copert_la monica_2Mariolina La Monica

VAGHEGGIANDO ITACA
Viaggio attraverso le nove Sinfonie

Poesia
Ediz. Thule

Mariolina La Monica
VAGHEGGIANDO . ITACA


Il viaggio di Ulisse come percorso iniziatico di conoscenza ed auto-conoscenza

Mariolina La Monica ha deciso di affidare ai tipi della casa editrice palermitana Thule di Tommaso Romano la raccolta poetica Vagheggiando Itaca, già pubblicata sulla rivista on-line La Recherche (del cui team faccio parte), diretta da Roberto Maggiani e Giuliano Brenna, nel maggio del 2016.
La silloge ha avuto molti lettori e pochi ma autorevolissimi commentatori, dei quali vale la pena citare alcune osservazioni fondamentali per la comprensione del mondo poetico che vi è espresso, complesso sia nella sua elaborazione formale che nell’argomentazione dei contenuti.

Per quanto riguarda l’espressione formale, Eugenio Nastasi afferma che “la primaria caratteristica che si rivela” in Viaggiando verso Itaca è il “rispondere a quella necessità di canto che oggi viene considerato non indispensabile qualità, ma quasi difetto della scrittura poetica” e che esso obbedisce “ad una libera vena”, “malgrado il persistere di certi rimandi del Novecento e in termini di ascendenze d’autore e in soldoni di lemmi”.
Ma, proprio a proposito del vocabolario dell’autrice, Luigi Nanni osserva che “certi elementi lessicali, per quanto desueti”, “si inseriscono però alla perfezione in un contesto di eleganza classica”, che Narda Fattori indica come “pre-montaliano”.

Alla tempra intima della silloge si riferiscono, invece, sia Francesca Luzzio (“Il desiderio d’infinito, la voglia d’immergersi in una dimensione altra, diversa dalla opacità del quotidiano”) che Antonio Spagnuolo, il quale mette in rilievo “il pensiero irrequieto delle memorie e delle illusioni” e come tali oscillazioni inseguano “con garbo le intenzioni linguistiche, a tratti severamente realizzate, nell’urgenza di aprirsi e di affondare tra il quotidiano e l’immaginario”.

Io pure lasciai un lungo commento che trascrivo qui integralmente, in quanto in esso si rispecchiano in modo coerente le mie idee fondamentali a proposito di Vagheggiando Itaca di Mariolina.
Così, dunque, scrivevo a Maggio: “Questi testi poetici di Mariolina La Monica, di tono solenne e spesso persino ieratico, s’intridono di una spiritualità trasfigurante, che potrebbe farci pensare ad una volontà di fuga dalla realtà del mondo. Ed, invece, proprio le cose del mondo costituiscono la materia dolorosa, aspra e sanguigna (ne sono spie termini quali: “grovigli”, “sibili”, “anguste”, “vuoti” e moltissimi altri ancora), da cui ha origine, se non un’invettiva dantesca, a cui pure rimanda l’immagine dell’Italia come una “barca trafitta da inumane mareggiate (cfr. Dante, Purgatorio, VI, v.75), quell’anelito verso una realtà diversa in cui finalmente regnino Bellezza, Armonia e Amore. In questo divario fra riferimenti quotidiani e l’assoluto si colloca la tessitura lirica dei versi dell’autrice, spesso accesi da visioni tanto splendenti quanto indecifrabili, che hanno a che fare con il linguaggio della psiche.

Ogni immagine, allora, ogni metafora acquisisce la forza perentoria di un vaticinio; la vita personale si confonde con quella dell’Umanità; il sogno privato diventa l’Utopia universale e “Itaca”, così come scrive l’autrice, rappresenta l’“emblema di un altrove primordiale, situato in uno spazio indefinito”, una sorta di Idea platonica.

Tutto ciò determina pure una costante tensione fra la temporalità ed il suo opposto. La dimensione atemporale è abitata dalle utopie che a loro volta si pongono in relazione con la percezione della morte come il momento della dematerializzazione, abitata soltanto da ricordi, e l’inizio di una condizione gioiosa dello Spirito: è la stessa atmosfera che si respira nel Purgatorio di Dante, cui poco fa si faceva riferimento.

Le utopie sono, a loro volta, figlie della Speranza (quella che abitava, secondo il mito greco, “in fondo al vaso” di Pandora) e dell’Amore. Quest’ultimo è uno dei termini più ricorrenti nella silloge, specie all’interno della sezione “Amicizie e Amore”. Non a caso l’autrice preferisce usare questi termini astratti, indicanti dei Valori, piuttosto che le persone concrete (nominate, comunque, nelle dediche).
Sono essi i valori più alti da coltivare nella vita come nell’esercizio della parola poetica, che rappresenta senz’altro un legame in più fra persone che coltivano la “Sacralità della Poesia”.

In altri termini, i versi di Mariolina La Monica hanno allo stesso tempo il fuoco dell’impegno esistenziale e di quello etico-estetico, che rimanda più alla poesia di un Luzi o di una Spaziani che a quella contemporanea. E, tuttavia, Mariolina è poeta assolutamente “attuale” e la sua Itaca non può che essere l’unico progetto esistenziale dell’Uomo. Il mito di Itaca, infatti, è rivisitato in senso moderno, come già avevano fatto Foscolo o Kavafis.
Itaca, insomma, sarà il nostro “ritorno alla purezza dell’Origine.”

Ma Mariolina, qualche giorno fa, mi ha chiesto di scrivere una post-fazione all’edizione cartacea della sua silloge. L’invito mi ha spinto ad una nuova lettura dei testi i quali hanno mi hanno svelato altri aspetti che precedentemente non avevano catturato la mia attenzione; ma, del resto, per quanto mi riguarda, si tratta di un fatto comune che, casomai, mette in rilievo l’inesauribilità dell’opera d’arte, la sua forza comunicativa, tanto più grande quanto più intessuta di passione e di metafore del profondo.

Mi sono chiesta, per esempio, come mai mi sia sfuggita l’importanza di un vero e proprio proclama filosofico-esistenziale, determinante per l’insieme della costruzione poetica dell’autrice, che trova la sua espressione più manifesta nel testo “Volo di Luglio”.
In esso, infatti, i verbi “Vivo” e “Sento” sono evidenziati dalla grafia maiuscola della loro lettera iniziale, quasi a voler stabilire una sorta di equazione filosofale, in contrasto con la celeberrima enunciazione cartesiana: “Cogito, ergo sum”; ché se ne deduce come Mariolina desideri tenersi lontana da ogni intellettualistica costruzione a freddo dei propri versi, seguendo, piuttosto, quella naturalezza di cui parla Keats che porta come esempio la nascita spontanea delle foglie sui rami degli alberi.

Il sentire ed il vedere si riferiscono, dunque, agli strumenti necessari alla scrittura, che sono l’emozionalità del profondo e la visibilità del mondo così come appare agli occhi nella sua tumultuosa varietà. La sapienza del poeta consiste, allora, nel confrontarsi con la dimensione della psiche e dei sensi e trarre da essi una religio etico-estetica.

E, tuttavia, non avrei del tutto chiarito la forza di questa equivalenza fra sentire e vedere, se, al di là dell’accezione filosofica, non sottolineassi la concretezza del loro pronunciamento, ché, di fatto, nella versificazione essi hanno a che fare con un’abbondante messe di suoni, colori, odori: i canti degli uccelli, i fruscii del vento, le voci umane, il respiro del mare, le fragranze e i colori dei fiori, il sapore e le accensioni cromatiche dei frutti, i mutamenti del cielo, che disegnano la scena del mondo al cui centro si pone la stessa autrice che percepisce ogni cosa attraverso lo spalancamento generoso di tutti i sensi.

Questa totale immersione nella concretezza del mondo come metodo di conoscenza ed auto-conoscenza, attraverso un processo successivo di emblematizzazione, si connota di un’ansia metafisica che fa pensare a quella scuola di pensiero buddista cosiddetta del “grande veicolo”, secondo la quale, al di là di ogni diversità, l’assoluto non appare come esterno rispetto ai fenomeni.

Tanto per fare un esempio, uno dei colori più frequenti, tra i molti convocati nella silloge, è il bianco, che costituisce da sempre il simbolo della Purezza, del Bene, della Luce, e, infine, dell’Assoluto. E, dunque, tutte le volte che viene adoperato a connotare qualche oggetto concreto, esso allude anche all’oltre dell’oggetto stesso.

Del resto dalla lettura di questa silloge poetica si evince che il viaggio di Ulisse, più che reale e/o geografico (nella poesia dedicata all’eroe greco lo vediamo in cucina a rigirare le frittelle) è soprattutto un itinerario interiore di conoscenza (l’uso del termine “vagheggiamento” nel titolo ne è conferma), anche perché lo spazio vitale dell’autrice appare, spesso, minimo: la camera da letto, lo scrittoio, un paesaggio intravisto dalla finestra, i fiori e le piante che crescono in balcone, se non addirittura una stanza d’ospedale.
Come dire che assoluto e relativo vivono fianco a fianco e che la profondità della prospettiva dipende dallo sguardo, dalla coscienza delle leggi che governano l’esistente. Che dolore e gioia sono versati nella stessa misura e nella scena della storia universale e in quella privata e che la sapienza nasce dall’atteggiamento del cuore.

Naturalmente tutto questo non vuol dire che esista un’identificazione fra alto e basso; ma che, prendendo le mosse dal basso, l’anima tende a salire verso le cose dell’alto, o perché aiutata dalla contemplazione della bellezza e dalla grazia e armonia di molte forme sensibili che alludono alla divina Perfezione; o perché stimolata dalle brutture del mondo ad una fuga nel Sogno.

Quest’ultimo atteggiamento è talmente evidente da trovare anche un suo corrispettivo oggettivo nella sintassi dei periodi e nell’uso del lessico. Sfogliando le pagine di Vagheggiando Itaca, ho sottolineato decine di passaggi dall’osservazione dei limiti e delle disarmonie della sfera esperienziale agli slanci verso l’idealità ed il sogno attraverso l’uso delle congiunzioni avversative “ma”, “eppure”, “però” (spesso isolate e coincidenti con la minima misura – quella monosillabica – del verso) che sembrano essere anche gli appigli del cuore per evitare crolli e disperazioni. Che sono come sfiorati, talvolta, ma mai vincenti, grazie anche alla forza terapeutica della poesia.

La tempra di Mariolina, infatti, è quella di una guerriera, nonostante la fragilità della salute e del fisico. Lo sa bene lei che scrive di sé stessa: “E fu lì che restai/ a sudare crescere patire capire l’altrui respiro/ a segnare d’inchiostro fuori e dentro/ per imparare dal silenzio il tono/ e cogliere dalle prove la pazienza:/ iniziatico percorso/ fede illimitata nella parola”.

Franca Alaimo (29 luglio 2016)
Gennaio 2017

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