“La dimora insonne” di Daniela Pericone
(Moretti & Vitali, Bergamo, 2021)

…..“La lingua è uno sciame di voci venute dall’infanzia e parole accumulate nelle letture solitarie. Eppure non basta il ricordo, né la folla dei libri, quel che conta è l’inclinazione dei sensi, il daimon di ognuno. Tra i suoni avuti in sorte il poeta soppesa, scarta, innesta, disdegna o accoglie, corrompe o acclama. Così edifica la sua dimora, dà forma al suo proprio idioma, inconfondibile nel timbro, nei colori, il calco esatto del suo ardore”.

…..Questa l’apertura del libro di Daniela Pericone che così, con chiarezza, ci introduce nella sua dimora poetica. E c’è già tutto. Il tema del ricordo e dei legami con propria storia, il senso consapevole della ricchezza delle letture, ma soprattutto l’idea che la poesia non sorge da una semplice tecnica; è qualcosa che s’incontra e dà vita al demone interiore.
Ma, attenzione, la lingua ha le sue esigenze: non c’è poesia senza l’azione rigorosa e immaginativa al tempo stesso del poeta, del “letterato”. E’ un circolo virtuoso, quello che ci propone Daniela Pericone. Questo libro è esso stesso una “casa della poesia”, per lo meno della “sua” poesia.

…..Un libro sincero e trasparente che espone, senza timori, il senso del gusto della parola assaporata con ricercata cura nel predisporre i testi come quadri manieristici cinquecenteschi, ovvero curati, luminosi, precisi, simmetrici e ben torniti al tempo stesso. Poesie ricche di sonorità, equilibrio armonico, nitide nelle scelte formali, ma anche misteriose, impervie; poesie che condensano riflessione esistenziale e filosofica con la fluidità della coloratura linguistica, che curano i dettagli dell’immagine cogliendo l’attimo dell’impressione poetica in modo che sia la parola stessa a bastare a se stessa, a creare il senso.
E’ una sorta di dono: dire cose profonde senza la pesantezza dell’imporre un punto di vista, senza sputar sentenze, ma mettendoci dentro ardore, appunto, e sensibilità lessicale. Qui conta lo stile, il quid emerge da esso, la sostanza non è apparenza, ma senza la cura della forma non c‘è poesia e non c’è né sostanza né sapienza. La musicalità dei versi non è mai scontata, i lemmi sono ricercati, ma ben calibrati e misurati: quel che colpisce è la forza della parola che afferra il suo oggetto senza fatica.
Eppure dietro si comprende il grande lavoro di limatura. “Nel tuffo conta lo stile / la cima è l’ardore”: giunta al suo sesto libro, Daniela Pericone continua a serbarsi fedele all’idea di una poesia baluginante, preziosa, riservata, fatta di metafore ventose e severe, di immagini misteriose; di barocche accensioni, di grumi di suoni che si caricano di senso remoto e dimenticato, di slanci improvvisi” così scrive Giancarlo Pontiggia nella sua introduzione posta nel risvolto del libro.

…..Daniela Pericone filtra la realtà attraverso la lente del linguaggio e non potrebbe essere altrimenti per un poeta, ma non si adagia sul letto comodo di un linguaggio colloquiale e cordiale, ma non cede neppure all’altezzoso vezzo di chiudersi nella cripta di una poesia ctonica o esoterica. Pericone usa con maestria vocaboli rari, figure retoriche, talvolta forza la sintassi, altre volte può apparire barocca ma il suo scopo è di proteggere la sua casa poetica; il suo desiderio è la vertigine, è spingere il lettore all’attenzione, a dirci che solo con la resistenza della lingua c’è possibilità di resistenza per l’umano. La sua poesia è “costruita”, pensata ma non artificiosa, la sua poesia è ricercata, ma non respingente anzi è un invito a tornare, a ripensare la relazione tra lettore e testo. Giustamente Alessandro Quattrone nella sua postfazione cita Heidegger e il concetto che “il linguaggio è la casa dell’essere” che vanno salvati, linguaggio ed essere, “dalla vacuità dall’inconsistenza”. C’è in Pericone la ricerca di una bellezza che non volga il suo sguardo all’indietro, non c’è nostalgia di qualcosa di compiuto e classico nei suoi versi: c’è il desiderio di qualcosa di autentico che guardi al futuro; c’è la necessità di confrontare gli arcitemi della poesia (tempo, linguaggio, affetti, ecc.) con il qui ed ora del fare poesia.

…..La prima sezione “Rumorio della cenere” ci racconta dunque del conflitto col tempo che tutti noi ingaggiamo per non esserne travolti, per dare voce ad una lingua che ci rappresenti e così si torna alla scelta dura dello scrivere e al sentimento della dimensione effimera, ma necessaria della letteratura: “Durata di un istante / che ti precipita, basta / un niente e nessun motivo. / Il verso è precisa menzogna.” Ma anche “il tempo freccia è una bugia”, il nostro passaggio “è un lampo dall’acqua / alla polvere” e non c’è “nulla che resti mai uguale / a sé stesso, che resista / più d’un tempo sospeso /”. Il poeta ha però “l’audacia di tirare la coda / al tempo”, persino di “fingersi ai vivi morta, purché / fra i morti viva”. La poesia è quella dimensione che permette di “Sorvegliar il buio” e così “non temerlo”, “una lue obliqua, un basso / continuo, il tuono non vede la sua fine”.

…..“Indizi di naufragio” poi offre poesie scritte con eleganza lirica, dai toni raffinati: “Siamo come spersi, malnati / ai paradisi, ferocia non prevalga / a disunire natura”; ci sono immagini come “vastissime onde / uncinate”, affermazioni come “la tristezza / confonde spettri e bagliori, / si vive di minime stelle / salde, un fuoco a salve”; incontriamo passaggi colti quali “l’intatto / bagliore che strina / la sua carezza sugli occhi” oppure “m’incurvo al suono / che sale da dentro” o “ancora s’attorcono i rami / eppure un incanto, uno stare / sospesi, distrarre parole / è avere pensieri / perfetti”.
La poesia di Pericone abbraccia con il suo sguardo la realtà interiore e la poesia come spazio lirico protetto, c’è sempre un’attenzione meta-linguistica che collega la vita alla poesia: “La mia casa non respira / bisognosa com’è di solitudine,  /in un tempo che è un seguito / senza fioritura solo indizi / di naufragio” e ancora oltre “Sbaglia con cura, incidi / l’errore, la frase è un conto / che non torna, pretesto a disertare / le regole del giorno”. Ogni tanto appaiono soste di paesaggi vissuti emotivamente: “La costa è un candore / che abbaglia a picco / sull’oceano”; “E’ inerte l’ria e tuttavia / impetuosa reclama / il crepitare della brace” ; e ancora: “Quest’assalto di scirocco / è un’impostura, un colmo / d’agrezza che mi somiglia”. Ma la prora della poesia non s’arresta e prosegue il suo viaggio.

…..La terza sezione eponima ci conferma la capacità di Daniela Pericone di utilizzare, con sobrietà estetica, ma con consapevole arte, strumenti retorici come assonanze, consonanze, rime, paronomasie che danno vita a suoni, colori, sapori poetici che rivestono il pensiero poetico dei necessari abiti, così come ha ben notato sempre Quattrone nella sua postfazione. La dimora insonne la poesia stessa, ”lingua salvata” dove “dimora certezza / di sciogliere in suono / qualunque dolore” e riprendendo la lezione di un Mario Luzi troviamo incipit quali “All’ora che incede / intona il rito, il respiro” oppure “Restiamo nel folto / che inscena promesse.
C’è una fiducia profonda nella letteratura: “Le parole, il pensarsi / sono un balsamo”: mettere a distanza la vita, le sue fatiche, i dolori, le sconfitte: questo desidera l’autrice che scrive “Invoco / la prevaleva degli alberi / fortezza che escluda / la soglia” sino ad arrivare a cogliere il piacere fisico del fare poesia “Condensa in te / la parola apparizione / accade, precipita nell’essere fiato”…  o “un soffio muovo a convocare / i ricordi, s’aduna il presente / vero indecifrabile, come allora”.
Lo scopo del poeta è in quest’avviso: “Trattieni / l’istante, che non sia / sgualcita la grazia / ancora intatta.”, e narcisisticamente non teme il “ruotare code di pavone / intorno alle ossessioni” e lancia l’invito “rapina il bene / che trovi, ribalta quel sale / che muove a subire” .

…..L’ultima sezione “I silenziosi, temerari” suggella il percorso dell’autrice: “I silenziosi, i solitari / sostano agli angoli / coperti di lune / traversano i fuochi / e l’offesa, tralasciano / le mani voraci / – si spostano i deserti / è terra temeraria / la pazienza.” Daniela Pericone non nasconde quindi il suo senso di estraneità al mondo se il mondo è sciocco e volgare e cerca nei “sotterranei della lingua i materiali” per costruire una sua dimora, per sentirsi al sicuro, per tenersi lontano dalle chiacchiere in autentiche, per riprender ancora un termine heideggeriano. “La solitudine / che è assillo e desiderio” ben identifica il destino del poeta che sa che “resta la musica sola / esultanza”, quella che emerge anche dalla poesia, che è “modesta ricompensa / amaritudine” e che spinge a “ridurre gli intralci / al minimo grado di noia / e sorridere l’amicizia dei poeti”.

…..Può apparire a volte autoreferenziale questo libro, altero e severo, distaccato, troppo pensato, ma in realtà attraverso la riflessione sul linguaggio e la poesia si snoda un viaggio interiore che confronta l’autrice con gli imprevisti della vita, con i suoi dolori e le sue gioie, con i momenti di malinconia e di depressione oltre che con i suoi stupori e meraviglie. Ma tutto è filtrato dalla lente della consapevolezza che il poeta deve mediare queste sensazioni, esperienze, emozioni con qualcosa di più alto che cura e sostiene, che ci impedisce di cadere anzi che le fa dire che “sarebbe magnifico precipitare / in alto”.

…..Stefano Vitale

@@@

…..da La dimora insonne (Moretti&Vitali, 2020)

Hanno detto
che non esiste il tempo
dovremmo gioire alla notizia
niente inizio né fine
il tempo freccia è una bugia
come la barba di dio
tuttavia siamo noi, esposti sul filo
a volere che sia, basta volgersi
a una qualunque direzione
e prodigiosamente appare
nostro, solo nostro
– sembra sia vera la visione
per sottrazione di dettagli,
eppure non cede l’inganno –
nulla che resti mai uguale
a sé stesso, che resista
più d’un tempo sospeso
non la pietra, che è un fitto
di polvere, non questo vibrato
di carne, questa luce scritta
su un suono nel solo
istante che viene.

*

Scivolavi tra le dita
senza un appiglio, tacendo
disfatte – si confonde
l’incendio con la polvere.
Non resta che asciugare
il fiato, ancora scendere
fino al dolore – tuttavia
sostare leggeri, risolvere
enigmi da nulla, cambiare città
per continuare a star soli,
concentrarsi tanto da sentire
l’esplosione sul pianeta accanto
– una luce obliqua, un basso
continuo, il tuono non vede
la sua fine.

*

Ombra su ombra
contrarre il poco al meno,
solo parole che non cedi
non più occhi ovunque
dispersi, le dita fanno
giravolte tra i capelli
senza sosta, soltanto
ascoltare o scrivere
tormentosamente
ruotare code di pavone
intorno alle ossessioni.
Uno strano consistere
inadeguati, distanti
a stornare l’ora sprecata
– da qui da adesso
ridursi allo zero.

…..@@@

…..Note sull’Autrice
Daniela Pericone è nata a Reggio Calabria nel 1961. Ha pubblicato i libri di poesia Distratte le mani (2017), L’inciampo (2015), Il caso e la ragione (2010), Aria di ventura (2005), Passo di giaguaro (2000).
Sue poesie sono tradotte in francese, spagnolo e romeno. Scrive testi di critica letteraria e collabora a riviste e siti dedicati alla letteratura. Cura eventi e reading con enti e circoli culturali. La dimora insonne (Moretti&Vitali 2020) è il suo ultimo libro.

***

CONDIVIDI