Alessandra Paganardi e la sua Regola dell’orizzonte
(Puntoacapo Editrice)

C’è molta notte in questo libro di pensosa interiorità: un’interiorità vigile, a volte allarmata, che si apre alla vastità delle cose del mondo, ma restando sempre sulla soglia di un pensare, di un ripensare, anzi, come se il poeta avvertisse il moto opaco delle cose che si negano un attimo prima di essere conosciute, e perciò sentisse il monito di ritentare ogni volta, di non negarsi alla forza «rapace / vorace» della vita.
Affidandosi allo scandaglio di parole-immagini gettate nel gran mare del tempo e del mondo, Alessandra Paganardi ci fa sentire il vortice gioioso e temibile delle stagioni, che ci esaltano e insieme ci feriscono, come se nessuna gioia (una delle parole-chiave del libro) potesse darsi senza il suo contrario. E dentro il male del mondo, è anche il male della parola, che pare sempre sull’orlo di scomporsi, di perdersi in frammenti, di dissolversi in urti fatali.
Giancarlo Pontiggia

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Il commento di Ottavio Rossani

Ho chiesto ad Alessandra Paganardi di scrivere una breve autorecensione del suo nuovo libro, che arriva dopo  una lunga sosta creativa, anni in cui ha lavorato molto sul piano della critica e della lettura dei grandi poeti del Novecento:

La regola dell’orizzonte esce a sei anni di distanza dal precedente “La pazienza dell’inverno” (Puntoacapo 2013). Sono poesie organizzate in sette microsillogi prive di titoli singoli. Da tempo non scrivo più testi sparsi e credo che questo risponda a un preciso metodo di lavoro e anche a una poetica: selezionare le immagini con attenzione, radunarle quando si è creato il “filo poetico” (non posso dire logico…) che consenta una trasmissione fluida dei dati. La ricerca di un rigore, insomma, che metta ordine anche a vissuti emotivi molto densi, come l’angoscia e l’amore, spesso alla radice dell’ispirazione o comunque ad essa molto prossimi.
Provo sempre un grande amore per gli endecasillabi e i settenari, ma in questo libro mi concedo qualche dissonanza, proprio per non sacrificare l’immagine al ritmo. Credo che i versi, prima di essere deposti sul foglio, abbiano bisogno di una lunga gestazione interiore e debbano essere continuamente rivisti, proprio come si mira più volte un bersaglio prima di raggiungerlo. Anche l’orizzonte, nelle fotografie, va regolato con cura: mai a metà, sempre in alto o in basso in base all’inquadratura, che è ogni volta unica. A seconda che si voglia dare più o meno spazio a ciò che sempre infine ci chiama a sé, la terra”.
(A. P.)

La lettura che faccio io di questa nuova opera di Alessandra Paganardi va nella direzione di un’interpretazione psicanalitica. Partendo dalla dimensione “parola”, Paganardi scava nella propria interiorità, senza comunque costruire una biografia del proprio disagio esistenziale, che in ogni caso esiste e si profila come fondo d’ombra. In superficie invece emerge l’evidenza del “male”, un male che nasce e accompagna le parole, conseguenti alla necessità di capire le pieghe del vivere.  “La regola dell’orizzonte” è appunto una ricerca non una didattica. Da una parte si sente la passione, il desiderio, di vivere con intensità ogni momento, e dall’altra il timore e il senso di colpa per quell’indicibile “errore” intuito, ma non chiarito. Dietro i suoi endecasillabi, che a differenza del passato ora si muovono con elegante discontinuità, alternati a settenari o novenari, ovviamente liberi da rime, ma ricchi di assonanze, si agita un magma che tenta di fluire i più che in un fiume in un accidentato torrente, senza riuscire a darsi la “regolata” che si intuisce necessaria. La forma dei versi, dei componimenti, delle molte minisillogi che scansionano il volume, – presentati con citazioni dai poeti prediletti, come Antonia Pozzi, Osip Mandel’ Stam, Paul Celan, Ingeborg Bachmann, Alejandra Pizarnik Giorgio Caproni, etc, – è il riflesso della disorganicità della sostanza imperiosa e ribollente che spinge verso l’esterno, in cerca di un ordine compatibile, che nella fatica di sgorgare addolora e si rifiuta di obbedire alla mente. Ma non si pensi a un flusso disorganico, all’indistinto dell’inconscio riportato alla coscienza razionale. l rapporti tra interiorità ed esteriorità, tra mente e corpo, tra desiderio e contenzioso, non si sciolgono, anche se in prospettiva l’ipotesi è plausibile. Il male esiste, il male resiste, il male tormenta, ma non si spiega. Ed è un male, sembra intuire la poetessa, che è insito alla creazione e all’evoluzione della lingua, che in ogni caso non riesce a scoprire la propria legittimità. E rimanendo “dalla parte storta del cielo”, tuttavia restano le attese, gli inseguimenti. In questa impossibilità, la “parola” trova però la propria autocomprensione e richiede la complicità del lettore come unguento lenitivo.
(O. R.)

VIII
Poi fu la guarigione azzurra
delle macerie con dentro la notte
bambini in bianco e nero giocavano
attorno a quel silenzio stupefatto

era il viaggio di nozze
del mondo nuovo con il mondo antico
le colline erano sorrisi strani
i campi diventavano di marmo
la banda celebrava la rivincita
perfetta di chi non può tornare

tu portami nel cerchio
dove la falda cede alla pianura
e l’assenza si piega alla memoria.

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Note sull’Autrice
Alessandra Paganardi
(Milano 1963) ha fatto parte della redazione della Mosca di Milano ed è nella redazione di Gradiva, nella giuria del premio omonimo e in quella del premio Gozzano.
Ha pubblicato in poesia: La pazienza dell’inverno, puntoacapo editrice, 2013 (premio Operauno 2014), Tempo reale, Joker 2008 (premio San Domenichino 2009); Ospite che verrai, Joker 2005, 2007. Ha pubblicato la raccolta di saggi Lo sguardo dello stupore: lettura di cinque poeti contemporanei, Viennepierre 2005 (finalista al premio Nabokov 2008), la raccolta aforistica Breviario, Joker 2012, ed è stata inserita nelle antologie The New Italian Aphorists (a cura di Fabrizio Caramagna, USA 2013) e Aforismi al femminile (a cura di Amedeo Ansaldi, puntoacapo, 2017).
Per la narrativa ha vinto il premio Gozzano per l’inedito nel 2007 ed è inserita nell’antologia Milano per le strade, Azimut, Roma 2009, con il racconto La magnolia contro le persiane. Sulla rivista “La mosca” di Milano (anno XIV, n. 24, giugno 2011) e sul sito La foce e la sorgente compaiono traduzioni, a cura dell’autrice, da testi di Wallace Stevens, André Breton, Ted Hughes.

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