazione: in particolare sono gli animali selvatici (cinghiali, volpi, folaghe, gazze) a popolare i versi di Bernasconi come per sottolineare anche così l’assenza dell’uomo e forse a dirci che essi rappresentano quello che noi umani non possiamo più essere: noi stessi, senza sovra strutture.
Ma anche gli animali di Bernasconi scappano o vivono soffocati dal traffico, in ogni caso si isolano. La sezione, come d’altra parte tutto il libro, è segnata da una vena malinconica che si manifesta ad ogni passo nell’empatia poetica per un albero ammalato o per “le tortore e i piccioni che rubano i pop-corn” (pag. 31). Bernasconi scrive: “mi siedo,/ aspettando parole che non conosco,/ sul bordo di una vecchia e sempre nuova/ vertigine” (pag. 32) che arriva nella “Conversazione con Ignazio” dove “la speranza è una strana sorella…/ Ma dalla guerra si può solo scappare” (pag. 33) e tra “porte che non si attraversano” (pag. 35) e visite al liceo che “quando attraversi il parco, alla fine / del giorno, lo sai che non è il silenzio / la solitudine più grande” (pag. 38) si giunge nel centro della “casa vuota” (pag. 47) in cui il poeta è emblematicamente tornato “a prendere le chiavi” e dentro non vi è più nessuno: “La polvere è più spessa/ sui tappeti e sui mobili, il mio passo insicuro” (pag. 47).
Colpisce la naturalezza con cui Bernasconi ci dice cose “normali”, prive di ogni artificiale slancio poetico: ma è così che suoi versi inquietano poeticamente. E scopriamo che “Le stagioni” non sono dunque solo quelle atmosferiche, ma soprattutto quelle dell’uomo: “Basta che si riavvolga il nastro e le stagioni/ ritornano a girare, ad alternarsi. L’assoluto/ è un grande calcolo che sfugge, devi avere fiducia” (pag. 46).

…..“Altra corrispondenza” è la quarta sezione. Il titolo ci riporta ad una delle modalità preferite da Bernasconi, quella del colloquio che si svolge programmaticamente in forma epistolare. Scrivere cartoline, piccole lettere è certo un esercizio di comunicazione, ma intima, riservata, nulla di spettacolare o di chiassoso.
La forma epistolare rende conto dell’esigenza del poeta di cogliere micro-sentimenti (rabbia, gioia, rancore e malinconia, ad esempio) e a comunicarli in maniera sintetica, comprensibile, diretta, quotidiana. Non c’è il pungolo dichiarato di una riflessione filosofica, non c’è immaginazione elaborata: c’è l’intenzione di afferrare il darsi del sentimento e dell’istante. E ciò avviene sempre in una tonalità musicale “in minore”. Si veda ‘Cartolina notturna n. 3’»: “«Siamo vivi», / ti avevo scritto anni fa, rientrando a casa. / E proprio adesso che le cose appaiono / sfocate, con il mio goffo residuo di fiducia, / la fatica, sento l’eco di quel messaggio / come un imperativo”. (pag. 55). Oppure i versi “Dire tristezza/ è solo rimandare, chiudere gli occhi” (pag. 54) o anche: “Sarebbe stato bello ritrovarsi insieme, /senza questa distanza di carta e francobolli. /Avremmo avuto più cose da dirci” (pag. 56) e infine: “Tuo figlio porta in sé quei tanti dubbi/ che danno un senso al disordine, al vento,/ alle foglie e ai rami che sbattono” (pag. 58). Va notata, come ha indicato Pusterla, la misura attenta del verso e, aggiungo, la tenue coloritura, quasi sbiadita, che illumina questi quadri di pacifiche verità. Lo stile è dimesso, naturale, animato da una volontà prosastica, quasi narrativa che adegua la poesia al suo oggetto oscillando tra la descrizione dell’ovvio e l’inquietudine che la vista di quell’ovvio determina e dovrebbe lasciar risuonare.

…..Come in uno dei vecchio film di Wim Wenders “Im lauf der Zeit”, il finale, sempre in rigoroso bianco e nero, è dedicato a “La città fantasma”. Il poeta ci accompagna sulla strada maestra, visita la bottega del falegname, ci descrive la stazione, il centro commerciale, la scuola, l’edicola, il bar… sono tutti luoghi ormai chiusi e abbandonati, spoglie post-moderne di un sogno, se mai c’è stato, infranto. Domina incontrastato il silenzio rotto solo dal vento che attraversa la desolazione del paesaggio. Terra di frontiera, terra che non è né città né campagna, terra dove l’industria, il commercio hanno solo prodotto “cassonetti / covi di gazze e di cornacchie che si spartiscono/ la spazzatura” (pag. 67). E dice il poeta: “È il ferro, / adesso, il colore più sgargiante” (pag. 71) a intonare il suo requiem. Così s’incontrano solo mensole buie, binari invisibili sotto le piante, soffitti crollati, finestre a rischio di cedimento, serre svetrate, pavimenti logorati e “il tabellone degli orari continua a segnalare/ il ritardo dei treni che non arriveranno” (pag. 70).

…..La città fantasma esiste e, sembra dirci Bernasconi, esiste fuori e dentro di noi e il poeta non riesce a farne a meno: le cose che non ci sono più continuano ad accompagnarlo. E questo libro, che parte dalle macerie scomparse di Dejevo, passando attraverso la casa vuota, per arrivare ad una città fantasma ci dice che il solo spazio che resta è quello di un dialogo melanconico con ciò che è assente. Il poeta, grazie alla scrittura, tenta di colmare queste assenze.

…..Stefano Vitale

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…..Note sull’Autore
…..Yari Bernasconi, nato a Lugano nel 1982, ha esordito con il libretto di poesie Lettera da Dejevo (Alla chiara fonte, 2009).
…..Fra le sue pubblicazioni la silloge Non è vero che saremo perdonati (in Poesia contemporanea. Undicesimo quaderno italiano, Marcos y Marcos, 2012), la raccolta Nuovi giorni di polvere (Casagrande, 2015, premio Terra Nova della Fondazione Schiller e premio Castello di Villalta Giovani), tradotta in francese e tedesco (rispettivamente Nouveaux jours de poussière, a cura di Anita Rochedy, Éditions d’en bas, 2018, e Neue staubige Tage, a cura di Julia Dengg, Limmat Verlag, 2021), e ancora le plaquette La città fantasma (Nervi, 2017) e Cinque cartoline dal fronte e altra corrispondenza (L’arcolaio, 2019).
…..Nel 2021 ha pubblicato con Andrea Fazioli il reportage letterario
A Zurigo, sulla luna. Dodici mesi in Paradeplatz (Gabriele Capelli).
……Yari Bernasconi vive a Hinterkappelen, vicino a Berna.

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