L’abbiamo scritto altre volte: non si spara sulla Croce Rossa, ma quando questa ci appare sotto forma di “uno degli autori più importanti della letteratura mondiale” è più che lecito alzare il tiro e chiederci perché le case editrici insistano col crederci “minus habens” dall’encefalogramma piatto, pronti a credere a qualsiasi vergognosa menzogna. E non soltanto loro, perché il “Crystal Award 1999”, il titolo di “Chevalier de l’Ordre National de la Legion d’Honneur” conferito dal governo francese e la “Medalle de Oro de Galicia” indicano quanto l’impudicizia abbia raggiunto i vertici massimi della cultura: impudicizia, perché mi rifiuto di credere che dopo la lettura di una qualsiasi opera di Paulo Coelho, chiunque abbia sfogliato un libro oltre a quelli della Delly o di altri autori Harmony, possa attribuir loro il benché minimo riconoscimento… Ma, forse, prossimamente il Grinzane Cavour, noto per le sue doti di avanguardia, potrà incoronare il novello F. M. Dostoevskij.

L’ultima ciliegina, l’illuminante opera sul culto della Dea e il resoconto accurato di rituali neopagani deve aver provocato in Valentino Bompiani, rimpianto editore di tanti romanzi cult, un ultimo sobbalzo nella tomba!

Iniziando dalla copertina in cui il dito mignolo di una mano infantile (o sarà l’indice di un primate?) tocca il capezzolo di una donna (o sarà quello di un trans non troppo convinto?)
– immagine altamente erotica che attira subito lo sguardo sui banconi di ogni libreria dove il volume è imposto sia dalla casa editrice sia dal martellio pubblicitario – il livello della demenzialità è un crescendo senza fine.

La storia è molto profonda e si svolge sulla struttura copiata di sana pianta (come molte altre) da “La voce del Maestro” di K. Gibran da cui l’autore trae citazioni ovviamente a sproposito.
Una povera orfanella, adottata da genitori libanesi cresce tra una visione e l’altra, leggermente schizzata: sapere di avere radici rumene e di appartenere al popolo degli zingari darà una spiegazione alla sua predisposizione verso una danza ipnotica che suscita negli uomini… ehm… diciamo un certo interesse.
La poveretta a 20 anni ha già un figlio, scopo primario della sua vita, ma non sapendo cosa farsene del marito-fuco (da vera mantide, neppure troppo religiosa) divorzia, per cui viene rifiutata anche dalla chiesa cattolica.
Lo sconforto dura solo poche righe, poi, dopo le lezioni di meditazione stile sufi, porta tra i colleghi della banca in cui lavora tale tecnica e tutti diventano più laboriosi.
Ma la sensazione di non appartenenza, di estraneità a questo mondo continua, nonostante successi professionali e ovviamente economici.
“Tormento ed estasi” fanno parte del suo quotidiano dove il figlio, sballottato qua e là, viene descritto come entusiasta di avere una madre così centrata su se stessa e su laceranti problematiche.

La nostra eroina decide finalmente di cercare le proprie radici e parte per la Transilvania dove in effetti il miti di Dracula e della sua insaziabile sete di linfa vitale altrui ben si sposa con il comportamento della protagonista, tale Sharina (che già nelle prime pagine si è cambiata il nome in Athena… dea della saggezza!), mimetizzata da donna dall’apparente distacco da tutto e da tutti.
Nella manciata di persone che lì incontra c’è un giornalista che è ovvio si innamori di lei all’istante; la madre biologica che ricama per mantenersi e non le risponde ciò di cui una figlia così arrogante e meschina nella sua aridità avrebbe bisogno; una scozzese che apprendiamo dopo essere grande sacerdotessa della Dea. Compaiono anche figure minori, dedite tutte all’adorazione incondizionata della straniera.

Di qui le idiozie sul neopaganesimo e le tradizioni legate al culto della Dea si moltiplicano: l’apoteosi avviene quando Sharine/Athena tenta una prima volta di fondare un gruppo dalle profonde radici spirituali dopo aver letto un manuale nei giorni precedenti e su indicazione della propria maestra scozzese, certa di quanto le è stato vaticinato “Imparerai insegnando, perché la Dea parlerà attraverso di te”.
Peccato che tale tentativo avvenga sul palcoscenico di un teatro, luogo oggi particolarmente idoneo ai rituali religiosi… Ma la nostra eroina prosegue l’opera, pur essendosi coperta di ridicolo, non prima però di essere tornata dalla maestra e aver esternato il proprio disappunto in modo molto poco spirituale.

Inspiegabile a lei stessa la riuscita (al 2° tentativo) di dar vita al rituale durante il quale va in trance con l’aiuto del figlio di 7 anni che “vede” quando la madre viene posseduta da Hagia Sophia, entità femminile presumibilmente “la Dea”.
A questo punto la Dea può effondere perle di saggezza, diagnosticando cancri, omosessualità, blocchi, ecc…

Il cerchio si allarga e la nostra diventa il centro di un movimento spirituale che in Portobello Road provoca le ire di un sacerdote (ovviamente brutto e cattivo) e dei suoi parrocchiani.

Per togliersi dai riflettori oramai troppo puntati su di lei e sulle sue imbecillità che rischiano di farle perdere l’affidamento del figlio, insieme al fidanzato (ispettore di Scotland Yard) prende in prestito il cadavere di una poco di buono e riesce a fare annunciare la morte de “La strega di Portobello”.

Sublime, eh? Sublime anche se in questo riassunto vengono tralasciati punti focali come l’apprendimento dell’arte della scrittura nel deserto o la vendita di terreni in posti incredibili…

A questo punto bisognerebbe spiegare a Paulo Coelho (o a chi dietro questo nome produce simili pirlate)
– 1) che il culto della Dea risale a decine di migliaia di anni fa ed è una religione: come tale esige lo stesso rispetto attribuito al cristianesimo, al buddismo, all’induismo, all’ebraismo e a tutte le altre credenze che uniscono l’umanità alla divinità;
– 2) che la Dea non è il motore di un juke-box dal quale, dopo aver appreso qualche informazione, attaccata la spina e inserito il gettone, si ottengono risposte;
– 3) che sempre la Dea – quando si manifesta – non si limita a spargere zuccherini colorati e ricette omeopatiche: brucia, divora, incenerisce e soprattutto è totalmente aliena dal presenziare in trip egotici di una sedicente medium (tale è descritta la nostra eroina);
– 4) che è poco credibile sulle labbra della Madonna la frase “ho sofferto tanti anni perché mio figlio non ascoltava nulla di quello che suggerivo”: chiunque abbia letto i Vangeli con un briciolo di attenzione sa perfettamente che tipo di rapporto c’era tra Madre e Figlio, per cui suona davvero grottesca se non blasfema una simile interpretazione;
– 5) che “spesso la maniera migliore per sapere chi siamo è quello di cercare di scoprire come ci vedono gli altri” va bene in casi come quello dell’autore: siamo convinti infatti che Paolo Coelho non conosca il proprio livello di ignoranza e rozzezza in fatto di magia e religione, per cui ci auguriamo che queste poche righe possano essergli d’aiuto. Per gli altri, quelli che percorrono ben altro sentiero, è più significativo ciò che stava scritto sul frontone del tempio dei Delfi “Conosci te stesso”, cioè “Guardati dentro” e non “Cerca il riconoscimento degli altri”.

Il noioso susseguirsi di luoghi comuni di chi non ha la più pallida idea dell’argomento trattato e ha però l’impudenza di diffondere una visione distorta dell’inconscio collettivo a cui ha la presunzione di rifarsi, non meriterebbe nemmeno la lettura, tanto meno il commento da parte nostra se nel finale del capolavoro non emergesse un concetto che fa montare l’ira al di sopra dell’impugnatura della spada (di Excalibur, of corse!) a causa di una disgustosa e subdola illazione.

Nell’intervista finale rilasciata dall’eroina al nostro povero giornalista (che nel frattempo è stato abbandonato dalla fidanzata diventata a sua volta adepta della Dea) Sharina/ Altena/Hagia Sophia o chiunque in quel momento parli attraverso la sua bocca, asserirebbe che “per portare avanti la missione, cioè preparare il cammino della Madre, continuare la tradizione …” l’unica persona adatta è l’attrice di teatro alla quale lei stessa ha spiegato verità di vita eterna qualche mese prima mentre sorseggiavano il te, sedute sul divano nude. Avendo più carisma e soprattutto “sapendo gestire i gruppi” meglio, data la sua professione, questa “per dimostrare di essere più capace” di lei potrebbe mantenere in vita felicemente il cerchio di ricerca spirituale.
No comment!

Ebbene, come tempo fa qualcuno ebbe a spiegare al buon Bevilacqua che, nonostante la “t” iniziale, tortellini e trascendenza differivano assai, vorremmo consigliare a Coelho un nuovo filone, quello umoristico, verso il quale denota una vera e propria attitudine, specie quando condivide la profonda filosofia sull’amore (l’amore è, naturalmente con la “a” minuscola) o, ancor meglio, dà informazioni nutrizionistiche.

Saremmo comunque grati alla casa editrice Bompiani se invece dell’invito promosso da Greenpeace “Scrittori per le foreste” raccogliesse il nostro, quello cioè di tutelare alberi e lettori non pubblicando più simili demenzialità.

Excalibur

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